Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5412 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5412 Anno 2014
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA

SENTENZA

sul ricorso 13518-2010 proposto da:
SAMMARCO SALVATORE SMMSVT68E28G273L, elettivamente
domiciliato

in

ROMA,

VIA

DEI

PREFETTI

17

(ST.LE.PERRONI E ASS.), presso lo studio
dell’avvocato FILIPPO SARCI’, rappresentato e difeso
dall’avvocato SEMINARA PAOLO giusta procura speciale
in calce;
– ricorrente contro

MARRA

GIUSEPPA

MRRGPP49P47G273E,

domiciliato ex lege in ROMA, presso

1

considerato
la CANCELLERIA

Data pubblicazione: 07/03/2014

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato PANTUSO SALVINO giusta procura speciale
in calce;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 605/2009 della CORTE D’APPELLO

1366/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/12/2013 dal Consigliere Dott.
GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

di PALERMO, depositata il 12/05/2009, R.G.N.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.

Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 12 maggio

• 2009, la Corte d’Appello di Palermo ha accolto il gravame
proposto da Giuseppa Marra nei confronti di Salvatore Sammarco
avverso la sentenza del Tribunale di Palermo del 18 dicembre

Il Tribunale aveva accolto la domanda di quest’ultimo volta ad
ottenere il risarcimento dei danni nella misura di 48 mensilità
dell’ultimo canone corrisposto, in base alla clausola dell’art.
4 del contratto di locazione stipulato con la Marra, per non
avere la locatrice destinato l’appartamento, condotto in
locazione dal Sammarco, ad abitazione coniugale della figlia
così come dichiarato con la disdetta intimata al conduttore in
data 11 aprile 2001. Il Tribunale aveva peraltro ridotto la
penale alla somma di C 8.300,00, al pagamento della quale aveva
condannato la convenuta.
2.

Proposto appello da parte della Marra e costituitosi in

appello il Sammarco, con proposizione di appello incidentale, la
Corte d’Appello ha ritenuto fondata la versione difensiva
sostenuta dalla locatrice sin dal primo grado di giudizio, per
la quale ella, dopo avere inviato la disdetta, aveva
tempestivamente informato il conduttore, almeno undici mesi
prima della scadenza del contratto (per la quale era stata
intimata la disdetta), che la figlia non sarebbe andata ad
abitare l’appartamento locato ed aveva offerto al Sammarco di
restarvi per altri quattro anni, ricevendone un rifiuto. La

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2005.

Corte d’Appello, avendo ritenuto provate queste circostanze di
fatto, atte a dimostrare la revoca della disdetta, ha, in
• riforma della sentenza di primo grado, rigettato la domanda di
risarcimento danni proposta dal Sammarco ed ha condannato
quest’ultimo a rifondere alla Marra le spese di entrambi i

3.-

Avverso la sentenza Salvatore Sammarco propone ricorso

affidato a due motivi.
Giuseppa Marra si difende con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi,

al regime dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (inserito dall’art.
6 del decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40, ed abrogato
dall’art. 47, comma l, lett. d, della legge 18 giugno 2009 n.
69), applicabile in considerazione della data di pubblicazione
della sentenza impugnata

(12 maggio 2009).

Col primo motivo del ricorso

si denuncia << violazione dell'art. 29 della legge 392 del 1978 ( art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.>>.
Il motivo è assistito dal seguente quesito di diritto:
<< Affermi la Suprema Corte che sussiste la violazione da parte della locatrice, sig.ra Marra Giuseppa, della disposizione di cui all'art. 29 della legge 392/78, avendo la stessa disatteso quanto concordemente consacrato tra le parti con la sottoscrizione del contratto di locazione>>.

4

gradi.

1.2.-

Il quesito di diritto risulta

formulato in violazione

dell’art. 366 bis cod. proc. civ., poiché espresso in modo tale
da non precisare la questione di diritto sottoposta all’esame
della Corte nello specifico caso in esame, essendo generico e
privo di qualsivoglia concreto riferimento sia a quanto

affermato nella sentenza impugnata; manca inoltre la
giustapposizione -ritenuta necessaria da diversi precedenti (tra
cui Cass. n. 24339/08, n. 4044/09), che qui si ribadiscono- tra
la

ratio decidendi

della sentenza impugnata e le ragioni di

critica sollevate.
1.3.- Va peraltro sottolineato che la genericità del quesito di

diritto rispecchia la mancanza di autosufficienza del motivo di
ricorso, atteso che sia il quesito di diritto che il motivo di
ricorso trascurano il dato, di certo non indifferente ai fini
della soluzione della controversia, che, nel caso di specie, non
si trattava di locazione non abitativa, cui è direttamente
applicabile l’art. 29 della legge n. 392 del 1978 (norma
richiamata nella rubrica del motivo), bensì di locazione
abitativa, alla quale sarebbe stata estesa in via convenzionale
la disciplina prevista da tale ultima norma. Orbene, la clausola
contrattuale che avrebbe previsto siffatta estensione non è
riprodotta in ricorso, né quest’ultimo dà conto dell’avvenuta
produzione, unitamente al ricorso, del contratto di locazione
nel quale sarebbe stata contenuta e/o del luogo del fascicolo
nel quale reperire il contratto medesimo.

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richiesto e dedotto dal ricorrente sia a quanto sul punto

Il primo motivo di ricorso è perciò inammissibile.
2.- Col secondo motivo si denuncia

«falsa applicazione delle

norme di diritto (art. 360, primo comma n. 3, c.p.c. >>.
Il motivo è assistito dal seguente quesito di diritto:
«Affermi la Suprema Corte che sussiste la violazione del

dalla motivazione insufficiente della sentenza d’appello circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente
al forma scritta della revoca della disdetta del contratto di
locazione>>.
Il quesito appare formulato in termini tali da ricondurre il
motivo di ricorso al disposto dell’art. 360 n. 5 cod. proc.
civ., piuttosto che a quello dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.,
malgrado la rubrica contenga espresso riferimento alla norma da
ultimo citata e, quindi, al vizio di violazione di legge
piuttosto che al vizio di insufficiente motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio, di cui vi è cenno
nel quesito di diritto.
Ne consegue che quest’ultimo, per un verso, non risponde alla
previsione dell’art. 366 bis, parte prima, con riferimento al
vizio di violazione di legge enunciato in rubrica, poiché non
consente a questa Corte l’individuazione degli errori di diritto
che il ricorrente intende denunciare con riferimento alla
fattispecie concreta né l’enunciazione di una

regula iuris

applicabile anche in casi ulteriori rispetto a quello da
decidere (dato che di tale caso e delle questioni che esso pone

6

principio di logica coerenza del sistema normativo resa evidente

non è fornita valida sintesi logico-giuridica: cfr., per la
funzione riservata ai quesiti di diritto, tra le altre Cass.
S.U. n. 26020/08 e n. 28536/08). Per altro verso, nemmeno
contiene il momento di sintesi richiesto dalla norma dell’art.
366 bis,

seconda parte, cod. proc. civ., così come interpretata

Cass. S.U. n. 20603/07, secondo cui, in tema di formulazione dei
motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti
pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006,
n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione, poiché secondo l’art. 366

bis

cod. proc. civ.,

introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5
cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve
contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del
fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere,
un momento di sintesi -omologo del quesito di diritto- che ne
circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare
incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione
della sua ammissibilità; nello stesso senso, tra le altre, Cass.
n. 24255/11).
Anche il secondo motivo di ricorso è perciò inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.

7

dalla giurisprudenza di questa Corte, che qui si ribadisce (cfr.

Per questi motivi

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
che

liquida,

in

favore

della

complessivo di e 1.200,00, di cui

resistente,

nell’importo

200,00 per esborsi, oltre

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2013.

accessori come per legge.

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