Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5413 del 26/02/2021

Cassazione civile sez. III, 26/02/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 26/02/2021), n.5413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14974/2018 proposto da:

T.A., TU.AL., quest’ultimo quale tutore del

fratello V., e tutti e tre in qualità di eredi della madre

P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PO 16/B, presso

lo studio dell’avvocato SABRINA PIZZICARIA, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SERGIO USAI;

– ricorrenti –

contro

ROMA CAPITALE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato ROSALDA ROCCHI,

che lo rappresenta e difende;

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE dello STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7103/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CARDINO Alberto.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 10/5/2018, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 7103/2017, depositata in data 11/11/2017, i sig.ri Tu.Al., in proprio e quale tutore del fratello T.V., e T.A., entrambi anche in qualità di eredi della sig.ra P.S., propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

Con separati controricorsi, resistono il Ministero della Salute e Roma Capitale.

2. Per quanto qui d’interesse, con atto di citazione notificato il 10-11/1/2005, i sig.ri P.S., in proprio e nella qualità di tutore del figlio interdetto T.V., Tu.Al. e T.A. convenivano il Ministero della Salute e Roma Capitale, innanzi al Tribunale di Roma, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti da T.V. per le lesioni riportate da complicanze scaturite dalla vaccinazione antipolio eseguita il (OMISSIS) presso la Condotta medica di (OMISSIS). Gli attori deducevano che in data (OMISSIS) V., dopo essere stato sottoposto cinque giorni prima da parte dei sanitari della USL RM (OMISSIS) alla quarta somministrazione di vaccinazione antipolio veniva urgentemente ricoverato presso il P.S. dell’Ospedale (OMISSIS) per una grave sindrome convulsiva con febbre altissima. In considerazione della gravità della situazione clinica, i sanitari lo facevano trasportare presso l’Ospedale “(OMISSIS)” dove in data (OMISSIS) veniva dimesso con diagnosi di “encefalite acuta”. Nel corso degli anni il quadro clinico del minore era andato successivamente peggiorando con degenerazione del sistema nervoso centrale e periferico clinicamente rappresentato da “tetraparesi spastica ed oligofrenia in esito ad encefalopatia” a seguito della quale, in data (OMISSIS), il Tribunale di Roma, ne dichiarava l’interdizione. In data 26/5/2001, la sig.ra P.S. presentava domanda al Ministero della Salute ai sensi della L. n. 210 del 1992 e in data 18/9/2002 la Commissione Medico Ospedaliera della Marina Militare di (OMISSIS) accertava l’esistenza di un nesso causale tra la vaccinazione antipolio e l’insorgenza della malattia, riconoscendo a T.V. il diritto all’indennità.

3. Istruita la causa con l’espletamento della prova testimoniale e CTU medico-legale sulla persona di T.V. – che riscontrava l’esistenza di un nesso eziologico tra la patologia di quest’ultimo e la somministrazione del vaccino, riconoscendogli una invalidità permanente del 100% – il Tribunale rigettava la domanda attorea per difetto di legittimazione passiva del Ministero, nonchè, nei confronti di Roma Capitale, per intervenuta prescrizione. La Corte d’Appello di Roma adita dai ricorrenti soccombenti, con la pronuncia in questa sede impugnata confermava la decisione di prime cure in punto di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento. Nella specie, rilevava che, trattandosi di un giudizio introdotto con atto di citazione del 10/1/2005, parte appellante avrebbe dovuto dimostrare che la conoscibilità del rapporto eziologico con la vaccinazione obbligatoria non potesse essere conseguita prima del 10/1/2000, gravando sulla parte che intenda contrastare l’eccezione di prescrizione fornire la prova dell’interruzione della stessa ovvero di una diversa e più favorevole decorrenza per fatto ad essa non imputabile. Riteneva, inoltre, che la conoscibilità del nesso di causalità nella fattispecie in esame risalisse ad epoca anteriore al 10/1/2000 poichè parte appellante, con la domanda ex L. n. 210 del 1992, del 28/5/2001 aveva richiesto l’indennizzo per il danno subito a causa di vaccinazione antipolio, così dimostrando una ipotetica consapevolezza del nesso di causalità, non vertendosi in una ipotesi di patologia silente, e considerando che le conoscenze scientifiche sui rischi da vaccinazione obbligatoria antipolio erano già noti da moltissimo tempo. Pertanto riteneva che il diritto fosse estinto per prescrizione già all’epoca della introduzione del giudizio.

La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. ed in vista dell’odierna Camera di consiglio il Pubblico Ministero presso la Corte ha depositato conclusioni per chiedere l’accoglimento del ricorso, mentre i ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Preliminarmente si osserva che sono prive di pregio le eccezioni formulate dai resistenti, sia sotto il profilo della autosufficienza, giacchè vi è sufficiente indicazione specifica degli atti sui quali il ricorso si fonda, sia sotto quello della pretesa prospettazione di questioni di fatto, atteso che i motivi prospettano questioni di diritto.

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2934,2935 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la Corte di Appello di Roma ha ritenuto che l’onere della prova circa l’avvenuta interruzione della prescrizione debba gravare in capo a chi intenda contrastare l’eccezione di prescrizione o sostenere una più favorevole decorrenza dei dies a quo”. Il giudice di secondo grado avrebbe violato il disposto di cui all’art. 2697 c.c., in tema di riparto dell’onere probatorio, poichè graverebbe sui convenuti, Ministero della Salute e Roma Capitale che avevano eccepito l’intervenuta prescrizione, dimostrare che gli attori erano a conoscenza del nesso eziologico tra la patologia di T.V. e la vaccinazione obbligatoria antipolio in data antecedente al 10/1/2000, in ciò dimostrando di avere male applicato le norme in tema di prescrizione.

1.1. Il motivo è fondato, con le precisazioni che seguono.

1.2. La Corte d’Appello, nel respingere la domanda risarcitoria degli appellanti per prescrizione del diritto azionato, ha così motivato:

“Nella fattispecie in esame, avendo riguardo al fatto che il giudizio è stato introdotto con atto di citazione notificato il 10.1.2005, parte appellante avrebbe dovuto dimostrare che la conoscibilità del rapporto eziologico con la vaccinazione obbligatoria non potesse essere conseguita prima del 10.1.2000. Ciò rileva per due ordini di ragioni ciascuno dei quali idoneo a determinare la reiezione dell’appello. In primo luogo si osserva che grava sulla parte che intenda contrastare l’eccezione di prescrizione fornire la prova dell’interruzione della stessa ovvero di una diversa e più favorevole decorrenza per fatto ad essa non imputabile. Esaminata la fattispecie in questione, sotto il profilo del riparto dell’onere della prova è evidente che l’insufficienza della prova che in concreto il diritto risarcitorio non avrebbe potuto essere fatto valere prima del 10/1/2000 determini la reiezione dell’appello. Parte appellante avrebbe dovuto allegare e dimostrare per quale ragione in concreto la conoscibilità della riferibilità eziologica non potesse risalire ad epoca anteriore a tale data” (pag. 5 della sentenza impugnata).

1.3. Nel valutare tale motivazione si deve innanzitutto partire dal rilievo che l’interruzione della prescrizione è un’eccezione, rectius una controeccezione (essendo idonea a paralizzare l’efficacia dell’eccezione di prescrizione), in senso lato. Le implicazioni di tale qualificazione riguardano il tema della sua introduzione e rilevazione nel processo (v. Sez. U., Sentenza n. 15661 del 27/7/2005). Ora, il fatto integratore di un’eccezione o controeccezione c.d. in senso lato ha la caratteristica che può essere introdotto nel processo sia dalla parte che se ne giova, secondo la fattispecie giuridica sub iudice, sia dalla controparte, sia emergere, pur senza attività di rilevazione dell’una o dell’altra, dagli atti del processo ed eventualmente anche dell’istruzione probatoria comunque esperita, giusta il principio di acquisizione processuale.

1.4. Tanto riguarda il modo in cui il fatto può entrare nel processo. Una volta entrato nel processo in uno dei modi indicati, il potere di rilevarne l’efficacia giuridica, nella specie appunto l’efficacia interruttiva della prescrizione, è sia della parte sia del giudice. Per quanto riguarda la parte che si avvantaggia del fatto l’attività di introduzione si può accompagnare a quella di rilevazione oppure no. La stessa parte può esercitare tale attività di rilevazione con riferimento all’introduzione del fatto (contro i suoi interessi, evidentemente) realizzata dalla controparte. L’attività di rilevazione d’ufficio da parte del giudice può realizzarsi poi nell’una come nell’altra ipotesi di introduzione in carenza di attività di rilevazione della parte che dell’eccezione o controeccezione si giova.

1.5. Naturalmente, una volta avvenuta nei modi indicati l’introduzione nel processo del fatto integratore dell’eccezione o della controeccezione in senso lato si può verificare che il veicolo con cui il fatto sia stato introdotto sia idoneo a svolgere funzione probatoria oppure no e tanto dà luogo al problema della rilevanza dell’onere della prova e concerne la concreta possibilità che il fatto, pur introdotto nel processo, possa giovare alla parte che, secondo la regola di distribuzione dell’onere della prova, se ne avvantaggia. L’attività di rilevazione della parte e quella d’ufficio del giudice possono spiegare concreti effetti solo se il fatto sia provato. Tanto concerne anche il fatto interruttivo della prescrizione.

1.6. Con riguardo al fatto interruttivo della prescrizione il problema dell’onere della prova concerne l’individuazione del soggetto su cui la mancata dimostrazione del fatto interruttivo, pur introdotto nel processo, ma non provato, debba gravare e, dunque, a monte l’individuazione di chi debba provarlo. E’ certo che l’onere della prova grava su chi fa valere il diritto soggetto ad un termine di prescrizione. Perchè emerga tale onere è sufficiente che risulti dimostrato in giudizio che il diritto è sorto e poteva dunque esercitarsi in un momento tale che, in mancanza di un pregresso fatto interruttivo, evidenzierebbe l’estinzione del diritto al momento in cui è stato invece fatto valere appunto per decorso della prescrizione.

1.7. La dimostrazione dell’insorgenza del diritto in un momento tale che se ne debba inferire che il titolare, per quanto emerge in atti, l’abbia fatto valere tardivamente è certamente a carico di chi eccepisce la prescrizione, perchè vale ad identificare la stessa eccezione di prescrizione come fatto estintivo del diritto. E, sotto tale profilo, partecipa della natura di eccezione in senso stretto propria dell’eccezione di prescrizione. E’ fatto di cui il soggetto passivo del diritto ha il monopolio della rilevazione dell’efficacia giuridica di eccezione. Al riguardo occorre distinguere. Il soggetto passivo, il convenuto, se lo stesso attore ha descritto la fattispecie costitutiva del diritto azionato in modo che si evidenzi l’insorgenza dello stesso in un momento in relazione al quale la prescrizione cui il diritto è soggetta risulti decorsa al momento in cui il diritto è stato esercitato, avendo lo stesso titolare contra se dimostrato il fatto integratore della tardività dell’esercizio può limitarsi – secondo la logica dell’eccezione in senso stretto – a rilevarne le conseguenze giuridiche. Ma solo lui lo può fare e deve farlo – si badi – sostenendo espressamente che il titolare ha allegato il diritto come sorto in un momento rispetto al quale la prescrizione era maturata, restando, invece, escluso che l’attività di rilevazione della inidoneità di quel momento possa ritenersi effettuata implicitamente con la indicazione di un momento di nascita del diritto in modo da poter essere esercitato diverso rispetto a quello, pur inidoneo, emergente dalla fattispecie allegata dal titolare. In tal caso, se detto diverso momento non si riveli idoneo a giustificare il decorso della prescrizione a norma dell’art. 2935 c.c., resterà escluso che l’erronea attività di proposizione dell’eccezione di prescrizione possa, per così dire, “recuperarsi”, con riferimento alla inidoneità del momento di possibile esercizio allegato dall’attore e ciò perchè, secondo il regime dell’eccezione in senso stretto, sarebbe stata necessaria espressa “rilevazione” di tale inidoneità, invece non compiuta. Se, invece, l’attore titolare del diritto abbia agito descrivendo la fattispecie costitutiva del diritto in modo che esso risulti a suo dire sorto da un momento in relazione al quale l’esercizio risulti tempestivo e naturalmente tale fattispecie sotto il profilo della verificazione risulti dimostrata, sebbene non con riferimento al tempo di insorgenza, allora – proprio perchè il fatto estintivo prescrizione è un’eccezione in senso stretto e considerato che fra i fatti costitutivi non rientra in conseguenza la dimostrazione della tempestività dell’esercizio, sicchè è sufficiente la mera allegazione e non la dimostrazione del momento in cui il diritto è sorto – l’attività di deduzione dell’eccezione di prescrizione impone al convenuto di individuare il diverso ed anteriore momento (rispetto a quello soltanto allegato dall’attore ed idoneo comunque a dimostrare l’esistenza del diritto) in cui il diritto sia sorto o meglio si sia manifestato nella sua fattispecie costitutiva in modo da potersi far valere (art. 2935 c.c.). Incombe a lui, al soggetto passivo del diritto, allora di individuare tale momento: poichè la rilevanza del momento di possibile esercizio del diritto inerisce al fatto prescrizione, in quanto è elemento costitutivo della relativa eccezione sotto il profilo fattuale, è palese che, nel proporre l’eccezione di prescrizione sia il convenuto a dover individuare il diverso (rispetto a quanto emergente dall’attività di allegazione svolta dall’attore) momento di insorgenza del diritto in modo tale ch’esso si sarebbe potuto far valere, con la derivante conseguenza che tardivo ne risulti l’esercizio. Una terza possibile situazione può verificarsi se l’attore, nel descrivere la fattispecie costitutiva del diritto non abbia fornito indicazioni tali da identificare il momento della sua insorgenza in modo tale poter essere fatto valere. In tal caso, per la verità difficilmente concepibile, dato che un diritto si identifica anche nel momento in cui insorge e, dunque, salvo controindicazioni, si dovrebbe poter far valere, il convenuto deve proporre l’eccezione di prescrizione indicando e provando il momento in cui il diritto è sorto e si poteva far valere.

1.8. In effetti, nel caso di specie gli attori avevano agito assumendo che il diritto fatto valere era emerso nel momento del responso della commissione medica. Di fronte a tale prospettazione i convenuti avevano eccepito che il diritto era sorto in modo da potere essere fatto valere a far tempo dalla trasfusione, cioè dal (OMISSIS). L’onere della prova della idoneità di tale momento ai sensi dell’art. 2935 c.c., gravava su di loro ed ineriva tale fatto alla stregua dell’art. 2697 c.c.. D’altro canto, ove dai fatti allegati, anche da quelli introdotti dagli stessi attori, fosse risultata una diversa fattispecie di manifestazione del diritto ai sensi dell’art. 2935 c.c., con la conseguenza dell’evidenziarsi il non tempestivo esercizio dell’azione, essa non avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio dal giudice e ciò perchè l’eccezione di prescrizione risultava comunque introdotta dai convenuti con indicazione come fatto integratore della nascita del diritto nel 1965 (come i ricorrenti evidenziano a pagina 15, riportando il modo in cui l’eccezione era stata svolta). Trattandosi di eccezione in senso stretto essa rilevava solo ed esclusivamente nei sensi e nel modo in cui era stata fatta valere dai convenuti, i quali, come s’è detto, avevano il monopolio e la riserva del potere di indicare il fatto giustificativo della prescrizione. Il motivo di ricorso dev’essere, dunque, accolto perchè del tutto erroneamente ed in violazione della regola sull’onere della prova la corte territoriale ha fatto le affermazioni riprodotte a pagina 13 e criticate con il motivo, perchè con esse – dopo avere rilevato l’erroneità della prospettazione dell’eccezione di prescrizione correlata al 1967 – ha addebitato erroneamente agli attori l’onere di provare il fatto negativo della non insorgenza del diritto in modo da potersi far valere a prima del 10 gennaio 2000, cioè ad una data anteriore ai cinque anni prima della notificazione della citazione introduttiva. Non solo tale prova spettava invece ai convenuti, dato che ineriva ai fatti integratori dell’eccezione di prescrizione, ma difettava anche la dovuta attività di allegazione, che avrebbe dovuto farsi da loro ed avrebbe dovuto essere svolta con la comparsa di costituzione di primo grado e non avrebbe potuto essere introdotta nel processo nemmeno successivamente e ciò neppure con una mera rilevazione dell’efficacia di fatti comunque introdotti in esso. Si deve, infatti, ricordare che: “L’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, pronunciandosi su opposizione avverso ruolo esattoriale per crediti previdenziali fondata sulla prescrizione maturata prima della notifica delle cartelle, correttamente non aveva preso in esame l’eventuale prescrizione maturata in epoca successiva alla notifica delle cartelle medesime)” (Cass. n. 14135 del 2019). Ancora: “L’eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, deve fondarsi su fatti allegati dalla parte, quand’anche suscettibili di diversa qualificazione da parte del giudice. Ne consegue che il debitore, ove eccepisca la prescrizione del credito, ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso, conosciuto attraverso un documento prodotto ad altri fini da diversa parte in causa” (Cass. n. 16326 del 2019).

1.9. Mette conto di rimarcare che il giudice di merito, stante quanto si è osservato in ordine al tenore dell’eccezione di prescrizione svolta dai convenuti, non avrebbe potuto dare rilievo d”ufficio, pena la violazione dell’art. 112 c.p.c., alla giurisprudenza che afferma che l’exordium praescriptionis di norma coincida, salvo che non venga dimostrato un momento anteriore, almeno con la proposizione della domanda amministrativa di indennizzo, certamente anteriore al momento di riconoscimento della commissione medica prospettato dalle parti attrici. E ciò anche qualora ex actis esso fosse emerso, non potendo valere il principio di acquisizione processuale, in ragione del già rilevato monopolio dell’attività di deduzione dell’eccezione di prescrizione, siccome comprensiva dell’individuazione del diverso momento di insorgenza ai sensi dell’art. 2935 c.c., rispetto a quello emergente dall’attività di allegazione dell’attore.

2. Con il secondo motivo si censura la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2943 e 2947 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la Corte di Appello di Roma ha ritenuto che parte attrice non avesse fornito la prova, sotto entrambi i profili delineati nella sentenza impugnata, di non aver conosciuto del nesso causale in epoca antecedente al 10.1.2000 e che pertanto la prescrizione non era stata correttamente interrotta ai sensi degli artt. 2943 e 2947 c.c.”. I ricorrenti, di contro, assumono di aver fornito la prova della non conoscibilità del rapporto eziologico con la vaccinazione prima del 10/1/2000 in quanto, per un verso, dalla documentazione clinica versata in atti non emerge che alcun medico nel corso degli anni abbia ricollegato la patologia del T.V. alla somministrazione del vaccino antipolio (doc. 4 fasc. 1 grado e doc. 7 fasc. cass.); per altro verso, gli appellanti avevano fornito la prova dell’esistenza di un dies a quo più favorevole depositando l’istanza presentata al Ministero della Salute in data 26/5/2001 ai sensi della L. n. 210 del 1992, dimostrando, in tal modo, di avere a tale data acquisito quella consapevolezza del nesso eziologico esistente tra la patologia e la vaccinazione che prima non avevano.

2.1. Il secondo motivo è assorbito da quanto sopra detto al p.1.

3. Con il terzo motivo si censura la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la Corte di Appello di Roma ha affermato sussistere la prova che la conoscibilità del nesso causale potesse essere conseguita in epoca anteriore al 10/1/2000” in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di indicare in maniera rigorosa ed accurata, come richiesto dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 576/2008, i fatti a fondamento del rilievo di conoscibilità anteriore della causa della malattia, limitandosi in maniera semplicistica e sbrigativa ad affermare che, poichè la patologia non era silente e le conoscenze scientifiche dei rischi derivanti dalla vaccinazione erano note, il diritto degli attori era oramai prescritto da moltissimo tempo.

3.1. Il motivo poichè i convenuti non avevano eccepito la conoscibilità in un momento, nemmeno definito, ma comunque anteriore all’introduzione dell’azione e, dunque, giustificante il decorso della prescrizione, bensì solo la risalenza di quella conoscenza al 1965 rimane assorbito: lo scrutinio del primo motivo, là dove ha comportato il rilievo che l’eccezione di prescrizione da scrutinarsi era solo quella correlata al 1965, rende inutile lo scrutinio di questo motivo.

3.2. Il Collegio, comunque, ritiene a fini di nomofilachia, opportuna qualche considerazione. La Corte d’Appello, dopo aver rilevato che parte appellante non aveva fornito la prova idonea a contrastare l’eccezione di prescrizione, argomentava ulteriormente che “Sotto altro autonomo profilo si osserva che vi è comunque la prova che la conoscibilità del nesso di causalità nella fattispecie in esame potesse essere conseguito in epoca di gran lunga anteriore al 10.1.2000. Non solo parte appellante con domanda ex lege n. 210 del 1992, del 28 maggio 2001 aveva richiesto “la corresponsione dell’indennizzo di cui all’art. 1 della predetta legge ritenendo di avere subito un danno permanente irreversibile a causa di vaccinazione antipolio”, dimostrando una ipotetica consapevolezza del nesso di causalità, ma non vertendosi in una ipotesi di patologia silente, e considerando che le conoscenze scientifiche sui rischi di vaccinazione obbligatoria antipolio erano già noti da moltissimo tempo (la stessa introduzione della L. n. 210 del 1992, trova una delle sue rationes nell’indennizzare proprio tali soggetti) il diritto era già prescritto all’epoca della introduzione del giudizio” (pag. 5 e s. della sentenza impugnata).

4. Il giudice di merito si è limitato, dunque, a far derivare la verifica della conoscibilità del nesso causale dalla mera conoscenza della malattia, non rientrante nel novero delle malattie silenti, di cui gli attori avevano da lungo tempo contezza, tenuto conto delle conoscenze mediche in tema di vaccinazioni obbligatorie. Senonchè, secondo l’orientamento del giudice di legittimità “Nel caso di danni a decorso occulto, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento è irrilevante l’accertamento del momento in cui il paziente ha conseguito la semplice conoscenza della malattia, in mancanza di ulteriori elementi da cui desumere che a partire da quel momento il paziente medesimo abbia avuto anche la consapevolezza della causa della malattia”, per cui un conto è la conoscibilità della malattia e del decorso patologico della stessa, e un altro è la conoscibilità della sua causa (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14480 del 09/07/2020).

5. Con il quarto ed ultimo motivo, si lamenta la “Inesistenza di motivazione o motivazione apparente e contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili in relazione all’art. 111 Cost. e all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nella parte in cui la Corte di Appello di Roma, in palese contrasto con gli stessi principi enunciati nelle richiamate pronunce della Suprema Corte, ha rigettato la domanda perchè prescritta”. I ricorrenti assumono che il giudice di secondo grado, pur richiamando i principi di diritto di cui alle tre pronunce del giudice di legittimità che riporta nella prima parte della motivazione (cfr. pag. 2 – pag. 5), tuttavia, non ne fa applicazione, cosicchè l’argomentazione addotta si riduce in un percorso motivazionale inesistente e, comunque, apparente e privo di coerenza logica stante il contrasto tra la parte motiva in fatto e quella in diritto.

5.1. Anche l’ultimo motivo è assorbito; ciononostante, sempre a fini di nomofilachia, appare opportuno rilevare che esso sarebbe stato fondato quanto al principio di diritto che assume essere stato violato. In specie, i ricorrenti colgono nel segno ove lamentano che la Corte d’Appello non abbia compiuto quella rigorosa analisi sul contenuto della diligenza esigibile dalla vittima nel caso concreto, nonchè quella accurata ricostruzione dello stato delle conoscenze scientifiche dell’epoca, essendosi il giudice di secondo grado limitato – in maniera del tutto apodittica e priva di qualsiasi ancoraggio ad elementi probatori ex actis – a desumere la prescrizione sulla base del fatto che non si vertesse nel caso concreto in ipotesi di patologia silente e che le conoscenze scientifiche sui rischi da vaccinazione obbligatoria antipolio erano già noti da moltissimo tempo. Così facendo, tuttavia, la Corte territoriale ha obliterato ogni menzione relativa alla diligenza ordinariamente esigibile e alla diligenza che ha contrassegnato l’atteggiamento degli appellanti nel caso concreto in ordine alla conoscibilità della causa della malattia, nonchè in ordine ad un’eventuale scarto tra di esse; non indica se il convenuto, in pregressi contatti, abbia fornito informazioni alla vittima; omette di indagare se in merito alla patologia riscontrata era ragionevole assumere la comune conoscenza scientifica delle cause, rilevando esclusivamente che le conoscenze scientifiche sui rischi da vaccinazione obbligatoria antipolio erano già noti da moltissimo tempo sull’assunto per cui “la stessa introduzione della L. n. 210 del 1992, trova una delle sue rationes nell’indennizzare proprio tali soggetti” (id est: i soggetti sottoposti a vaccinazione obbligatoria antipolio).

5.2. Sicchè pare che il giudice di merito rimproveri – de facto – ai

ricorrenti di non essersi documentati nonostante i vari accessi a strutture sanitarie, quandanche questa Corte abbia affermato, come si legge testualmente, in parte motiva, nella pronuncia Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8645 del 3/5/2016 che: “E neppure la semplice circostanza dell’approvazione di una legge, seguita dal riconoscimento del rischio conclamato nelle competenti sedi cliniche, rende di per ciò stesso negligente chi non si avvale degli indizi da quella forniti in ordine alla sussistenza di potenziali lesioni per gli eventi da essa disciplinati: diversamente opinando, a chiunque si dovrebbe, sol che abbia avuto la possibilità di rivolgersi ad un sanitario od anche che sia stato costretto a frequentare continuamente, rimproverare di non essersi adeguatamente documentato e di non avere diligentemente ricostruito il nesso causale tra il contagio conseguito e le trasfusioni”.

6. In conclusione, il ricorso va accolto in quanto fondato relativamente al primo motivo, assorbiti gli altri, dovendosi pertanto cassare la sentenza impugnata. Si precisa che il giudice del rinvio dovrà considerare che lo scrutinio qui effettuato, per le considerazioni svolte in accoglimento del primo motivo, determina la dichiarazione di infondatezza della eccezione di prescrizione del diritto fatto valere, per come essa è stata genericamente formulata, con rinvio per il resto alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso relativamente al primo motivo e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata; in relazione ai motivi di accoglimento del primo motivo, dichiara l’infondatezza della eccezione di prescrizione del diritto, e l’assorbimento degli altri motivi, con rinvio per il resto alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

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