Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5423 del 08/03/2011

Cassazione civile sez. II, 08/03/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 08/03/2011), n.5423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20240/2005 proposto da:

C.F. (OMISSIS), C.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E. ALMANSI

188, presso lo studio dell’avvocato AMBROSIO ALDO, rappresentati e

difesi dagli avvocati AMBROSIO Albo, AMBROSIO LUIGI;

– ricorrente –

contro

M.A.G. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G. BELLONI 78, presso lo studio

dell’avvocato ANAGNI Elisabetta, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FABBROCINI MARCELLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1033/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.L. con atto notificato in data 29.10.94, premesso di essere proprietario di un immobile sito in (OMISSIS), deduceva che il confinante M.A. aveva costruito un pozzo nero nei suo scantinato a distanza non regolamentare dalla sua proprietà, che, oltre a non rispettate le più elementari norme igieniche , emanava insopportabili odori; che il convenuto aveva allargato la porta di un terraneo antistante un piccolo spazio confinante con il fabbricato di sua proprietà, in modo da consentire l’accesso dell’auto; che il M. ingombrava ed occupava parte di tale spazio con merce ed altro; che il convenuto infine aveva collocato sul terrazzo alcune lamiere che costituivano una soprelevazione senza alcuna licenza edilizia; tanto premesso citava in giudizio M.A. avanti al tribunale di Nola per sentirlo condannare all’eliminazione del pozzo nero, delle lamiere e dei sostegni eseguiti sul suo fabbricato, a ripristinare l’originaria larghezza della porta e a non più occupare costantemente lo spazio antistante il fabbricato. Si costituiva in giudizio M.A. G. contestando le domande dell’attore e chiedendo in via riconvenzionale la di lui condanna all’eliminazione di una costruzione le cui vedute si aprivano a distanza non legale sulla sua proprietà.

Espletata l’istruttoria, i tribunale di Nola, con sentenza depos. il 23.10.2001, rigettava sia le domande dell’attore che quella del convenuto eccezion fatta per la domanda del C. con la quale si chiedeva di lasciare sgombera l’area gravata di servitù.

La sentenza era appellata da A. e C.F., nella loro qualità di eredi di C.L.; resisteva M. A., formulando a sua volta appello incidentale.

L’adita Corte d’Appello di Napoli, con la pronuncia n. 1033/05 depos.

in data 12.4.05 disattendeva l’appello principale dei C. e in accoglimento dell’impugnazione incidentale formulata dal M., rigettava la domanda a suo tempo avanzata da C.L. circa la condanna alla rimozione delle merci ingombranti; accoglieva inoltre la riconvenzionale del M. e, per l’effetto, condannava i C. ad arretrare il loro terrazzo alla distanza di m. 1,50 dalla proprietà di M.A., condannando infine gli appellanti al pagamento delle spese del doppio grado. Osservava la corte napoletana quanto al pozzo nero, che difettava la prova della presenza attuale di immissioni intollerabili; circa lo spiazzo antistante i due fabbricati e secondo gli attori ad essi comune, rilevava che l’uso che ne aveva fatto il M. (allargamento della porta, attraversamento veicolare anzichè pedonale) non andava a detrimento ed in pregiudizio dei C. ai sensi dell’art. 1102 c.c.. Circa la domanda incidentale, la corte riteneva che i C. dovevano arretrare il loro terrazzo in modo da rispettare le distanze legali dal vicino che erano state violate.

Avverso la predetta sentenza i C. propongono ricorso per cassazione fondato su 5 censure. Resiste il M. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, i C. denunziano la “nullità insanabile” della sentenza impugnata per aver deciso a favore di una persona diversa da quella evocata in giudizio”. Si deduce che Luigi C. aveva convenuto in giudizio M.A. fu G. mentre in giudizio si era costituito M.A.G. “che è persona diversa dal M.A. fu G…..”. Si tratta di censura priva di qualsiasi fondamento, sollevata per la prima volta solo in questa sede di legittimità, e smentita dalla documentazione in atti (procura notarile nel giudizio di primo grado e certificazione anagrafica del 6.7.05 del comune di S. Giuseppe Vesuviano, da cui risulta che M.A. fu G. e M.A.G. sono la stessa persona e si identificano quindi proprio con il soggetto convenuto a suo tempo in giudizio da C.L.).

Con il 2^ motivo del ricorso viene eccepita la violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c.: “omesso esame di documenti e fatti decisivi che avrebbero portato a diversa definizione della controversia”; “errata valutazione e interpretazione dell’atto notarile Collara de 18.1.1961”.

Assumono gli esponenti che il cortiletto in relazione al quale il M. aveva allargato la porta che si apre sullo stesso, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’appello, non è di proprietà comune al medesimo, ma al contrario è di proprietà dei soli C. come sarebbe desumibile dall’atto notarile Collara de 18.1.1961, da cui emergerebbe che proprietari del cortiletto sono unicamente C.L. e C.M. in ragione di metà ciascuno e che M.G. è indicato nell’atto ma solo come confinante.

La doglianza è priva di pregio perchè la questione della proprietà dello spiazzo non era stata mai oggetto della lite. La corte d’appello ha puntualmente motivato in merito che le parti non avevano chiesto al giudice “un provvedimento in ordine alla proprietà:

introducendo la lite, C.L. si è soltanto lamentato che dello spiazzo il vicino M.A. ne faceva un uso non più legittimo: vi lasciava merci di ogni genere e, grazie all’allargamento della porta del terraneo, lo attraversava con autovetture quando invece prima il passaggio avveniva soltanto a piedi”. “L’attore quindi – prosegue la Corte – nell’affermare che lo spiazzo è comune e nel lamentarsi del comportamento attuale del M., pone a base della sua domanda l’art. 1102 c.c.:

l’illegittimità della condotta dell’avversario risiederebbe nell’alterazione della cosa comune e nell’ impedimento che gli sarebbe stato recato di non poter usare la cosa”.

Con il 3^ motivo del ricorso gli esponenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 889 c.c.: omesso esame delle norme del regolamento edilizio comunale, delle norme del Ministero dei LL.PP. del 4.7.77. Deducono che – contrariamente all’assunto della Corte d’Appello – il pozzo nero è “completamene fuori norma” e lamentano che il giudice non aveva disposto una nuova CTU come espressamente da essi richiesto.

La doglianza è priva di pregio introducendo questioni di merito riservate al giudice a quo che ha deciso al riguardo sulla base dell’espletata CTU; con motivazione ampiamente esaustiva e priva di vizi, che può ben essere condivisa. La doglianza è peraltro non autosufficiente per quanto riguarda le parti delle CTU ritenute errate e le precise finalità che dovrebbe perseguire l’eventuale nuovo accertamento peritale.

Con il 4^ motivo de ricorso (la violazione dell’art. 1110 c.c., e omesso esame di punti decisivi) si riferisce all'”immotivato” rigetto della domanda relativa alla rimozione della merce nel cortiletto da parte del M., in contrasto con quanto stabilito dal tribunale che ne aveva disposta la rimozione. Anche tale doglianza non ha pregio introducendo questioni di merito risolte dal giudice a quo con motivazione esaustiva. Quest’ultimo ha puntualmente rilevato in proposito che, accertata la mancanza di prova circa l’indebita occupazione dello spiazzo da parte del M., il tribunale avrebbe dovuto limitarsi a rigettare la domanda dell’attore “e non condannare genericamente il convenuto a consentire l’uso dello spiazzo che il M. neppure aveva mai contestato”.

Con il 5^ motivo del ricorso si eccepisce il vizio di ultrapetizione in relazione all’arretramento del terrazzo (arretramento del solaio di copertura dei primo piano del C.) che non sarebbe mai stato oggetto della domanda riconvenzionale del M., che invece riguarderebbe il solaio di copertura del primo piano. Anche tale censura non ha alcun fondamento, atteso che con la sua riconvenzionale il M. chiedeva la condanna dell’attore ad eliminare una costruzione le cui vedute si aprivano sulla sua proprietà a distanza illegale. Il terrazzo in questione è quello corredato di ringhiera in ferro che consente la veduta sulla vicina proprietà ed è esattamente quello indicato nel dispositivo e nella motivazione della sentenza impugnata.

In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato. Le spese, per il principio della soccombenza, sono poste a carico dei ricorrenti.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2011

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