Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5419 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. II, 05/03/2010, (ud. 18/11/2009, dep. 05/03/2010), n.5419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – rel. Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27357/2004 proposto da:

P.T. (OMISSIS) difeso ex art. 86 c.p.c.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 288, presso lo

studio dell’avvocato PICCININNO Silvano, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

R.V. (OMISSIS), B.A.

(OMISSIS), M.A. (OMISSIS), C.

F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

SABOTINO 46, presso lo studio dell’avvocato ROMANO GIOVANNI,

rappresentati e difesi dall’avvocato CERIELLO Giovanni;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1279/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

18/11/2009 dal Consigliere Dott. ALFREDO MENSITIERI;

udito l’Avvocato Giovanni ROMANO con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CERIELLO Giovanni, difensore dei resistenti che si

riporta alle conclusioni in atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel novembre 1999 R.V., B.A., M. A. e C.F. si opponevano, dinanzi al Tribunale di Monza, al decreto ingiuntivo contro di loro ottenuto dall’avvocato P.T. per il pagamento di L. 68.166.763 quale compenso di prestazioni professionali giudiziarie.

Oltre a questioni processuali non più rilevanti, nel merito gli opponenti contestavano lo stesso conferimento del mandato defensionale. Narravano, infatti, che nel (OMISSIS) il Condominio ” (OMISSIS)” del quale essi e l’avv.to P. facevano parte, aveva iniziato contro la società Domnova una causa in tema di servitù con il patrocinio dello stesso legale e che, a fronte di un’eccezione della società convenuta circa la legittimazione attiva, il condomino difensore aveva sollecitato il loro intervento in giudizio nell’interesse del Condominio attore: a tal fine avevano appunto rilasciato procura alla lite.

Nel (OMISSIS) tuttavia il P. per contrasti insorti con il Condominio, aveva rinunciato al mandato (implicitamente quindi anche al rapporto con gli intervenuti), contestualmente costituendosi però in giudizio anche a nome proprio.

All’esito della controversia insorta con il Condominio circa i compensi professionali spettantigli, il P. aveva del resto ottenuto compensi per oltre L. 135 milioni, in essi compreso anche quanto relativo alla comparsa d’intervento per “sigg. M.”.

Solo dopo la sentenza resa nella causa con la Domnova, dei cui sviluppi frattanto non aveva mai riferito ai condomini, il P., nel (OMISSIS), aveva richiesto loro il pagamento delle sue prestazioni.

A queste pretese, “peraltro esorbitanti”, gli ingiunti segnalavano d’altronde di essersi già opposti con una precedente azione di accertamento negativo.

Si costituiva il P. replicando agli argomenti avversari e chiedendo la conferma del decreto opposto.

Precisava, anzitutto, di aver rinunciato nel (OMISSIS) al solo mandato del Condominio, ma non a quello conferitogli, per l’intervento, dai quattro opponenti, sempre laboriosamente difesi nella causa contro la Domnova e quindi tempestivamente informati del suo esito; chiariva poi che i compensi professionali maturati nei confronti del Condominio erano stati in appello ridotti a poco più di L. sessanta milioni e comunque si riferivano a molteplici prestazioni, tutte antecedenti il (OMISSIS) e diverse da quelle qui monitoriamente azionate; aggiungeva che la domanda di accertamento negativo proposta dalle controparti risultava già respinta, in sua contumacia, dal Tribunale di Monza (sicchè non sussisteva la litispendenza evocata dagli opponenti).

Fallito il tentativo di conciliazione, acquisita la documentazione prodotta e ricusata ogni altra attività, il primo giudice revocava il decreto ingiuntivo, accoglieva tuttavia in parte la domanda del P., valorizzando quanto al conferimento del mandato i dati del rilascio della procura per l’intervento in giudizio e dell’effettiva prestazione dell’attività defensionale, escludendo che la rinuncia del (OMISSIS) si riferisse anche a clienti diversi dal Condominio.

A queste considerazioni quel giudice aggiungeva il rilievo del giudicato formatosi sul tema con la non appellata sentenza di rigetto della domanda di accertamento negativo precedentemente proposta dagli stessi opponenti.

Quanto alla liquidazione dei compensi professionali il giudicante eliminava tuttavia alcune “voci” duplicative di quanto già pagato dal condominio, applicando, in buona sostanza, per il resto il parametro di cui all’art. 5 delle tariffe forensi, trattandosi di attività prestata per più parti aventi la stessa posizione processuale: compensi spettanti al P. venivano così all’incirca dimezzati rispetto alla proposta domanda.

Proposti gravami, principale dai R., B., M. e C. e, incidentale, dal P., con sentenza dell’11 maggio 2004 la Corte d’appello di Milano accoglieva l’impugnazione principale e per l’effetto revocava il decreto ingiuntivo opposto e respingeva la domanda di pagamento proposta dal P. che condannava alle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’avv.to P.T. sulla base di tre motivi.

Gli intimati resistono con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: a) violazione e falsa applicazione di norme di diritto e contraddittorietà di motivazione per non aver il giudice a quo riconosciuto l’intervenuto giudicato della sentenza 2393/99 del Tribunale di Monza rispetto all’identica domanda proposta dinanzi al Tribunale di Milano (successivamente appellata e decisa con la sentenza impugnata); decisione intervenuta, inoltre, ultra petitum, in carenza di eccezione di parte, in violazione, tra l’altro, delle norme di cui all’art. 112 c.p.c. e art. 2909 c.c.; b) violazione e falsa applicazione di norme di diritto per contraddittorietà di motivazione, per aver deciso ultra petitum e in difetto di prova, in violazione, tra l’altro, delle norme di cui agli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.; artt. 2697, 2722, 2737 e 2729 c.c.; c) violazione e falsa applicazione di norme di diritto e contraddittorietà di motivazione per aver omesso di pronunciarsi su domande proposte dalle parti.

Osserva il ricorrente che il R., la B., il M. e la C. avevano promosso dinanzi al Tribunale di Monza un giudizio di accertamento negativo (conclusosi con sentenza n. 2393/99 passata in giudicato), per far accertare “in prevenzione” e, cioè, nel caso ne fossero stati giudizialmente richiesti, “l’illegittimità della pretesa della somma di L. 62.890.344 di cui alla generica richiesta del 12.01.99” (la fattura proforma di esso avvocato P.), con circostanziata identificazione del “petitum”, deducendo in proposito (causa petendi) che le prestazioni giudiziali del professionista sarebbero state rese senza mandato avendo gli istanti sottoscritto “la procura alle liti, ma per conto del Condominio del quale erano condomini, ad esclusivo suo vantaggio”.

Proponendo opposizione dall’ingiunzione successivamente loro intimata dal legale (per il pagamento delle sue prestazioni, liquidate dall’Ordine degli Avvocati di Milano) i predetti si erano opposti alla domanda (petitum) eccependo nuovamente che le prestazioni giudiziarie del professionista sarebbero state svolte senza mandato (causa petendi) per pretesa rinuncia del medesimo all’incarico ricevuto. A fronte della identità delle due azioni (“petitum”:

negazione dell’obbligazione; causa petendi: difetto di mandato), la Corte Territoriale aveva erroneamente ritenuto che il giudicato non si fosse formato in quanto nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo la causa petendi era diversa da quella del giudizio promosso in prevenzione: nel secondo caso si trattava infatti di accertare “se l’avv. P. avesse assunto la rappresentanza dei quattro condomini con l’accordo che su di essi non gravasse alcun onere di pagamento, rientrando l’attività processuale prevista a loro nome nell’espletamento (o nel migliore espletamento) del mandato ricevuto dal Condominio”, tal che, rimanendo invariato il petitum (inesistenza dell’obbligazione) e la causa petendi (inesistenza del mandato dei quattro condomini perchè conferito nell’interesse del Condominio) occorreva accertare nel giudizio di opposizione se i condomini medesimi fossero stati esentati dall’obbligo di pagare, per effetto di un accordo intervenuto con il professionista. Per cui, non distinguendo tra “causa petendi” e i motivi addotti per illustrarla, il giudice d’appello aveva ritenuto che il giudicato avesse coperto soltanto il “dedotto”, ma non il deducibile (le nuove “argomentazioni”) consentendo la proliferazione di nuove azioni.

Ad avviso del ricorrente l’errata decisione della Corte meneghina era stata altresì resa “ultra petitum”, non essendo reperibile negli scritti difensivi dei quattro condomini nessuna traccia di domande, eccezioni, argomentazioni che potessero far pensare alla richiesta di accertamento di un preteso accordo intervenuto tra gli stessi ed esso P. per trasferire su un terzo (il Condominio), e in suo “sfavore”, la loro obbligazione.

Contesta in ogni caso l’avvocato P. le argomentazioni con cui la Corte territoriale aveva ritenuto, d’ufficio, provato l’inesistente accordo, avendo quel giudice fondato i suoi convincimenti su affermazioni di parte, su opinioni di terzi entrambe non validamente confermate o su opinioni proprie o su inesistenti indizi.

Osserva infine che la Corte milanese non si era pronunciata su questioni irrisolte, in quanto ritenute assorbite.

Il ricorso va accolto per le ragioni che qui di seguito vanno ad esporsi.

Considerato quale tema preliminare quello dell’esistenza di un giudicato esterno già formatosi tra le parti che, in ipotesi, precludesse l’esame di tutte o di alcune delle questioni sollevate nella presente causa dagli opponenti il decreto ingiuntivo, ha ricordato in punto di fatto la Corte territoriale:

Nel primo giudizio gli appellanti, attuali resistenti, dopo aver ricevuto il 12.1.99 dal legale una richiesta di pagamento di L. 62.890.344 per le medesime prestazioni professionali monitoriamente azionate nel secondo giudizio, avevano chiesto al giudice che “accertato che l’intervento “ad adiuvandum” degli attori nella causa 458/93 (del Tribunale di Monza) e(ra) stato sollecitato dall’avv. P. quale legale del Condominio (OMISSIS) a seguito di eccezioni di controparte;accertato che l’opera professionale e(ra) stata svolta a vantaggio esclusivo del Condominio; accertato che per detta opera a(veva) conseguito l’importo di L. 135.333.843, (di) dichiarare che nulla e(ra) dovuto dagli attori per prestazioni dell’avv. P. ed, in particolare, (di) accertare l’illegittimità della pretesa della somma…..richiesta”.

Tale domanda era stata in dispositivo “rigettata” sulla scorta di una sintetica motivazione che aveva verificato l’inadempimento dell’onere della prova spettante agli attori, pur nella contumacia del convenuto: “sulla base di quanto gli attori a(vevano) documentato, non vi e(rano) elementi certi per poter escludere che quella somma (richiesta), o comunque una somma inferiore, (fosse) dovuta all’avv. P.”.

Incidentalmente quel giudice aveva anche notato come “la somma chiesta dal professionista con la lettera del 12.1.99 appa(riva) esosa se rapportata all’attività che quest’ultimo risulterebbe aver prestato…..sarebbe (stato) forse opportuno, prima di introdurre l’azione in prevenzione, ottenere dall’avv. P. la specifica delle competenze, in modo da conoscere meglio di quali attività volesse essere compensato…..(e) contrastare quelle attività non riferibili alla rappresentanza in proprio, rappresentanza che e(ra) stata comunque conferita al professionista dagli attori e che a(veva) legittimato lo stesso a proseguire la causa nel loro interesse anche dopo la rinuncia alla difesa del Condominio, come emerge(va) dagli atti del giudizio prodotti”.

Ciò premesso ha affermato la Corte milanese che già dal tenore delle riferite domande appariva in concreto evidente la parziale diversità oggettiva tra quella prima causa e la presente, se non per la palese differente formulazione dei rispettivi “petita” (di accertamento negativo e di contrapposta domanda di pagamento), almeno nel senso che nella prima non si faceva questione di quel che costituiva la principale “causa petendi” dell’attuale controversia e cioè se l’avv. P. avesse assunto la rappresentanza processuale dei quattro condomini con l’accordo che su di essi non gravasse alcun onere di pagamento, rientrando l’attività processuale prevista a loro nome nell’espletamento (o nel miglior espletamento) del mandato ricevuto dal Condominio. Nè poteva dirsi, secondo quel giudice, che, nel valutare quelle diverse domande, la prima decisione avesse comunque avuto ad oggetto, con conseguente efficacia preclusiva, un qualche accertamento anche sul tema della seconda controversia. Pur potendo invero tutt’al più rilevarsi (a prescindere dalla loro qualificazione di “obiter dicta”) che la prima sentenza prendeva posizione sulla non riferibilità della rinuncia del legale anche alla posizione processuale degli intervenuti, nonchè sulla sussistenza (anche) di un loro “interesse” in causa, nulla diceva – nè avrebbe potuto dire – quel primo giudice circa l’eventuale distinzione, nel caso di specie, tra i soggetti effettivamente conferenti la procura alla lite e quello tenuto a corrispondere il compenso professionale, cioè tra i partecipi del rapporto “esterno” processuale ed i titolari del rapporto “interno” di mandato professionale. Tal che nessun giudicato si era oggettivamente formato che accertasse od escludesse che i quattro sottoscrittori della procura alla lite fossero i “clienti” dell’avv. P..

Da un concreto esame dalla portata dell’evocato giudicato conseguiva dunque, ad avviso della Corte territoriale, per più argomenti, che ben poteva essere esaminata in quella sede l’eccezione di merito proposta dagli opponenti a fronte della domanda di pagamento azionata monitoriamente dal P., ed efficacemente espressa nell’interrogatorio libero del condomino R. il quale aveva affermato, che era stato l’avv. P., loro condomino, ad invitarli a casa sua una sera, invitandoli ad intervenire nel giudizio promosso dal Condominio “(OMISSIS)” a sostegno dello stesso;che tutti e quattro gli avevano conferito il mandato; che alla domanda del condomino M. se il loro intervento avrebbe comportato delle spese l’avv.to P. aveva risposto negativamente.

Osserva preliminarmente il Collegio che secondo quanto statuito da questa Suprema Corte a sezioni unite con la sentenza n. 24664 del 28 novembre 2007, posto che il giudicato va assimilato agli “elementi normativi”, cosicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi, ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’ interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (vedi anche Cass. n. 22883 del 9 settembre 2008).

Ebbene il riesame degli atti del processo ed in particolare della sentenza del Tribunale di Monza emessa nel primo giudizio “inter partes” e pacificamente passata in giudicato, riesame facilitato dalla diligente esposizione in fatto contenuta nella qui gravata pronunzia, conduce ad una interpretazione del giudicato esterno formatosi tra le parti medesime diversa da quella datane dalla Corte territoriale.

Invero, una volta accertato con forza di giudicato che una rappresentanza in proprio era stata comunque conferita all’avvocato P. dagli attuali resistenti, rappresentanza che aveva legittimato il professionista a proseguire il primo giudizio nel loro interesse anche dopo la rinuncia alla difesa del Condominio e che sulla base di quanto documentato dagli stessi attori nel primo giudizio svoltosi innanzi al Tribunale di Monza quel giudice, nel respingere la domanda di accertamento negativo, aveva statuito non esservi elementi certi per poter escludere che la somma ivi richiesta per prestazioni professionali o comunque una somma inferiore fosse dovuta al professionista medesimo, non può certo condividersi l’affermazione della Corte meneghina secondo cui nessun giudicato si era oggettivamente formato che accertasse od escludesse che i quattro sottoscrittori della procura alla lite fossero i “clienti” dell’avv. P. e, come tali, tenuti al compenso per l’attività da questi svolta in loro favore, compenso di cui essi avevano chiesto fosse accertata la non debenza.

Ed in tale contesto, contrariamente all’assunto della Corte territoriale, diventa improponibile, in quanto preclusa dal giudicato, l’eccezione di merito avanzata dai quattro condomini nel secondo giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo richiesto dal P. per il pagamento delle stesse prestazioni professionali oggetto della domanda di accertamento negativo respinta dal Tribunale monzese, – secondo cui il professionista aveva assunto la rappresentanza processuale dei medesimi con l’accordo che su di essi non gravasse alcun onere di pagamento, rientrando l’attività processuale prevista a loro nome nell’espletamento (o nel migliore espletamento) del mandato ricevuto dal Condominio.

E’ evidente che non ha senso, ai fini della esclusione della formazione del giudicato, l’affermazione del giudice d’appello secondo cui nella prima causa non si faceva questione del menzionato accordo, essendo questo implicitamente escluso dalle diverse argomentazioni difensive degli attori a sostegno della loro richiesta di accertamento della illegittimità della pretesa avversaria di corresponsione di somme per prestazioni professionali.

E’ noto infatti che il giudicato copre il dedotto e il deducibile, cioè non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione o di eccezione, e, comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni che, non dedotte in giudizio, tuttavia costituiscono presupposto logico e indefettibile della decisione stessa, restando salva e impregiudicata soltanto l’eventuale sopravvenienza di fatti e situazioni nuove (Cass. n. 11493/2004). Ed è indubbio che nel caso di specie la mancanza di un accordo nel senso sopra specificato, sia pur non dedotta in giudizio, costituisse presupposto logico dell’azione instaurata nella prima causa e della conseguente decisione in essa resa.

Alla stregua delle svolte argomentazioni l’impugnata sentenza va cassata con remissione della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Milano che la riesaminerà alla luce della diversa interpretazione del giudicato esterno come sopra espressa da questo giudice di legittimità e che provvederà altresì in ordine alle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

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