Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5415 del 07/03/2018
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5415 Anno 2018
Presidente: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI
Relatore: TEDESCO GIUSEPPE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10195/gO14R.G. proposto da
Franco Vago S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Marco Turci
e Alessandro Fruscione, con domicilio eletto in Roma, via
Giambattista Vico, presso lo studio dell’avv. Alessandro Fruscione;
-ricorrente CO ntro
Agenzia delle dogane;
-intimataavverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Toscana n. 417/30/14, depositata il 24 febbraio 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre
2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.
Rilevato che:
– la Franco Vago S.p.A. ha impugnato due avvisi di rettifica
emessi dall’Agenzia delle dogane di Firenze per il recupero di Iva
all’importazione scaturente dalla omessa introduzione fisica di merce
di provenienza extracomunitaria nel deposito fiscale Iva gestito in
modo virtuale dalla Franco Vago S.p.A., circostanza che, per l’Ufficio,
Data pubblicazione: 07/03/2018
aveva
reso
illegittimo
l’assolvimento
dell’Iva
mediante
autofatturazione ai sensi dell’art. 50-bis del d.l. n. 331 del 1993;
– l’Ufficio quindi richiedeva in solido all’importatore ed al gestore il
versamento dell’Iva non effettuato all’atto dell’importazione;
– la sentenza di primo grado, sfavorevole per la contribuente e per
tributaria regionale della Toscana;
– il giudice di appello, posta la premessa che la virtualità della
gestione del deposito risultava dalla sentenza
penale di
patteggiamento resa nei confronti del gestore del deposito,
condivideva la valutazione dell’Ufficio sulla essenzialità, al fine di
riconoscere l’efficacia dell’autofattura, della introduzione fisica della
merce nel deposito Iva;
– contro la sentenza la società ha ricorso per cassazione, affidato a
cinque motivi;
-l’Agenzia delle dogane è rimasta intimata.
Considerato che:
– il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo,
n. 5, c.p.c., violazione dell’art. 50-bis, comma 4, lett. b, del d.l. 331
del 1993;
– il giudice d’appello ha ritenuto, in contrasto con i documenti
prodotti, che la merce non fosse transitata nel deposito fiscale ai fini
Iva, ponendo a base del proprio convincimento la sentenza penale di
patteggiamento resa nei confronti del legale rappresentante, tuttavia
non comprendendo la portata di tale statuizione;
– il motivo è inammissibile, perché sotto lo schermo della
violazione di legge, denuncia la valutazione in fatto compiuto dai
giudici di merito;
– è del pari inammissibile il secondo motivo, il quale denuncia in
relazione all’art 360, comma primo, n. 3, c.p.c. violazione e falsa
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il gestore del deposito, è stata confermata dalla Commissione
applicazione dell’art. 444 c.p.c. ravvisata nella errata valutazione
della sentenza penale di patteggiamento;
– la ricorrente si duole di una valutazione sul contenuto di un
documento del quale, però, non trascrive i passi che ritiene
malamente intesi, precludendo quindi alla Corte di comprendere il
– resta da aggiungere che la sentenza impugnata, là dove ha
ritenuto di poter valorizzare la sentenza di patteggiamento ai fini
della prova della falsità delle annotazioni di introduzione della merce
nel deposito Iva, è in linea con il consolidato principio secondo cui
una tale pronuncia costituisce indiscutibile elemento di prova per il
giudice, il quale, ove intenda disconoscerne l’efficacia probatoria, ha il
dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una
sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato
fede a tale ammissione: detto riconoscimento, pertanto, pur non
essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato,
ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel
giudizio di legittimità dell’accertamento (tra altre, Cass. n. 2724 del
2001; n. 19505 del 2003, n. 24587 del 2010; n. 13034/2017);
– il terzo motivo
denuncia, in relazione all’art. 360, comma
primo, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2 e 10 della Direttiva
77/388/CEE, 2 della Direttiva 2006/112/CE, 2 del Regolamento n.
1553/1989, 1, 17, 19,23, 25, 60, 67 del d.P.R. n. 633 del 1972, 6,
comma 9 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, per aver la CTR
erroneamente negato l’efficacia dell’assolvimento dell’imposta operato
dall’importatore mediante autofatturazione;
– il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma
primo, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 50 bis, comma 4, d.l. n.
331 del 1993, conv. con mod. nella I. n. 427 del 1993, e/o 2, 3, 4 del
d.nn. 20 ottobre 1997, n. 419, 16, comma 5 bis, d.l. n. 185 del 2008,
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senso della censura;
conv. nella I. n. 2 del 2009, 16 della Sesta Direttiva IVA, 157 della
Direttiva IVA 2006/112/CE;
– la Ctr ha ritenuto l’introduzione fisica delle merci in deposito
requisito essenziale della fattispecie, essendo invece sufficiente una
introduzione solo documentale;
seguito indicati;
– occorre ricordare in primo luogo che, in tema, è intervenuta la
CGUE, con la sentenza 17 luglio 2014, in causa C-272/13, Equoland
Soc. coop. a r.I., la quale ha fissato i seguenti principi:
1) l’art. 16, par. 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio,
del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni
degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema
comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme,
come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14
febbraio 2006, nella sua versione risultante dall’articolo 28 quater
della sesta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non
osta a una normativa nazionale che subordini la concessione
dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto
all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le
merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini di tale
imposta siano fisicamente introdotte nel medesimo;
2)
la sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva
2006/18, deve essere interpretata nel senso che, conformemente al
principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad
una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro
richiede
il
pagamento
dell’imposta
sul
valore
aggiunto
all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata
nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante
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– i motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei limiti di
un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e
delle vendite del soggetto passivo;
-ebbene la normativa italiana prevede per la sospensione
d’imposta, l’introduzione fisica della merce nel deposito, come
affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis n. 10911
come riconosciuto dalla citata sentenza della CGUE (“il legislatore
italiano ha previsto che, al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal
pagamento dell’IVA all’importazione, il soggetto passivo abbia
l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito
fiscale”);
– tuttavia, in base ai principi ai principi formulati dalla Corte di
Giustizia, l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il
pagamento dell’IVA all’importazione dal soggetto passivo che, non
avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è
illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al D.L. n.
331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, lett. b),
convertito, con
modificazioni, nella L. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già
provveduto all’adempimento, sia pur tardivo, dell’obbligazione
tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile
mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli
acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del
versamento
dell’IVA,
realizzata
dall’importatore
per effetto
dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura
formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla
detrazione (Cass. n. 19749/2014, 16109/2015, 15988/2015,
17815/2015 e altre);
– il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 50 bis, comma
8, d.l. n. 331 del 1993 conv. con mod. nella I. n. 427 del 1993, e
dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.
per avere la Ctr riconosciuto la responsabilità del gestore del deposito
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del 2016; n. 17011 del 2016; da n. 15987 a n. 15995 del 2015) e
Iva per il versamento dell’imposta assolta dall’importatore in regime
di reverse charge;
– esso è assorbito dall’accoglimento dei motivi precedenti
– in conclusione inammissibile il primo e il secondo motivo; fondati
nei limiti di cui sopra il terzo e il quarto; assorbito il quinto;
solo il pagamento dell’imposta, e non essendo quindi necessari
ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con
l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente contro i due
avvisi di rettifica;
– avuto riguardo al fatto che la sentenza della Corte di Giustizia è
intervenuta in un secondo tempo, si ravvisano le condizioni per
disporre la compensazione delle spese di lite dell’intero giudizio;
P.Q.M.
dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso;
dichiara assorbito il quinto; accoglie, nei sensi di cui in motivazione il
terzo e il quarto motivo; cassa la sentenza e, decidendo nel merito,
accoglie l’originario ricorso del contribuente; dichiara compensate le
spese dell’intero giudizio
Roma 24 ottobre 2017.
Il Presidente
– posto che nel caso in esame la pretesa impositiva ha per oggetto