Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5427 del 08/03/2011

Cassazione civile sez. III, 08/03/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 08/03/2011), n.5427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3710/2009 proposto da:

R.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato PASANISI Bernardino, con studio in 74100 TARANTO C.so

Umberto, 129, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA XX SETTEMBRE 1 (Studio UGHI E NUNZIANTE), presso lo studio

dell’avvocato PESCE GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato

SEMERARO Giuseppe giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

A.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 385/2007 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di

TARANTO, emessa il 26/10/2007, depositata il 11/12/2007; R.G.N.

380/2005.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/02/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SEMERARO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

1. I.M., proprietaria di un vigneto per la produzione di uva da tavola, otteneva dal Tribunale la condanna di R. F., perito agrario, al risarcimento dei danni; danni conseguenti all’uso di un fitoregolatore e subiti per il calo di produzione nell’annata agraria 1999. La domanda di risarcimento, che era stata proposta in via solidale nei confronti di A. C., titolare della ditta da cui era stato acquistato il fitoregolatore, veniva rigettata.

L’appello, proposto dal R., veniva rigettato nella contumacia di A. (sentenza 11 dicembre 2007).

2. Avverso la suddetta sentenza il R. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, corredati da quesiti.

Ha resistito con controricorso la I.. Il R. e la I. hanno depositato memorie. Non ha presentato difese l’ A..

2.1. Il ricorso, presentato anche “nei confronti di” A., restato contumace in appello, è stato notificato, tempestivamente, nel domicilio eletto in primo grado e non personalmente.

La suddetta notificazione è nulla (Cass. n. 10817 del 2008).

Tuttavia, atteso che le cause sono scindibili – essendo stata richiesta dalla I. la condanna in solido dell’ A. e del R. e non risultando domande del R. nei confronti dell’ A. ritiene il collegio che non debba procedersi alla rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c..

3. Il giudice di appello ha confermato la sentenza di primo grado sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) nell’annata agraria del 1999 – al contrario degli anni precedenti e al contrario di quanto sostenuto dall’appellante, secondo il quale il divieto esisterebbe anche per tale anno – non operava il divieto comunitario di impianto dell’uva da tavola, come quella prodotta dalla I., con conseguente risarcibilità dei danni subiti;

b) i danni subiti per effetto della scarsa produzione nel 1999 sono causalmente riconducibili al comportamento del R., non essendo tale nesso interrotto dai comportamenti della danneggiata (utilizzo di terreno salino, irrigazione con acqua salina, viti vecchie e deperite), i quali si sono inseriti in una serie causale avviata da altri e non hanno determinato una serie causale idonea da sola a produrre l’evento;

c) sotto il profilo soggettivo, risulta accertata la negligenza del perito agrario che ha prescritto il fitoregolatore, senza controllarne gli effetti, nonostante l’impiego dello stesso (secondo il ctu) era suggerito per altre coltivazioni e non per i vigneti e, comunque, per l’uva senza semi (mentre il tipo prodotto dalla I. era con i semi); senza che tale colpa possa essere scalfita da testimonianze generiche che hanno riconosciuto il buon risultato del fitoregolatore, nè dal parere di alcuni studiosi riportati dalla consulenza, atteso l’esito chiaro della consulenza nel senso di non suggerire l’uso del prodotto.

4. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione di regolamenti comunitari (art. 360 c.p.c., n. 3), nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che per l’annata agraria del 1999 non sussisteva il divieto di impianto dell’uva da tavola, mentre tale divieto sarebbe durato sino al 31 agosto 2000.

Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza della questione, attinente all’esistenza o meno del divieto comunitario di impianto e produzione dell’uva da tavola, rispetto alla decisione in ordine alla domanda di risarcimento del danno.

Alla base della discussione che, nei due gradi di giudizio di merito, le parti e i giudici hanno compiuto in ordine alla sussistenza o meno, e per quali anni, del divieto comunitario di impianto e produzione di uva da tavola, vi è l’erroneo convincimento che dal suddetto divieto discenda la non commerciabilità dell’uva e la perdita di valore economico del prodotto. Con la conseguenza che:

l’esame della domanda relativa al danno preteso può proseguire, se il divieto non sussiste, essendo ipotizzabile la lesione di un bene economico; si arresta, invece, se il divieto sussiste, non venendo in questione un bene economico suscettibile di lesione.

Tale presupposto è erroneo. I Regolamenti comunitari (Reg. (CEE) 16 marzo 1987, n. 822/87, e successive modificazioni, sino al Reg. (CE) 20 luglio 1998, n. 1627/98) prevedono il divieto di impianto di viti (non rileva stabilire, ai nostri fini, se per la produzione di uva da vino o da tavola) nell’ambito di molteplici misure finalizzate alla regolazione del mercato di settore. La violazione è sanzionata dalla legislazione italiana (si v. del D.L. n. 370 del 1987, art. 4, convertito nella L. n. 370 del 1987) con sanzioni amministrative. Nè nei regolamenti comunitari, nè nella legislazione nazionale è prevista la non commerciabilità o la inefficacia/nullità dei contratti aventi per oggetto i prodotti agricoli ottenuti in violazione del divieto. In definitiva, il divieto di impianto non incide sul valore di bene economico del prodotto agricolo, che resta commerciabile, e il cui valore non è azzerato o diminuito.

Conseguentemente, esso è suscettibile di essere leso dalla condotta illecita di terzi, al pari di ogni altro bene economico.

5. Con il secondo e il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente essendo le stesse censure poste rispetto alla violazione di legge (nel secondo) e alla motivazione (nel terzo), il ricorrente censura la sentenza sotto due profili:

a) con il primo lamenta (anche sotto il profilo motivazionale, artt. 40 e 41 c.p., art. 2043 c.c.) il mancato accertamento del nesso di causalità tra la condotta del perito e il verificarsi dei danni, non risultando accertata la probabilità del verificarsi dell’evento se il comportamento del perito non vi fosse stato; b) con il secondo lamenta (anche sotto il profilo della contraddittorietà motivazionale, art. 1227 c.c.) la mancata considerazione dei comportamenti della danneggiata, pure esaminati per escludere l’esistenza di una serie causale autonoma, ai fini della valutazione di una diminuzione del risarcimento.

5.1 Il primo profilo, attinente al nesso causale tra la condotta del R. e i danni, va rigettato.

Il giudice ha valutato e motivato congruamente in ordine alla condotta del R. rispetto all’evento dannoso, escludendo esplicitamente che il nesso causale sia stato interrotto da comportamenti di terzi. In sostanza, con la censura, il ricorrente chiede alla Corte una nuova valutazione, non consentita in questa sede.

5.2. Il secondo profilo, relativo alla mancata considerazione del comportamento della danneggiata ai fini dell’entità del risarcimento, va accolto.

Il giudice ammette che il comportamento della danneggiata (utilizzo di terreno salino, irrigazione con acqua salina, viti vecchie e deperite, ecc.) abbia operato come concausa inserita nella serie causale innescata dal R., ma non la valuta ai fini della possibile diminuzione del risarcimento.

In tal modo, contravviene al consolidato principio di diritto secondo cui “In tema di responsabilità aquiliana, il nesso causale è regolato dai principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per i quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della condicio sine qua non), nonchè dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base della quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione ex ante – del tutto inverosimili; a tal fine il comportamento colposo del danneggiato, quando non sia da solo sufficiente ad interrompere il nesso causale, può tuttavia integrare, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, un concorso di colpa che diminuisce la responsabilità del danneggiante” (da ultimo Cass. n. 10607 del 2010).

6. Con il quarto e quinto motivo, esaminabili congiuntamente per la stretta connessione, il ricorrente censura la sentenza (anche sotto il profilo motivazionale, art. 1176, 1218 e 2236 c.c. e della L. n. 434 del 1968, artt. 2 e 3) nella parte in cui ha ritenuto accertata la colpa del perito, trascurando contrarie valutazione ricavabili dalla consulenza e dalle prove testimoniali.

I motivi sono, per alcuni aspetti, inammissibili perchè nuovi.

Sono emersi per la prima volta nel giudizio di legittimità i profili connessi con la responsabilità contrattuale da lavoro autonomo, quale la responsabilità per danni nei limiti del dolo e della colpa grave in caso di problemi tecnici di particolare difficoltà (art. 2236 c.c.) e lo svolgimento delle mansioni proprie del perito agrario (L. n. 434 del 1968, artt. 2 e 3); queste ultime, peraltro, prevedono espressamente (art. 2, lett. f) le valutazioni degli interventi fitosanitari.

Sono, poi, infondati, avendo il giudice valutato compiutamente le risultanze probatorie, senza errori logici, come emerge dalla sintesi della decisione sopra sintetizzata.

7. Pertanto, la sentenza va cassata in relazione al profilo accolto e il giudice del rinvio, una volta accertato se i comportamenti della danneggiata abbiano operato come concause dell’evento dannoso, valuterà l’incidenza delle stesse concause sulla misura del risarcimento dovuto dal perito.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie, in parte, il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo motivo, rigetta per il resto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2011

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