Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5440 del 08/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/03/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 08/03/2011), n.5440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 214/2007 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MANCINI ANDREA,

rappresentato e difeso dall’avvocato FERRARI Augusto, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

MAGNETI MARELLI POWERTRAIN S.P.A., (già WEBER S.R.L. e MAGNETI

MARELLI S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo

studio dell’avvocato VESCI Gerardo, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DONDI GERMANO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 29/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/05/2006 R.G.N. 1146/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

S.F. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Bologna, pubblicata il 20 gennaio 2006, che ha respinto il suo appello contro la decisione con la quale il Tribunale di quella stessa città aveva rigettato la sua domanda nei confronti di “Magneti Marelli Powertrain” spa.

La domanda era di inquadramento nella categoria di dirigente, dal 1 ottobre 1987, con pagamento delle relative differenze retributive e TFR, nonchè di accertamento di illegittimità del licenziamento, con condanna al relativo risarcimento del danno, nonchè danno morale e per perdita di “chances”.

Il rigetto è stato integrale, ma il ricorso in cassazione riguarda solo il capo relativo al riconoscimento della categoria dirigenziale.

I motivi di ricorso sono sette.

Magneti Marelli Powertrain si difende con controricorso, nonchè con memoria.

Con il primo motivo si denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, nonchè violazione dell’art. 339 c.p.c..

Il quesito di diritto è: “se sia legittima la sentenza di merito che rigetta la domanda di qualifica superiore non facendo oggetto di motivazione la mancata valutazione di scrittura non disconosciuta del datore di lavoro contenente il riconoscimento della posizione tipica della qualifica stessa oggetto del giudizio”.

Nell’esposizione si assume che la sentenza avrebbe violato il principio del doppio grado di giudizio di merito ricavabile dall’art. 339 c.p.c., fornendo una valutazione da giudice di legittimità, senza effettuare un secondo giudizio di merito.

La motivazione sarebbe viziata perchè la sentenza non spiega la mancata considerazione della scheda di valutazione delle prestazioni, redatta dal valutazione, rag. M., nella quale si riconosce che la posizione e qualifica del S. è di “responsabile controllo gestione stab. (OMISSIS)”.

Il motivo non è fondato perchè la sentenza si articola in due parti. La prima è dedicata a spiegare perchè la sentenza di primo grado non è nulla per omessa o insufficiente motivazione rilevando che il giudice non era tenuto a dare conto di tutti gli elementi probatori acquisiti al giudizio e non era tenuto ad esporre le ragioni che lo hanno indotto a non valorizzare determinati supporti probatori.

Ma a questa parte segue una seconda, in cui la Corte valuta il quadro probatorio acquisito, riformulando il giudizio di merito e pervenendo peraltro alle medesime conclusioni del primo giudice.

In questa seconda parte si valutano tutti gli elementi di prova acquisiti, in maniera analitica e non si omette di valutare anche i documenti, compreso quello oggetto specifico del motivo di ricorso in cui il valutatore M., nella intestazione indica il S. come responsabile controllo gestione stab. (OMISSIS).

Tale documento (riprodotto nel ricorso) è a firma del valutatore M. (manca la firma del capo di 2^ livello), che non è “parte” e pertanto non costituisce una confessione (cfr. artt 2730, 2731 e 2735 cod. civ.). Esso peraltro riguarda solo l’anno 1989 e, come la sentenza spiega con precisione sulla base di altre prove (testimonianze espressamente citate e altri documenti puntualmente richiamati), non può essere considerato elemento decisivo per riconoscere al S. la qualifica di dirigente.

Tali precisazioni ed in particolare quelle sulla natura giuridica dell’atto, comportano il rigetto anche del secondo motivo, con il quale si denunzia violazione dell’art. 2732 cod. civ. in relazione all’art. 116 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione, formulando il seguente quesito: “può il giudice valutare prove testimoniali contrastanti con una prova confessoria documentale e fondare la sua decisione su dette prove testimoniali senza motivare il perchè?”.

Con il terzo motivo si denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione di un fatto decisivo per il giudizio. Viene formulato il seguente quesito di diritto: “deve riconoscersi l’autonomia di un lavoratore dirigente anche se subordinato ad altri dirigenti in presenza di un’organizzazione imprenditoriale di vaste dimensioni anche internazionali”.

Il motivo è inammissibile, perchè non si indica il fatto oggetto del vizio di motivazione, ma si censura un principio giuridico senza peraltro indicare quale legge sarebbe stata violata.

Peraltro nella sentenza si afferma, indicando specificamente le testimonianze sul punto, che il S. poneva il proprio lavoro a disposizione non dell’alta direzione, come da lui più volte sostenuto, bensì di un collega che non era dirigente.

Con il quarto motivo si denunzia violazione del ccnl dei dirigenti del settore metalmeccanico.

Il c.c.n.l. non è stato prodotto, il che rende il motivo improcedibile.

Con il quinto motivo si denunzia violazione dell’art. 246 c.p.c.. Il quesito è, “può il giudice di appello non accogliere la richiesta di riammissione di una prova testimoniale già ammessa ma interrotta nel corso del suo espletamento dal giudice di primo grado?”.

Il motivo non è conforme al criterio dell’autosufficienza, perchè non si riporta la richiesta di riammissione della prova fatta in secondo grado.

Con il sesto motivo si denunzia un vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, rubricato come “omesso esame di documenti probatori di un fatto decisivo del giudizio. Travisamento dei fatti”.

Si assume che questi documenti proverebbero fatti viceversa esclusi nella sentenza, fatti sarebbero la redazione dei rapporti mensili; i rapporti diretti con l’amministratore delegato ing. Mo.

e il fatto che il S. aveva sotto controllo gli stabilimenti collegati di (OMISSIS).

I documenti riportati in ricorso non provano affatto queste circostanze e il motivo si risolve in una richiesta di rivalutazione della prova inammissibile in sede di legittimità, a fronte di una motivazione di merito analitica e coerente. I documenti in oggetto non possono essere qualificati come “prove confessorie”, non presentando gli estremi della confessione.

Con il settimo motivo si denunzia “contraddittorietà” della motivazione “circa la prova che, in assenza del F., il suo ruolo sia stato ricoperto dal B. e non dal S.”.

La tesi è che in due punti della sentenza la Corte avrebbe affermato cose diverse.

In un punto si rileva che il M. affermò che durante l’assenza del F. questi fu sostituito “ad interim” da me ( M.) e pertanto il S. ritornò a fare capo a me. In altro che fu sostituito dal B., al quale rispondeva il S..

La circostanza che il S. rispondesse al M. o al B. non è decisiva nella intelaiatura della motivazione, mentre è certo che l’affermazione di partenza del motivo secondo la quale, in assenza del F., abbia ricoperto il suo ruolo il B. e non il S. non trova riscontro alcuno.

Tutti i motivi di ricorso sono, pertanto, infondati. Le spese devono essere poste a carico del ricorrente, che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione alla controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 35,00, nonchè Euro 3.000,00 per onorari di avvocato, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2011

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