Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5417 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5417 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 13935-2008 proposto da:
VENTURINI

GIUSEPPE

(VNTGPP42H02D0264L),

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA RABIRIO l, presso lo studio
dell’avvocato DE GREGORIO GIULIO MARIA, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato BELLI GIOVANNI giusta procura
speciale a margine;
– ricorrente contro

TRASCINELLI

AURELIO

(TRSRLA30A16G337R),

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA APPIO CLAUDIO 289, presso lo studio
dell’avvocato GERMANI GIANCARLO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CORRADI LUIGI giusta mandato a
margine;
,

t3T

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 620/2007 della CORTE D’APPELLO di
BOLOGNA, depositata il 15/05/2007, R.G.N. 286/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 20/01/2014 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
1

Data pubblicazione: 07/03/2014

udito l’Avvocato GIANCARLO GERMANI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
l. – Aurelio Trascinelli, titolare della ditta
individuale A.TRA, evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale

mediatore di salumi, al fine di ottenere il pagamento della
residua somma (stante l’operato versamento da parte del
convenuto dell’importo di lire 20 milioni) relativa al prezzo
(pari ad oltre lire 51 milioni) della fornitura di un
migliaio di prosciutti alla ditta F.11i Guglielmini s.r.1.,
della cui solvibilità il Venturini medesimo si era reso
garante
1.1. – Il giudice di primo grado accoglieva la domanda
attorea, ritenendo sussistente il rapporto fideiussorio inter
pertes,

in forza del quale il Trascinelli aveva diritto ad

escutere il Venturini in luogo del debitore principale, nel
frattempo fallito; respingeva, poi, le domande
riconvenzionali del Venturini in quanto assorbite
dall’accoglimento della domanda principale, giacché lo stesso
attore aveva richiesto che fosse operata la compensazione con
le somme da lui dovute allo stesso Venturini; condannava,
quindi, il convenuto a corrispondere all’attore la somma di
euro 10.407,54, oltre interessi legali dalla domanda al saldo
ed il maggior danno determinato nella misura del 5%, nonché
alla rifusione delle spese legali.
2. – Il gravame proposto dal Venturini avverso tale
sentenza veniva rigettato dalla Corte di appello di Bologna
con sentenza resa pubblica il 15 maggio 2007 e l’appellante
condannato anche al pagamento delle spese del secondo grado
di giudizio.
2.1. – La Corte territoriale, sulla scorta delle
emergenze probatorie (e, segnatamente, della deposizione del
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di Reggio Emilia, Giuseppe Venturini, all’epoca dei fatti

teste Reggi, ritenuta ammissibile non solo in rapporto al
limite, superabile, di prova testimoniale di cui all’art.
2721 cod. civ., ma anche per l’assenza tempestiva eccezione
che al riguardo avrebbe dovuto formulare il Venturini),
reputava esistente, al pari del giudice di primo grado, il
rapporto fideiussorio insorto tra le parti, osservando che
l’impegno assunto in tal senso dal Vtnturini non era smentito

quest’ultimo avesse versato al Trascinelli la somma di lire
venti milioni facendo riferimento “alla propria onorabilità
ed alla necessità di non coinvolgere la sua immagine
professionale”; ed anzi, “tenuto conto del potere di acquisto
del danaro all’epoca dell’avvenuto pagamento (anno 1988)”, la
dazione della somma poteva trovare giustificazione – ad
avviso del giudice di merito – “solo in un preciso impegno di
tipo fideiussorio assunto in precedenza dal Venturini in tal
senso”.
2.2. – In ordine, poi, alla censura dell’appellante per
cui il Tribunale non avrebbe tenuto conto della dicitura “a
saldo della fattura 189” apposta in calce alla quietanza
prodotta in giudizio, il giudice del gravame osservava che
era stato lo stesso Venturini ad ammettere, nel corso del suo
interrogatorio formale, di aver apposto personalmente e di
suo pugno la dicitura su menzionata, là dove il Trascinelli,
invece, aveva sempre negato di aver autorizzato l’aggiunta di
una tale espressione; circostanze, queste, corroborate dalla
deposizione resa dal teste Reggi. Inoltre, la Corte
territoriale assumeva che la raccomandata in data 4 giugno
1988, “spedita solo dopo tre giorni dall’avvenuto pagamento
dei venti milioni e nella quale si avanza la proposta di
pagare per la fattura n. 189 il 50% dell’imponibile”, non
avrebbe avuto “senso se il saldo del suddetto documento
contabile fosse stato definitivamente chiuso in precedenza
con il pagamento dell’importo portato dalla quietanza”.

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dal fatto – con esso da ritenersi non incompatibile – che

2.3. – Il giudice di appello riteneva, altresì, che il
maggior danno in favore del Trascinelli fosse dovuto in
ragione della “prova circa l’esposizione debitoria
dell’attore con riferimento al proprio conto corrente” e
della “sua qualità di imprenditore commerciale che necessita
di liquidità”.
2.4. – Quanto, infine, alla condanna alle spese legali

Tribunale aveva “fatto buon uso del principio della
soccombenza, posto che la domanda riconvenzionale mirava al
recupero di crediti vantati dall’appellante nei confronti del
Trascinelli, ma che costui aveva già posto in compensazione,
tant’è che la somma richiesta dal secondo è costituita dalla
differenza tra il pagamento del residuo prezzo per la
fornitura della merce ai Giacomelli ed i debiti del titolare
dell’A.TRA verso il mediatore”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre Giuseppe
Venturini, affidando le sorti dell’impugnazione a sette
motivi.
Resiste con controricorso Aurelio Trascinelli, quale
titolare della ditta individuale A.TRA.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo mezzo, assistito da quesito di diritto,
è denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3,
cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli
articoli 1937, 1941, 1366 e 1371 cod. civ.
La Corte d’Appello avrebbe errato nel considerare
perfezionato l’accordo fideiussorio che consentiva al
Trascinelli di escutere il Venturini in luogo del debitore
principale, omettendo di considerare, in contrasto con l’art.
1937 cod. civ., che la volontà di prestare fideiussione deve
essere espressa e che, allorché non consacrata in un atto
scritto, essa deve emergere, inequivocabilmente, “da
circostanze chiare, precise e concordanti al di là di ogni
ragionevole dubbio”, nonché essere interpretata secondo
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di primo grado, la Corte territoriale evidenziava che il

l'”equo contemperamento degli interessi delle parti”, in
funzione del “contesto soggettivo” nella quale è maturata.
Invero, l’inequivocità della volontà di esso Venturini di
obbligarsi come fideiussore non avrebbe potuto desumersi
dalla deposizione del teste Reggi, dalla quale non emergeva
“una concordanza piena ed al di là di ogni ragionevole dubbio
in ordine al perfezionamento del presunto accordo”. Inoltre,

intenzione delle parti, non dando rilievo al fatto che il
mediatore si era risolto al pagamento “a saldo” della
fornitura “esclusivamente al fine di preservare la propria
immagine e serietà professionale”.
1.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.
Esso, infatti, nonostante evochi una violazione di
legge, è essenzialmente orientato a porre in discussione
l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione
delle emergenze probatorie tramite una ricostruzione delle
stesse risultanze in senso favorevole alla parte ricorrente
e, dunque, surrogandosi, in modo inammissibile, al potere
riservato in siffatto ambito esclusivamente a detto giudice.
Operazione, questa, non solo non consentita, ma, nella
specie, anche non concludente, giacché la delibazione della
Corte territoriale (sintetizzata nel § 2.1. del “Ritenuto in
fatto”) appare logicamente plausibile e in armonia con le
coordinate giuridiche della materia, posto che, nello
specifico dell’attività di mediazione, questa Corte ha già
enunciato il principio per cui “la garanzia personale che, ai
sensi dell’art. 1763 cod. civ., il mediatore può prestare per
l’adempimento delle prestazioni di una delle parti del
contratto concluso per il suo tramite è regolata dai principi
propri della fideiussione ed, ai sensi dell’art. 1937 cod.
civ., deve, quindi, risultare da una volontà espressa: che,
cioè, anche se non sono necessarie la forma scritta o formule
sacramentali, sia, espressamente manifestata in un patto del
quale è possibile la prova con ogni mezzo, ed anche, quindi,
5

il giudice del gravame avrebbe mal compreso la comune

con testimoni o per presunzioni” (Cass., 17 ottobre 1992, n.
11413). Là dove la valutazione circa la sussistenza e i
limiti della fideiussione costituisce apprezzamento di fatto
insindacabile in sede di legittimità, quando la relativa
indagine sia sorretta da motivazione congrua e immune da vizi
logici o giuridici (tra le prime, Cass., 13 dicembre 1966, n.
2897).
ex art.

366-bis cod. proc. civ., è dedotta, in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2702 cc.; è altresì denunciato
un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma,
n. 5, cod. proc. civ.
La Corte territoriale avrebbe errato, in violazione del
disposto di cui all’art. 2702 cod. civ., ad escludere – in
base, segnatamente, agli esiti dell’interrogatorio formale di
esso Venturini, di quello libero del Trascinelli e della
prova testimoniale – che la scrittura privata sottoscritta
dallo stesso Trascinelli, ove compariva la dicitura “a saldo
ft. 189” (apposta “sulla matrice dell’assegno” per lire 20
milioni, versati da esso Venturini), potesse avere pieno
valore, sino a querela di falso. Ciò in quanto, al fine “di
aversi piena prova del contenuto della scrittura privata”, si
sarebbe dovuto attribuire rilievo alla “sola sottoscrizione”.
2.1. – Il motivo è infondato.
Giova premettere che, alla stregua di un orientamento
consolidato di questa Corte (tra le tante, Cass., 10 marzo
2006, n. 5245; Cass., 11 gennaio 2002, n. 308), la denunzia
dell’abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco
postula la proposizione della querela di falso tutte le volte
in cui il riempimento risulti avvenuto

absgue pactis,

non

anche nell’ipotesi in cui il riempimento abbia avuto luogo
contra pacta.
Nella specie, la Corte territoriale, in forza di
accertamento che non è stato censurato nella sua intrinseca
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2. Con il secondo mezzo, assistito da quesito

efficacia (e che, dunque, deve ritenersi ormai stabile), è
giunta alla conclusione che l’apposizione della dicitura “a
saldo ft. 189”, sulla matrice dell’assegno di lire 20 milioni
versato dal Venturini al Trascinelli e da quest’ultimo
sottoscritta, sia opera del Venturini (come da questi
confermato in sede di interrogatorio formale) in contrasto
con quanto voluto dal Trascinelli (che negava

assunto in sede di interrogatorio e come corroborato dalla
deposizione del teste Reggi, che aveva specificamente
riferito di un negato consenso dello stesso Trascinelli alla
richiesta del Venturini di apporre la dicitura anzidetta).
Si tratta, dunque, di riempimento abusivo della
scrittura privata avvenuto

contra pacta, come

tale non

soggetto alla proposizione della querela di falso, ma
suscettibile di apprezzamento da parte del giudice del merito
in base al corredo probatorio ritualmente acquisito, come è,
per l’appunto, avvenuto nella controversia in esame.
Non può, del resto, sottacersi che, nel caso di specie,
la necessità di proposizione della querela di falso avverso
la scrittura privata sottoscritta dal Trascinelli è comunque
da escludere anche in ragione del fatto, accertato – come
visto – dal giudice del merito, che è stato lo stesso
Venturini a confessare (in sede di interrogatorio formale) di
aver apposto la dicitura su cui si discute (“a saldo ft.
189”) e, dunque, ad orientare la confessione sulla
provenienza della dichiarazione anzidetta da un soggetto
diverso da colui che l’aveva sottoscritta. Viene, dunque, in
rilievo una confessione idonea ad elidere il carattere di
piena prova della scrittura privata in ordine alla
provenienza dell’atto da parte di chi ne risulta
sottoscrittore, rendendo così superflua la proposizione della
querela di falso, in quanto essa verte direttamente sul fatto
della insussistenza di tale provenienza per avere il
confitente riconosciuto espressamente la mancanza di

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l’autorizzazione in tal senso, secondo quanto dal medesimo

collegamento fra la dichiarazione e la sottoscrizione della
scrittura da lui prodotta in giudizio a fondamento della
pretesa (Cass., 9 maggio 1981, n. 3068).
3. – Con il terzo mezzo, assistito da quesito di
diritto, è prospettata violazione e falsa applicazione, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3., cod. proc. civ.,
dell’art. 1941, secondo comma, cod. civ.

se anche volesse ammettersi l’esistenza di un rapporto
fideiussorio, l’intento del presunto fideiussore di eseguire
il pagamento al fine di estinguere l’obbligazione, come
risulta confermato dalla dicitura “a saldo” apposta sulla
matrice dell’assegno versato al Trascinelli. Sicché,
l’impegno fideiussorio avrebbe dovuto essere contenuto nel
limite dell’importo del predetto assegno, di lire 20 milioni.
3.1. – Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, prescinde totalmente dalla ratio
decidendi

della sentenza impugnata, la quale ha escluso –

sulla scorta dell’apprezzamento delle prove raccolte, che non
viene fatto direttamente oggetto di censura con il mezzo in
esame – che l’assegno di lire 20 milioni versato dal
Venturini fosse a saldo della maggiore pretesa principale
vantata dal Trascinelli, pari a oltre lire 51 milioni, e
rispetto alla quale si era perfezionato l’accordo
fideiussorio.
Inoltre, essendo il versamento dell’assegno di lire
venti milioni solo successivo all’originarsi dell’impegno
fideiussorio, appare pure incongruamente evocato il precetto
normativo del secondo comma dell’art. 1941 cod. civ., posto
che, nel caso in esame, la fideiussione era stata già
prestata per l’intero debito principale (e non già “per una
parte soltanto del debito” medesimo), per cui si sarebbe
trattato, semmai, di una modificazione dell’obbligazione
inizialmente assunta, quale fattispecie, materiale e legale,
che, però, non è stata affatto allegata dal ricorrente e che,
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La Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare,

in ogni caso, una volta esclusa la valenza del versamento “a
saldo” dell’assegno – alla stregua di quanto già evidenziato
– non potrebbe più trovare ingresso.
4. – Con il quarto mezzo, assistito da quesito di
diritto, è denunciata, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2721 cc..

sollevata nei gradi di merito in ordine alla violazione dei
limiti di valore della prova testimoniale, la cui deroga,
resa ammissibile ai sensi dell’art. 2721, secondo comma, cod.
civ. Avrebbe, quindi, errato la Corte territoriale ad
ammettere la prova testimoniale a fronte di “un presunto
contratto avente ad oggetto un’esposizione debitoria di
considerevole importo: 40.000.000 lire nel 1988”.
4.1. – Il motivo è inammissibile.
E’ assorbente al riguardo rilevare che non è in alcun
modo censurata l’ulteriore

ratio decidendi

della sentenza

impugnata che, in armonia con l’orientamento consolidato di
questa Corte (tra le tante, Cass., 30 marzo 2010, n. 7765;
Cass., 19 settembre 2013, n. 21443), ha ritenuto necessaria
la tempestiva eccezione di inammissibilità (da effettuarsi
prima dell’ammissione del mezzo istruttorio) e poi di nullità
(ove la prova venga comunque espletata, da sollevarsi nella
prima istanza o difesa successiva all’atto, o alla notizia di
esso, ai sensi dell’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ.)
della prova testimoniale in deroga ai limiti posti dall’art.
2721 cod. civ. ed ha poi escluso che, nella specie, tale
eccezione fosse stata sollevata (“nell’immediatezza né in
sede di deposito della comparsa conclusionale in primo
grado”), deducendone “che la parte è decaduta da qualsiasi
potere in questa sede e l’esito della prova resta ormai
definitivamente acquisito agli atti di causa” (così p. 7
della sentenza impugnata).

9

Il ricorrente assume di reiterare l’eccezione già

Sicché, , deve trovare applicazione il principio
consolidato (tra le tante, Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108)
secondo cui, “qualora la decisione di merito si fondi su di
una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome,
singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e
giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad
una delle

rationes decidendi

rende inammissibili, per

altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in
quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante
l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della
decisione stessa”.
5.- Con il quinto mezzo, assistito da quesito di
diritto, è denunciata, in relazione all’articolo 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2722 cc..
La Corte territoriale avrebbe errato nell’ammettere e
valutare la prova testimoniale in ordine a patti contrari
contestuali o aggiunti alla quietanza di saldo sottoscritta
dal Trascinelli, quale “sola realtà” presente “agli atti del
giudizio”.
5.1. – Il motivo è infondato.
Anche a prescindere dal fatto che – come messo in
risalto nello scrutinio del mezzo che precede – sarebbe stata
(semmai ed eventualmente) necessaria al riguardo una
tempestiva eccezione della parte interessata nei gradi di
merito, la cui proposizione neppure viene supposta con il
presente motivo, è da osservare, in via dirimente, che il
richiamo all’art. 2722 cod. civ., del quale si assume la
violazione, è fuor di luogo, giacché il divieto da esso
stabilito, di provare per testi patti aggiunti o contrari al
contenuto di un documento, si riferisce al documento
contrattuale, ossia formato con l’intervento di entrambe le
parti e racchiudente una convenzione, e non opera, dunque, in
riferimento alla quietanza, in quanto quest’ultima

lo

sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle

costituisce atto contenente una dichiarazione unilaterale
(Cass., 20 marzo 2006, n. 6109; Cass., 19 marzo 2009, n.
6685).
Peraltro, la prospettazione del ricorrente sovverte
palesemente, e in modo inammissibile, l’accertamento di fatto
compiuto dal giudice del merito, asserendo la anteriorità
ovvero la contestualità della asserita “quietanza a saldo”
l’apposizione della dicitura “a saldo” sulla

matrice dell’assegno di lire 20 milioni) rispetto
all’originarsi dell’impegno fideiussorio, con ciò venendo
logicamente a cozzare con la stessa fisiologica
configurazione giuridica del pagamento quale effetto
solutorio pertinente ad una obbligazione già sorta.
6. – Con il sesto mezzo, assistito da quesito di
diritto, è prospettata, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione
del disposto di cui all’art. 1224 cod. civ.
La Corte d’appello di Bologna avrebbe erroneamente
applicato l’art 1224 cod. civ., riconoscendo fondata
l’esistenza di un ulteriore danno in capo al Trascinelli,
nonostante che lo stesso avesse completamente omesso di
fornire la prova del maggior pregiudizio economico subito in
conseguenza del mancato pagamento del proprio presunto
credito. Senza, poi, considerare l’ingiustificato
arricchimento in capo al predetto derivato dall'”utile
conseguente il passaggio a perdita del proprio credito” e
dall'”IVA per la sua ditta recuperabile”.
6.1. – Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, muove da un presupposto che contrasta con
gli esiti dell’accertamento al quale è pervenuto il giudice
del merito, il quale ha dato espressamente conto, ai fini del
riconoscimento del maggior danno ai sensi dell’art. 1224 cod.
civ., della prova raggiunta in ordine alla “esposizione
debitoria dell’attore con riferimento al proprio conto
corrente e la sua qualità di imprenditore commerciale che
11

(rectius:

necessita di liquidità”, assumendo, inoltre, che la deduzione
del convenuto in ordine al presunto indebito arricchimento
del Trascinelli era “assolutamente priva di prova”.
Quanto rilevato risulta assorbente anche a prescindere
dal diverso atteggiarsi del rigore probatorio che si impone
in funzione della misura pretesa del maggior danno (cfr. in
tale prospettiva, Cass., sez. un., 16 luglio 2008, n. 19499),

dunque, dello stesso Trascinelli) e di cui, in ogni caso, la
doglianza del ricorrente non si fa in alcun modo carico.
7. – Con il settimo mezzo, assistito da quesito di
diritto, è dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma,
n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione
dell’art. 91 cod. proc. civ.
La Corte territoriale avrebbe errato nell’applicazione
degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., ponendo le spese di
lite, per intero, a carico di esso Venturini, nonostante che
l’esito della causa di primo grado avesse determinato una
“soccombenza reciproca di tipo sostanziale”, posto che la
domanda riconvenzionale da esso proposta non era stata
accolta in ragione di una erronea “interpretazione
dell’operatività dell’istituto giuridico della
compensazione”. Sicché, il giudice dell’appello avrebbe
dovuto procedere a una compensazione, parziale o per intero,
delle spese tra le parti.
7.1. – Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo
grado in punto di condanna del Venturini al pagamento
integrale delle relative spese processuali, escludendo la
sussistenza di una soccombenza reciproca in quanto l’attore
aveva già ridotto la propria pretesa in funzione dei crediti
vantati dal convenuto e da questi pretesi con la domanda
riconvenzionale; ha, poi, condannato lo stesso Venturini al
pagamento delle spese del secondo grado a seguito della
reiezione del gravame.
12

che, semmai, potrebbe operare in favore del creditore (e,

La decisione della Corte territoriale è, dunque,
coerente con l’orientamento stabile di questa Corte (Cass.,
16 giungo 2011, n. 13229; Cass., 11 gennaio 2008, n. 406),
secondo cui, in materia di spese processuali,
l’identificazione della parte soccombente (nella specie, per
l’appunto, il Venturini) è rimessa al potere decisionale del
giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con

non possono essere poste a carico della parte totalmente
vittoriosa (il che, nella specie, non è avvenuto).
8. – Il ricorso va, dunque, rigettato e il ricorrente,
in quanto soccombente, condannato al pagamento delle spese
del presente giudizio di legittimità, come liquidate in
dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi
euro 2.220,00, di cui euro 200,00, per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in
data 20 gennaio 2014.

l’unico limite di violazione del principio per cui le spese

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