Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5419 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5419 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 19134-2010 proposto da:
GIRELLI ANTONIO (GRLNTN36A24I826P) in proprio e quale erede
di MERZI GINA nelle more deceduta, GIRELLI GIANLUCA
(GRLGLC701430B296M) quale erede di MERZI GINA nelle more
deceduta, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA VENEZIA
11, presso lo studio dell’avvocato NICOLA GRIGOLETTO,
rappresentati e difesi dall’avvocato SELLA ANTONIO DOMENICO
giusta procura speciale a margine;
– ricorrenti contro

.2a14
di(eí

GIRELLI

GIOVANNI

(GRLGNN41T31I826Q),

ADAMI

BRUNA

(DMABRN43P43B296U), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato
CONTALDI MARIO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato RAVIGNANI RICCARDO giusta mandato in calce;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 936/2009 della CORTE D’APPELLO di
VENEZIA, depositata il 27/05/2009, R.G.N. 10/2004;

Data pubblicazione: 07/03/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 20/01/2014 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito l’Avvocato GIANLUCA CONTALDI per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

lato, e Antonio Girelli e Gina Merzi, dall’altro, erano
comproprietari di alcuni fondi confinanti siti nel Comune di
Bussolengo. Tra le parti sorgevano taluni dissidi relativi
alle attigue proprietà, che portavano alla sottoscrizione, in
data 23 febbraio 1995, di una scrittura privata transattiva e
compositiva delle liti con cui veniva regolato l’uso delle
parti comuni e assegnate alcune parti dell’allora strada
promiscua a ciascuno dei fratelli Girelli, con rinuncia della
relativa servitù di passo.
1.1. – I coniugi Giovanni Girelli e Bruna Adami, quindi,
evocavano in giudizio Antonio Girelli e Gina Merzi per
ottenere l’accertamento dell’esistenza dell’obbligo, gravante
sui convenuti, di dare esecuzione alla scrittura privata
transattiva, con conseguente pronuncia di sentenza ai sensi
dell’art. 2932 cod. civ.
1.2. – Il Tribunale di Venezia – previa riunione di
questa alla causa promossa dagli stessi attori nei confronti
dei medesimi convenuti, con cui i primi chiedevano di essere
dichiarati proprietari delle aree trasferite in ragione
dell’atto di transazione e di ottenere il risarcimento del
danno – accertava l’autenticità delle sottoscrizioni in calce
alla transazione ed accoglieva la domanda attorea (salvo che
per la richiesta di risarcimento del danno), dichiarando che
tra le parti era incorso un atto di divisione di una parte di
proprietà comune del fondo sito nel Comune di Bussolengo con
conseguente attribuzione a ciascuna delle porzioni
immobiliari conformemente al tenore della scrittura privata.
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1. – I coniugi Giovanni Girelli e Bruna Adami, da un

2. – Antonio Girelli, in proprio e quale erede di Gina
Merzi, e Gianluca Girelli, quale erede della Merzi,
proponevano appello avverso tale decisione, censurandola per
non aver il giudice di primo grado dichiarato la nullità
della scrittura privata in ragione della mancata allegazione
del certificato di destinazione urbanistica, obbligatorio ai
sensi dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985.

appello di Venezia con sentenza resa pubblica in data 27
maggio 2009.
La Corte territoriale riteneva infondato il motivo di
impugnazione, osservando che, in forza del comma

4-bis

dell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 (disposizione che
sostituiva il previgente art. 18 della legge n. 47 del 1985),
introdotto dalla legge 28 novembre 2005, n. 246 (in vigore
dal 16 dicembre 2005) – ed applicabile anche agli atti
stipulati prima dell’entrata in vigore della novella, “purché
la nullità non sia stata accertata con sentenza divenuta
definitiva prima di tale data” – il legislatore aveva
introdotto la possibilità di sanatoria degli atti nulli
indicati dal comma 2 dello stesso art. 30 del T.U.
dell’edilizia, “vanificando, in questo modo, il motivo
d’appello”. Ciò in quanto, avendo il Tribunale accertato, con
efficacia di giudicato, l’autenticità delle sottoscrizioni
della transazione un data 23 febbraio 1995 e, dunque,
“l’intervenuta divisione degli immobili oggetto di causa”, la
stessa scrittura ben poteva “essere confermata al momento
della trascrizione, producendo, contestualmente alla
sentenza, il certificato di destinazione urbanistica
cosiddetto storico (ossia alla data di stipula della
scrittura privata)”.
Peraltro, il giudice di appello soggiungeva che, nella
specie, neppure ricorresse alcuna delle ipotesi prevista
dall’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, precisando
che la norma operava una riconduzione della sanzione di
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2.1. – Il gravame veniva rigettato dalla Corte di

nullità dell’atto ad ipotesi di lottizzazione abusiva, con la
conseguenza dell’irrilevanza del certificato di destinazione
urbanistica in fattispecie negoziali, come quella in esame,
“rispetto alle quali non ricorrono finalità
lottizzatorie/edificatorie, avendo la convenzione ad oggetto
una transazione su di una servitù di passaggio estinta di
comune accordo tra i coeredi, dietro compenso”.

Antonio Girelli, in proprio e nella qualità di erede di Gina
Merzi, e Gianluca Girelli, quale erede della Merzi, sulla
base di tre motivi.
Resistono con controricorso Giovanni Girelli e Bruna
Adami.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli artt. 18 della legge n. 47 del 1985 e
successive modifiche, 30, comma 2 e comma 4-bis (quest’ultimo
introdotto dalla legge n. 246 del 2005) del d.P.R. n. 380 del
2001, nonché 12, comma 5, della citata legge n. 246, in
relazione all’art. 1418 cod. civ.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato,
alla fattispecie negoziale in esame, il comma 4-bis dell’art.
30 del d.P.R. n. 380 del 2001, in luogo del comma 2 dello
stessa disposizione. Se, infatti, è pacifico che il comma 4bis introduce la possibilità di sanatoria, è altrettanto vero
che la sua operatività è circoscritta all’ipotesi di
produzione, anche successiva alla sottoscrizione dell’atto
stesso, di un atto pubblico o di una scrittura privata
autenticata da cui risulti la volontà di sanatoria e a cui
deve essere allegato un certificato di destinazione
urbanistica riferito alla data di sottoscrizione dell’atto
stesso; nel caso in esame, nessuna valida sanatoria può dirsi

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3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono

perfezionata prima dell’emanazione della sentenza di secondo
grado impugnata.
Viene, quindi, formulato il seguente quesito di diritto:
“Se possa essere ritenuta valida ed efficace, anziché affetta
da nullità come prescritto dall’art. 30 co. 2 del D.P.R.
380/01, una scrittura privata di divisione e trasferimento di
diritti reali e dunque aventi effetti reali senza che sia

di destinazione urbanistica e senza che tale mancata
allegazione sia stata sanata, prima dell’emanazione della
sentenza di un giudizio avente ad oggetto la nullità della
scrittura stessa, mediante atto pubblico o autenticato con
allegato certificato di destinazione urbanistica alla data
della sottoscrizione, come prescritto dal comma

4-bis

del

D.P.R. 380/01”.
2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione dei commi 2 e 4-bis dell’art. 30 del d.P.R. n.
380 del 2001, in relazione all’art. 2909 cod. civ.
Il giudice di appello, partendo dal presupposto
dell’autenticità delle sottoscrizioni, avrebbe errato nel
considerare possibile la conferma della scrittura privata al
momento della trascrizione, producendo, contestualmente alla
sentenza, il certificato di destinazione urbanistica
cosiddetto storico (alla data della stipula della scrittura
privata). Ne consegue, altresì, l’irrilevanza, al fine di
considerare perfezionata la sanatoria di cui all’art. 30,
comma 4-bis, del T.U. anzidetto, del certificato di
destinazione urbanistica prodotto dai ricorrenti solo in
memoria conclusionale del giudizio di appello e “facente
riferimento solo alla situazione attuale ma non storica”.
Sono così formulati i quesiti di diritto: “Se una
sentenza possa pronunciare la validità ed efficacia di una
scrittura privata con effetti reali che abbia effettuato una
divisione ed il trasferimento di diritti reali ad a cui non
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stato allegato al momento della sottoscrizione il certificato

sia stato allegato il certificato di destinazione urbanistica
come prescritto, a pena di nullità, dall’art. 30 comma 2
D.P.R. 380/01, invocando ed applicando l’astratta possibilità
di sanatoria di cui al comma 4-bis del medesimo articolo; Se
tale sentenza possa pronunciare la validità di una simile
scrittura privata in virtù di una astratta possibilità di
conferma e sanatoria della stessa al momento della

prima dell’emanazione della sentenza; Se ai fini della
sanatoria di cui al comma

4-bis dell’art. 30 D.P.R. 380/01

sia sufficiente la produzione, anche dopo la sentenza
conclusiva del giudizio in tema di nullità, la produzione
contestuale alla sentenza del certificato di destinazione
urbanistica cosiddetto storico (ossia alla data della stipula
della scrittura privata) in sede di trascrizione senza che
tale certificato venga allegato ad un atto pubblico e/o
autenticato come richiesto dal comma 4-bis stesso e senza che
il tutto venga effettuato prima della sentenza stessa”.
3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e falsa applicazione dell’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 380
del 2001.
La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che
l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica non
sarebbe stata “necessaria per fattispecie negoziali, quale
quella in oggetto, in cui non ricorrono finalità
lottizzatorie/edificatorie, avendo la convenzione ad oggetto
una transazione su di una servitù di passaggio estinta di
comune accordo tra i coeredi, dietro compenso”. Ciò
sull’erroneo presupposto che l’art. 30, comma 2, del T.U. del
2001 “ricollega la sanzione della nullità dell’atto ad
ipotesi di lottizzazione abusiva”, sicché “la ratio

legis

sottesa all’obbligo di previa allegazione del certificato di
destinazione urbanistica consiste nel prevenire gli abusi in
materia di attività edilizia”.
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trascrizione, senza che tale sanatoria si sia verificata

Invero, secondo il ricorrente, il tenore letterale della
norma anzidetta farebbe chiaro riferimento a tutti gli atti
tra vivi e non solo a quelli aventi finalità
lottizzatorie/edificatorie.
Peraltro, il giudice di appello non si sarebbe avveduto
che, nel caso alla sua cognizione, si trattava di una
scrittura privata di divisione e trasferimento di diritti

che risultava edificabile, sicché non poteva “essere esclusa
la finalità di lottizzazione come definita dal comma l
dell’art. 30 citato”.
Ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ. vengono
formulati i seguenti quesiti di diritto:”Se l’art. 30 comma 2
si applichi a tutti gli atti tra vivi, sia in forma pubblica
che privata, aventi ad oggetto il trasferimento o
costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali
relativi a terreni, a prescindere dalle finalità edificatorie
e/o di lottizzazione degli stessi; Se l’art. 30 comma 2 sopra
citato si applichi nel caso di scrittura privata di divisione
e di trasferimento di diritti reali relativi a terreni con
attribuzione in proprietà esclusiva di strade, e dunque
riferita a terreni aventi potenziali finalità edificatorie e
divenuti edificabili”.
4. – E’ prioritario ed assorbente l’esame del terzo
motivo di ricorso.
Esso non può trovare accoglimento.
Il primo comma dell’articolo 30 T.U. sull’edilizia,
definisce l’ipotesi di lottizzazione abusiva; la disposizione
che segue (per l’appunto, il comma 2) pone l’obbligo di
allegazione del certificato di destinazione urbanistica.
La lettura combinata delle due disposizioni esprime la
ratio che sottende alla norma che impone l’allegazione di
detto certificato, quale mezzo al fine di prevenire eventuali
abusi in materia di edilizia. In tal senso si è orientata
questa Corte allorché ha riferito la nullità degli atti tra
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reali per una estesa porzione immobiliare (di quasi 2000 mq)

vivi aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali
relativi a terreni, per mancata allegazione del certificato
di destinazione urbanistica (già contemplata dall’art. 18,
comma secondo, della legge 18 febbraio 1985, n. 47 e poi dal
citato art. 30), “a tutti quegli atti negoziali che
concretino consapevoli tentativi di aggirare le previsioni
urbanistiche e di derogarvi” (Cass., 9 settembre 2013, n.

enunciato da Cass., 28 marzo 2012, n. 4984 – secondo cui, «ai
fini del divieto

ex

art. 30 del Testo unico in materia

edilizia, la lottizzazione “negoziale” o “indiziaria”,
cosiddetta per la necessità di ricercare la volontà di
eludere le prescrizioni degli strumenti urbanistici, si
configura solo quando il negozio sia accompagnato da
un’ulteriore attività diretta all’inveramento dello scopo
elusivo; non è sufficiente, quindi, lo scorporo di un
appezzamento minore da uno maggiore, seppure nella previsione
della destinazione edificatoria del lotto, perché la
direzione della volontà verso una condotta potenzialmente
lesiva deve essere indagata nelle sue manifestazioni concrete
e nel suo carattere univoco. (In applicazione del principio,
la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva
dichiarato nullo il preliminare di vendita di un appezzamento
scorporato da un terreno di maggiori dimensioni, non
risultando elementi sintomatici dell’idoneità della promessa
vendita ad incidere sull’assetto urbanistico)».
In armonia con il richiamato orientamento si colloca,
dunque, la sentenza impugnata, la quale ha affermato
l’irrilevanza del certificato di destinazione urbanistica in
fattispecie negoziali, come quella in esame, “rispetto alle
quali non ricorrono finalità lottizzatorie/edificatorie,
avendo la convenzione ad oggetto una transazione su di una
servitù di passaggio estinta di comune accordo tra i coeredi,
dietro compenso”.

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20649). Nella stessa ottica, quindi, si pone il principio –

Quanto, poi, all’accertamento in concreto operato dal
giudice del merito ai fini di escludere la fattispecie
materiale dall’ambito di operatività di quella legale, esso
non è stato oggetto di pertinente denuncia come vizio di
motivazione e non solo perché è mancata l’evocazione del n. 5
del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., ma anche
perché la critica alla sentenza – che, peraltro, propone una

parti in collisione con quella stessa assunta dalla Corte
territoriale (come sopra indicata) – si muove attraverso
elementi di fatto (quali l’estensione della porzione
immobiliare ed il relativo carattere di edificabilità) di cui
non vi è cenno nella sentenza impugnata e senza che di essi
venga fornita contezza del

quando e del quomodo della loro

acquisizione al contraddittorio processuale.
Del resto, una denuncia di vizio di motivazione avrebbe
dovuto, a sua volta, essere assistita (come da “diritto
vivente”: tra le altre, Cass., 18 novembre 2011, n. 24255; in
precedenza anche Cass., sez. un., 1 0 ottobre 2007, n. 20603)
dal necessario quesito di “fatto” imposto dall’art. 366-bis
cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis,

in quanto la

sentenza impugnata è stata pubblicata il 27 maggio 2009). Ed
invero, i quesiti formulati (e sopra trascritti) si
rapportano congruamente alla sola censura di
ludicando,

error in

non ponendo in rilievo alcuna indicazione del

fatto controverso e delle ragioni per le quali la motivazione
sarebbe insufficiente ed inadeguata e, dunque, inidonea a
giustificare la decisione.
5. – Il rigetto dello scrutinato motivo, che investiva
una

ratio decidendi

singolarmente idonea a sorreggere sul

piano logico e giuridico la sentenza impugnata, rende
inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le
censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte
oggetto di doglianza con i restanti motivi di ricorso (primo
e secondo), in quanto queste ultime non potrebbero comunque ”
9

qualificazione giuridica del negozio posto in essere dalle

condurre, stante l’intervenuta definitività dell’altra, alla
cassazione della decisione stessa (tra le tante, Cass., 14
febbraio 2012, n. 2108).
6. – Il ricorso va, dunque, rigettato ed i ricorrenti,
in quanto soccombenti, condannati al pagamento delle spese
del presente giudizio di legittimità, come liquidate in
dispositivo.

LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido
tra loro, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle
spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
complessivi euro 4.200,00, di cui euro 200,00, per esborsi,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in
data 20 gennaio 2014.

,Iír

Iligliere
estensore
gichars

l Pres dente

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