Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5438 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/02/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 28/02/2020), n.5438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12784-2018 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NON1ENTANA

257, presso lo studio dell’avvocato MANUELA VENEZIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato RODRIGO AMOROSO;

– ricorrente –

contro

EREDI A.A., P.G., A.B.,

A.L., AM.AN., A.S., Z.G. nella qualità

di Procuratore della COMPAGNIA ITALIANA DI PREVIDENZA ASSICURAZIONE

E RIASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1793/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 1998, C.S. lamentava gravi lesioni personali riportate a seguito dell’incidente stradale verificatosi a Melito il giorno 28.07.1998, allorquando, mentre era intento ad effettuare lavori di manutenzione all’esterno della propria abitazione, veniva investito dall’autovettura Fiat Fiorino di proprietà di A.A., assicurata da Universo Assicurazioni S.p.a., e condotta da Cu.St. che, nel compiere manovra di retromarcia, lo investiva. All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Napoli rigettava la domanda risarcitoria con compensazione delle spese di giudizio tra le parti. In seguito, la Corte d’appello di Napoli, in linea con il Giudice di primo grado, rigettava compensando le spese, sia l’appello principale che l’appello incidentale della Compagnia Italiana di Previdenza, Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.a.

Nel 2010, C.S. proponeva domanda di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, della suddetta sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3181/2009, sostenendo che il Giudicante era incorso in un evidente errore di fatto e di percezione delle risultanze processuali. Difatti aveva rigettato la pretesa risarcitoria sulla base di una inesatta lettura del referto dell’Ospedale (OMISSIS), ritenendo che le dichiarazioni rese al Presidio del Pronto Soccorso fossero state proferite dal danneggiato C.S., laddove invece sarebbero state pronunciate da Cu.St., conducente del suddetto veicolo investitore dopo aver comunque condotto l’infortunato al pronto soccorso.

In fase rescissoria, si insisteva per l’accoglimento della domanda risarcitoria, dichiarando A.A. esclusivo responsabile dell’incidente in questione.

In contumacia di A.A., si costituiva la Compagnia Italiana di Previdenza Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.a (incorporante per fusione la Universo ass.ni spa), chiedendo l’inammissibilità della proposta domanda di revocazione e comunque il rigetto nel merito della stessa.

2. Con sentenza n. 1793 del 24/04/2017, la Corte d’appello di Napoli, VI Sezione Civile, dichiarava la domanda di revocazione infondata.

Riportando il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la Corte precisava che l’errore di fatto che può dar luogo alla revocazione di una sentenza consiste nell’errata percezione dei fatti di causa che si sostanzia nella supposizione dell’esistenza di un fatto la cui verità risulta incontestabilmente esclusa dagli atti, o nell’esistenza di un fatto la cui verità è inconfutabilmente accertata, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materiale di dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito.

Inoltre, l’errore di fatto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice concreta rilevabilità senza che la sua contestazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche o valutative e non può consentire per converso in un preteso inesatto apprezzamento delle risultanze processuali.

Pertanto, l’errore di fatto deve consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale con la conseguenza che non può concernere l’attività valutativa, da parte del giudice, di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività.

Alla luce dei delineati criteri, la Corte riteneva che nel caso in esame il denunciato errore di fatto, che sarebbe consistito in una inesatta lettura delle dichiarazioni di C. e di Cu., riportate nel referto dell’Ospedale (OMISSIS), era carente degli elementi necessari per fondare la domanda di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4.

Peraltro, una diversa ricostruzione sarebbe stati in contrasto con il tenore letterale dello stesso referto.

3. C.S. propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

4. stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.,

e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

6.1. Con il primo motivo, articolato in due censure, parte ricorrente lamenta la “Violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360, n. 4”.

La Corte non avrebbe applicato correttamente l’art. 395 c.p.c., n. 4, poichè, seppur riconosciuto l’errore, non avrebbe valutato nel merito la forza probatoria dell’elemento di cui si chiedeva la cancellazione, sul presupposto che il fatto censurato non avesse valore determinante per travolgere la sentenza impugnata. Sul punto il ricorrente lamenta la totale assenza di motivazione e, pertanto, ne contesta la validità ex art. 132 c.p.c., n. 4.

Entrambe le censure, sia quella sulla valutazione della c.d. decisività e sia quella sull’art. 132, n. 4, sono inammissibili.

Lo sono in primo per inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, giacchè del documento cui si sarebbe riferito il preteso errore di fatto non ci si fornisce la localizzazione;

Lo sono in secondo luogo perchè riferendosi il motivo alla valutazione sulla decisività, concerne un profilo motivazionale che la corte di merito ha enunciato dopo avere escluso l’esistenza dell’errore di fatto e, pertanto, non essendovi critica o comunque critica idonea – anche per quanto si dirà sugli altri motivi – su tale punto, l’accertamento relativo al quale si consolida, per ciò solo diventa inammissibile;

In ogni caso la prima censura, quella sulla decisività, sarebbe anche -se fosse esaminabile – priva di fondamento, in quanto la corte ha giustificato l’apprezzamento sulla decisività correttamente spiegando che la sentenza di merito revocanda si basava sull’apprezzamento di un quadro probatorio da solo sufficiente a reggerla e che viene ignorato dal motivo;

Per quanto riguarda la seconda censura, ex 132 n. 4, sarebbe stata ugualmente manifestamente priva di fondamento perchè una motivazione esiste ed è più che congrua, logica e scevra di vizi motivazionali.

6.2. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia la “Violazione degli artt. 2727 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e correlativamente dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4″.

Lamenta che la decisione del giudice di seconde cure si sia basata su presunzioni prive dei requisisti di gravità, precisione e concordanza in relazione ai dati considerati noti come le dichiarazioni di Cu. e che le stesse non abbiano avuto una giustificazione adeguata e non contraddittoria in punto di motivazione. Pertanto, la sentenza sarebbe censurabile ex art. 132 c.p.c., n. 4.

Il motivo resta assorbito dalla sorte del primo: consolidatasi la motivazione sull’inesistenza dell’errore di fatto, diventa inutile la discussione che si fa nel secondo motivo” che – al di là della mancanza di esplicitazione – pare basato sulla decisività.

Il motivo sarebbe stato comunque inammissibile in primo luogo perchè non individua la motivazione che vorrebbe criticare, onde è assolutamente privo di chiarezza.

Lo sarebbe stato altresì ancora ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè non localizza le risultanze probatorie di cui discorre.

Priva di sostanza sarebbe anche la censura di valutazione degli artt. 2727 e 2697 c.c.. Infatti la denuncia delle norme sulle presunzioni è fatta senza rispettare i criteri indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 secondo cui la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., suppone un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, infido per come è stato enunciato – risulti irrispettoso dei paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi. Di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto da giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicchè il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perchè quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729, c.c.), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti.

Ebbene, la illustrazione del motivo non prospetta la falsa applicazione dell’art. 2729 nei termini su indicati, ma si risolve talora solo nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse sulla base della evocazione di emergenze istruttorie e talora nella prospettazione di una diversa ricostruzione delle quaestiones facti. Ne segue che il motivo non presenta le caratteristiche della denuncia di un vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, e nemmeno, pur riconvertito alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013, quelle di un motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

6.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente si duole della “Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Censura il pensiero della Corte per aver attribuito valore probatorio decisivo alle dichiarazioni del conducente investitore fornite fuori dal processo, pertanto, senza aver garantito adeguato contraddittorio.

Anche tale motivo merita le stesse considerazioni del precedente sull’assorbimento e sull’art. 366 c.p.c., n. 6, a parte l’evocazione degli artt. 115 e 116, senza rispettare Cass. n. 11892 del 2016 ribadita da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 ribadita da Cass., Sez. Un. n. 16598 del 2016, in motivazione non massimata.

7. Ad abundantiam, si rileva che il Giudicante ha correttamente ricostruito i principi di questa S.C. fornendo una puntuale e specifica motivazione priva di alcun vizio logico-giuridico idoneo ad inficiare la validità della sentenza impugnata.

Nè sussiste, infine, il difetto assoluto di motivazione in ordine alla inattendibilità dei testi avendo al contrario la corte di merito ampliamente motivato il proprio convincimento sul punto (cfr. sentenza pag. 4, 3 cpv.).

8. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. In considerazione del fatto che gli intimati non hanno svolto attività difensiva non occorre liquidare le spese.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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