Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5421 del 18/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 18/02/2022, (ud. 01/02/2022, dep. 18/02/2022), n.5421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS), in persona del socio accomandatario

T.M., nonché personalmente il socio T.M., rappr. e dif.

dall’avv. Nicola Maranga, avvnicolamaranga.puntopec.it,

elettivamente domiciliati in Roma alla via degli Scipioni n. 265,

presso lo studio dell’Avv. Alberto Saraceno,

info.pec.studiolegalesaraceno.com, come da procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS), in persona del curatore p.t.;

– intimato –

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), in persona

del legale rappresentante p.t., rappr. e dif. dagli avv.ti Antonio

Sgroi, avv.antonio.sgroi.postacert.inps.gov.it, Lelio Maritato,

avv.lelio.maritato.postacert.inps.gov.it, Carla D’Alosio,

avv.carla.dalosio.postacert.inps.gov.it, Emanuele De Rose,

avv.emanuele.derose.postacert.inps.gov.it, Giuseppe Matano,

avv.giuseppe.matano.postacert.inps.gov.it, Ester Ada Vita Sciplino,

avv.ester.sciplino.postacert.inps.gov.it, elettivamente domiciliato

in Roma, Via Beccaria n. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto medesimo, come da procura conferita su foglio separato

allegato al controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Venezia n.

1106/2019 del 18.03.2019, in R.G. 3585/2018;

vista la memoria dei ricorrenti;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 1 febbraio 2022 dal consigliere relatore Dott. Massimo Ferro.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS), nonché il socio accomandatario T.M. impugnano la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1106/2019 del 18.03.2019, in R.G. 3585/2018, con cui è stato rigettato il proprio reclamo proposto L. Fall., ex art. 18, avverso la sentenza del Tribunale di Verona 3.9.2018 dichiarativa della risoluzione del concordato preventivo e del contestuale fallimento societario e del socio accomandatario;

2. la corte d’appello ha premesso che: a) dopo l’approvazione dei creditori, il Tribunale di Verona omologava con decreto del 15.10.2014 il concordato preventivo, alle condizioni di cui alla proposta del 29.7.2013, nominando il liquidatore giudiziale; b) con ricorso depositato in data 8/3/2018 il creditore INPS chiedeva la risoluzione del concordato e la dichiarazione del fallimento della società e del socio accomandatario; c) il ricorso veniva accolto dal tribunale, che superava l’eccezione di tardività dei debitori secondo i quali era già trascorso oltre un anno dal 31.12.2016, scadenza per la esecuzione; d) il reclamo L. Fall., ex art. 18, indicava l’erronea valutazione di tempestività del tribunale, nel punto in cui aveva escluso la essenzialità del termine e comunque rilevato la mancanza di una specifica indicazione di una scadenza, così applicando un termine quinquennale;

3. la corte d’appello ha ritenuto che: a) l’indicazione della data (31/12/2016) nella proposta di concordato valeva come mero termine previsionale per l’attuazione del progetto di liquidazione dei beni, alla stregua di una realizzazione auspicata; b) la conferma di tale significato, tratto dalla lettera della proposta, era anche nella illustrazione di alcune voci del passivo computate proprio in cinque anni, pur con l’osservazione che la possibile loro non debenza avrebbe restituito corrispondente incremento all’attivo chirografario; c) la proposta, strutturata in modo da prevedere un arco temporale di cinque anni per la sua esecuzione, rendeva quindi il ricorso proposto dall’INPS in data 8/3/2018 tempestivo, poiché il quinquennio scadeva a fine 2019 e fondata l’iniziativa, assunta dopo che il liquidatore aveva rendicontato a marzo 2018 un realizzo di meno di 50 mila Euro a fronte di un preventivato attivo di oltre 1,791 mln Euro;

4.il ricorso è su due motivi, INPS ha depositato controricorso per rispondervi, non ha invece depositato controricorso il fallimento; con il primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 186, per non avere la corte territoriale attribuito rilevanza alla data del 31/12/2016 indicata nel concordato come termine per l’attuazione del progetto di liquidazione dei beni; con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la corte d’appello confermato la sentenza dichiarativa di fallimento pur in assenza dei presupposti del fallimento, dato che il debitore aveva esaudito i propri compiti cedendo in unica soluzione i beni ai creditori, divenuti arbitri del rischio economico assunto in sede di voto della proposta, né costituendo l’inadempimento del concordato di per sé prova dell’insolvenza, elemento non indagato dalla corte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile, per concorrenti ragioni; il ricorrente, nell’invocare un significato più rigido delle espressioni testuali tipizzanti la proposta di concordato, ha del tutto omesso di trascriverne per tratti essenziali e decisivi i passaggi su cui pure ha invocato l’esame della Corte, così peccando di specificità, posto che dal ricorso – non risulta affatto intellegibile come e per quali completi patti di concordato la dedotta data del 31 dicembre 2016 sarebbe stata per vero la scadenza di tutti gli adempimenti finali; appare così, in primo luogo, violato il principio di autosufficienza, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. 29495/2020), posto che il motivo di ricorso non agevola, per come confezionato, la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente alla censura; né può la Corte di cassazione ricercare gli atti o stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino al fine di verificare se quanto il ricorrente afferma trovi effettivo riscontro, dovendo infatti, proprio sulla base degli atti o documenti prodotti e sui quali il ricorso si fonda, trovarsi la testuale riproduzione, in tutto o in parte richiesta, quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. n. 24340 del 2018);

2. il motivo, inoltre, tende ad ottenere una valutazione diversa, favorevole al ricorrente, dell’apprezzamento di fatto degli elementi della proposta, complessivamente intesi, quali ricostruiti dal giudice di merito, che ha motivatamente escluso – e dunque al di fuori degli stretti limiti di censurabilità ora fissati ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, v. Cass. s.u. n. 8053 del 2014 – che nel concordato operasse una vera a propria scadenza, fungendo invece la data del 31 dicembre 2016 da mera previsione di realizzazione, non attuata;

3. inoltre, il motivo non si confronta con la ratio della norma, posto che la L. Fall., art. 186, comma 3, richiama la nozione di ultimo adempimento del concordato, ai fini di computare il termine annuale per proporre il ricorso per la sua risoluzione e la sentenza veneziana con chiarezza ricostruisce, oltre alla svalutata indicazione della descritta data del 31 dicembre 2016, una serie ulteriore di operazioni evidentemente ed ancora attuative del progetto liquidatorio, collocate sul quinquennio e e per le quali valgono i limiti della censura già esposti;

4. il secondo motivo è inammissibile per apparente novità della questione; il tema dell’insolvenza non risulta invero ricostruito come proprio dell’unico motivo di reclamo avanti alla corte d’appello (Cass. n. 32804 del 2019) e il ricorrente, nella presente sede, omette di localizzare ove, come e quando avrebbe sollevato tale vizio della sentenza del tribunale; né la sentenza sul reclamo aveva comunque necessità in senso stretto di pronunciarsi sugli elementi di fallibilità, una volta respinta la censura dedotta sui vizi della pronuncia risolutiva del concordato, laddove non ne fosse stata investita in modo specifico e comunque, nella vicenda, si dà conto della sproporzione rilevantissima tra l’attivo liquidato e quello appostato nel progetto concordatario, con chiara evidenza della insufficiente capacità di far fronte ai pagamenti, secondo l’illustrazione dello stesso liquidatore giudiziale, di per sé circostanza integrante una nozione di oggettiva insolvenza, non sindacabile in questa sede;

il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile; ne discendono la condanna alle spese secondo soccombenza e liquidazione come meglio in dispositivo, nonché la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in 7000 Euro, oltre a 200 Euro per esborsi, nonché al 1 5 % a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

 

 

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