Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5434 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. III, 27/02/2020, (ud. 18/11/2019, dep. 27/02/2020), n.5434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23118-2018 proposto da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore, domiciliata

ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati SERGIO PERTILE, ANDREA MONDA;

– ricorrente –

contro

M.L., R.O.;

– intimati –

Nonchè da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE

MEDAGLIE D’ORO 48, presso lo studio dell’avvocato GIULIO

MASTROIANNI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE ALESSIO;

– ricorrente incidentale –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore, domiciliata

ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati SERGIO PERTILE, ANDREA MONDA;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

R.O.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1837/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

M.L. agì in giudizio deducendo di avere consegnato a R.O., tra il 1995 e il 2006, somme per complessivi 609.767,81 Euro da investire in due polizze assicurative; che il R., che era stato per alcuni anni agente della Winterthur, si era appropriato delle somme ed era stato perseguito penalmente per i reati di truffa commessi in danno dell’attore e di numerosi altri risparmiatori; che dei fatti dovevano rispondere civilmente, sia il R. che l’assicuratrice di cui lo stesso era stato o era apparso agente;

tanto premesso, convenne avanti al Tribunale di Padova il R. e la UGF Assicurazioni s.p.a. (incorporante l’Aurora Assicurazioni, che aveva incorporato la Winterthur Assicurazioni e la Winterthur Vita, nelle quali erano state in precedenza incorporate le compagnie del gruppo Veneta Assicurazioni s.p.a.) per sentirli condannare, in solido, al pagamento di 1.131.627,66 Euro (pari alla somma dei versamenti maggiorata dei rendimenti annuali indicati dal R.) o, in subordine, al rimborso della somma di 609.767,81 Euro, oltre accessori;

contumace il R., la UGF resistette alla domanda; il Tribunale, rigettata la domanda principale, accolse la richiesta subordinata nei confronti del solo R.;

pronunciando sul gravame del M., la Corte di Appello di Venezia ha riformato la sentenza di primo grado, condannando la UGF Assicurazioni e il R., in solido, “al pagamento, in favore del M. e a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 609.767,81, oltre interessi legali dalla data del sinistro al saldo, calcolati sull’importo capitale devalutato al momento del sinistro e rivalutato di anno in anno secondo gli indici ISTAT”; indi, rigettata ogni altra domanda del M., ha condannato i due appellati, in solido, al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio;

ha proposto ricorso per cassazione la UnipolSai Assicurazioni s.p.a., affidandosi a cinque motivi; ha resistito il M. con controricorso contenente ricorso incidentale basato su due motivi, cui ha resistito la UnipolSai Assicurazioni con controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che l’eccezione di difetto di legittimazione attiva della UnipolSai Assicurazioni – sollevata dal M. con la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. sull’assunto che l’odierna ricorrente è diversa dalla UGF nei cui confronti era stata emessa la sentenza di appello – è infondata, in quanto dalla sentenza impugnata (cfr. conclusioni trascritte a pag. 3 e narrativa sullo svolgimento del processo a pag. 5) si evince che la UnipolSai Assicurazioni si era costituita nel giudizio di appello “instando per il rigetto dell’appello” e, quindi, quale parte appellata.

Considerato, quanto al ricorso principale, che:

col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere la Corte affermato che il R. era stato agente della Veneta Assicurazioni dal 1995 al 2001, mente era pacifico fra le parti che il R. era divenuto agente solo a far data dal 20.1.1997 e che il mandato senza rappresentanza con Winterthur era cessato il 30.6.2000; afferma pertanto che la Corte è “incorsa in un grave errore di travisamento della prova (…), che mette in crisi irreversibile l’intera struttura del percorso argomentativo”;

il motivo è inammissibile sia perchè prospetta un errore di lettura dei dati emersi dall’istruttoria che, integrando un vizio percettivo, avrebbe dovuto essere fatto valere in sede revocatoria, sia perchè comunque- censura una valutazione delle prove che, quale accertamento di merito, si sottrae al sindacato di legittimità;

il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 112,164 c.p.c. e art. 277 c.p.c., comma 1: la ricorrente lamenta che la Corte è incorsa nel “vizio (…) di accomunare tra loro (…) due causae petendi della domanda attorea che dovevano invece restare ben distinte”, in quanto la Corte non ha esaminato separatamente il profilo della responsabilità ex art. 2049 c.c. (per i fatti commessi dal R. “durante il mandato agenziale”) e quello della responsabilità conseguente a rappresentanza apparente (per i fatti verificatisi “fuori dal mandato agenziale”) e “non ha sostanzialmente affrontato la tematica dell’applicabilità dell’art. 2049 c.c. al caso in oggetto, in particolare per il (breve) periodo in cui il R. era stato effettivamente agente Winterthur (..), trattando pressochè esclusivamente della presunta rappresentanza apparente”, così sovrapponendo due diverse e autonome causae petendi;

il motivo è infondato: la Corte ha mostrato di avere considerato sia la circostanza che il R. era stato effettivamente, per alcuni anni, agente della Veneta Assicurazioni sia il fatto che – nel periodo successivo – si era “formato nei clienti il convincimento che quella persona fosse ancora il rappresentante della compagnia” (individuando, al riguardo, le omissioni della Veneta Assicurazioni che avevano corroborato la situazione di apparenza) ed ha concluso che, “per un verso, la UGF deve rispondere in solido con il proprio agente infedele per l’illecito compiuto da quest’ultimo sulla base del principio della rappresentanza apparente” e, “per altro verso, la compagnia risponde ai sensi dell’art. 2049 cc”, senza con ciò sovrapporre le due causae petendi poste a fondamento delle pretese attoree, ma affermando la responsabilità in relazione ad entrambe;

il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1227 e 2049 c.c. sul rilievo che il giudice di appello ha omesso “in toto l’analisi, ai sensi degli artt. 1227 e 2049 c.c. (…) del contegno dell’attore M.L. come emerso dalle risultanze processuali, e quindi del loro rilievo causale sul contestato illecito del R.”;

il motivo è infondato, atteso che la Corte – per un verso – ha mostrato di tener conto del “contesto locale e culturale nel quale erano maturati i rapporti fra le parti, connotati da amicizia e, dunque, da fiducia”, oltrechè del “modesto spessore culturale e professionale dei clienti del R.”, e – per altro verso – ha valorizzato plurimi elementi oggettivi idonei a determinare nei soggetti truffati il convincimento che il R. fosse ancora agente della compagnia, pervenendo pertanto,ad escludere implicitamente qualunque concorso causale del M. nella determinazione del danno di cui ha chiesto il ristoro;

il quarto motivo, che denuncia la “violazione dell’istituto della rappresentanza apparente” sul rilievo che “manca un qualsivoglia contratto assicurativo su cui l’attore possa dire di aver fatto affidamento”, è inammissibile in quanto risulta volto ad una sostanziale rivalutazione di merito degli elementi considerati dalla Corte per affermare la situazione di apparenza circa la persistenza del rapporto di agenzia fra il R. e l’assicuratrice;

col quinto motivo (“violazione del giudicato: la “rivalutazione” dell’illecito del R. e la condanna alle spese”), la ricorrente, dato atto che la Corte di Appello l’ha condannata, in solido col R., alla restituzione della somma di 609.767,81 Euro oltre interessi legali calcolati sul capitale di anno in anno rivalutato, deduce una violazione del giudicato formatosi sulla sentenza di primo grado (che aveva previsto il pagamento degli “interessi legali maturati dalla data dei singoli versamenti al saldo”) a seguito dell’espressa acquiescenza del M. sul punto; lamenta altresì, “per la stessa ragione, che la compagnia assicuratrice sia stata condannata, sempre in solido con il R., a rifondere all’attore le spese processuali del primo e del secondo grado di giudizio”;

la prima censura è inammissibile per difetto di interesse giacchè la UnipolSai non è legittimità a dedurre un giudicato che gioverebbe al solo R. e che comunque non la riguarda;

la seconda censura è infondata, atteso che l’accoglimento della domanda anche nei confronti dell’assicuratrice giustifica la sua condanna alle spese del doppio grado di giudizio, a prescindere dalla posizione del R. (che non può interessare l’odierna ricorrente).

Considerato, quanto al ricorso incidentale, che:

il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio “concernente la debenza delle somme indicate nei documenti riassuntivi contenenti il resoconto della gestione annuale delle somme versate ad R.O.”: il M. lamenta il mancato accoglimento della propria domanda principale (volta al pagamento della somma di 1.131,627,66 Euro, quale importo risultante dalla sommatoria dei versamenti eseguiti maggiorati dei rendimenti di anno in anno indicati dal R. e risultanti dai prospetti riassuntivi trascritti nel ricorso incidentale) e assume che la motivazione adottata dalla Corte sul punto (basata sulla natura “in toto ipotetica ed aleatoria” del mancato guadagno) è meramente apparente, in quanto inidonea a rendere percepibile il fondamento della decisione;

il motivo è parzialmente infondato e, per il resto, inammissibile;

infondato nella parte in cui denuncia la mera apparenza della motivazione, giacchè – ancorchè estremamente sintetico – il riferimento al carattere meramente ipotetico ed aleatorio del mancato guadagno risulta idoneo a dar conto delle ragioni della decisione di rigetto;

inammissibile nella parte in cui denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, poichè la sentenza di appello è fondata -sul punto- sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a fondamento della sentenza di primo grado (cfr. pag. 2 del controricorso all’incidentale), risultando pertanto preclusa – ex art. 348 ter c.p.c., comma 5 – la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5);

il secondo motivo (che denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c.) censura la sentenza per non aver riconosciuto la rivalutazione monetaria dalla data dei singoli versamenti oltre agli interessi legali sulle somme così rivalutate, adottando invece il criterio della devalutazione dell’intera somma capitale “al momento del sinistro” e il calcolo degli interessi legali sulle somme di anno in anno rivalutate;

il motivo è inammissibile, in quanto:

le censure difettano di specificità poichè non risultano compiutamente individuati gli errori di diritto in cui la Corte sarebbe incorsa in relazione alle norme indicate nella rubrica del motivo (a pag. 2 del ricorso);

il tutto a prescindere dalla considerazione che, ricorrendo un’ipotesi di condanna restitutoria e non risarcitoria, il riconoscimento della rivalutazione monetaria sui singoli versamenti presupporrebbe un accertamento di merito (non demandabile a questa Corte) sulla sussistenza di un maggior danno non coperto dal riconoscimento degli interessi (cfr. Cass. n. 5639/2014 e Cass. n. 14289/2018);

il rigetto di entrambi i ricorsi giustifica la compensazione delle spese di lite;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale, compensando le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020

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