Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5409 del 03/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 03/03/2017, (ud. 13/12/2016, dep.03/03/2017),  n. 5409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7582/2010 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, entrambi

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.G., nella qualità di erede di P.F.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Galli del Foro di Busto

Arsizio per procura in calce al controricorso ed elettivamente

domiciliata in Roma, Via F. Paolucci Dè Calboli, n. 1, presso lo

studio dell’Avv. Stefania Ciaschi;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 3/31/09, depositata il 29/01/2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13

dicembre 2016 dal Relatore Cons. Iannello Emilio;

udito per la ricorrente l’Avvocato dello Stato Camassa Maria Pia;

udito l’Avv. Stefania Ciaschi per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

ZENO Immacolata, la quale ha concluso per l’accoglimento per quanto

di ragione dei motivi secondo e terzo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata in data 29/1/2009, la C.T.R. della Lombardia, rigettando l’appello dell’Ufficio, ha confermato la decisione di primo grado che, su ricorso di P.F., aveva annullato l’avviso di accertamento nei confronti della stessa emesso per il recupero a tassazione separata, a fini Irpef per l’anno 1999, della plusvalenza che l’ufficio riteneva essere stata dalla stessa realizzata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, e RT. 37 – bis con la cessione a titolo oneroso della quota indivisa di 9/24 di un terreno edificabile sito nel comune di Castano Primo (MI): quota inizialmente donata in data 3/11/1999 dalla predetta alla figlia C.G. e quindi da questa venduto, in data 24/11/1999, alla società Pompetravaini S.p.A. (che, in pari data e con lo stesso atto, acquistava la restante quota dei 15/24 da G.G., G.C. e G.F., cui detta quota era stata donata da C.G., rispettivamente moglie e madre).

Secondo la C.T.R. gli elementi considerati dall’ufficio (rapporto di parentela, successiva vendita in un arco temporale brevissimo, medesimo notaio incaricato di rogitare entrambi i negozi) non valgono a dimostrare il carattere elusivo dell’operazione, essendo piuttosto “più verosimile che la madre di oltre ottant’anni voglia donare all’unica figlia parte di un bene per permetterne la riunificazione con la rimanenza di cui è già in… possesso”.

2. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, corredati da quesiti ex art. 366 – bis c.p.c.; resiste C.G., nella qualità di erede di P.F., depositando controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, error in procedendo per violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè del principio di non contestazione.

Lamenta che in tale errore i giudici d’appello sono incorsi per aver considerato come decisivo ai fini della dimostrazione della natura non elusiva della donazione un fatto non allegato da alcuna delle parti, ossia la circostanza che la figlia donataria fosse proprietaria, al tempo della donazione, di altre quote dell’immobile parzialmente donato, essendo stato al contrario allegato dall’Agenzia e addirittura ammesso dalla controparte che al tempo della donazione la figlia non fosse più proprietaria di altre quote dello stesso bene.

4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, e art. 37 – bis, commi 1 e 2, nonchè dell’art. 1322 c.c. e del principio del divieto di abuso del diritto, in combinato disposto con l’art. 81, comma 1, T.U.I.R. per avere la C.T.R. deciso la controversia attribuendo rilevanza ad un dato – l’età avanzata della donante – invece irrilevante nel caso di specie, omettendo invece di considerare dati fattuali pure accertati e invece convergenti in senso opposto quali: il rapporto di parentela, la medesimezza del notaio rogante, oltre che il dato, non contestato ma erroneamente non assunto a base della decisione, della mancanza di titolarità delle altre quote di proprietà dell’immobile in capo alla donataria al tempo della donazione.

5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che la C.T.R. non ha congruamente motivato sugli elementi indiziari offerti dall’ufficio a giustificazione dell’accertamento e ha inoltre affermato che la donazione attuata dalla P. in favore dell’unica figlia sia stata posta in essere all’essenziale scopo di “permetterne la riunificazione con la rimanenza di cui è già in possesso”, senza indicare le prove poste a fondamento di tale convincimento e trascurando anzi la fondamentale circostanza, dedotta in appello dall’ufficio, che C.G., prima di ricevere in donazione la quota di pertinenza della madre aveva donato quella di cui ella era proprietaria a marito e figlie, per poi rivendere la nuova quota in data 24/11/1999, unitamente a questi ultimi e con il medesimo atto, alla società Pompetravaini S.p.A..

6. Il primo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili, sono fondati.

Ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, “in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.

Nella giurisprudenza di questa Corte è stato più volte ribadito che tale norma, dalle finalità evidentemente antielusive, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta; anche il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali, che ottengano il risultato previsto dalla norma (essere l’effettivo possessore, per interposta persona, del reddito che, per apparire come imputabile a quest’ultima, viene sottratto a imposizione).

Così interpretato il presupposto fattuale che consente l’applicazione della norma, non è dubbio che l’onere di provarne la sussistenza, anche attraverso “presunzioni gravi, precise e concordanti”, spetti all’ufficio impositore e che, per converso, la valutazione delle prove a tal fine offerte sia riservata al giudice di merito e debba considerarsi insindacabile nel giudizio di legittimità, se congruamente motivata.

Nel caso di specie, la C.T.R., correttamente impostando entro le esposte coordinate il tema oggetto della propria valutazione, ha espresso una valutazione di inidoneità degli elementi di prova valorizzati dall’ufficio a fondamento dell’accertamento e anzi di sussistenza di indicazioni positivamente convergenti a dimostrare una diversa finalità dell’operazione, non riconducibile allo scopo elusivo previsto dalla norma.

La motivazione di tale valutazione si espone tuttavia alle critiche fondatamente mosse dall’Agenzia ricorrente, in ragione della non esaustiva considerazione degli elementi posti a fondamento dell’accertamento e anzi di una ricostruzione della fattispecie in termini con essi contrastanti, senza che di tale diversa ricostruzione sia offerta alcuna spiegazione.

Ci si riferisce in particolare alla circostanza per cui, al momento della donazione della quota (9/24) de qua, la donataria, C.G., non era più titolare della restante quota (15/24) di comproprietà indivisa del terreno successivamente alienato a terzi, per averla già a sua volta donata – dodici giorni prima – al marito e alle figlie.

A fronte di tale specifica allegazione – che non è contrastata dalla controparte e, comunque, non specificamente esaminata, nè tantomeno smentita in sentenza – da un lato, si appalesa illogica l’affermazione quivi contenuta secondo cui la donazione abbia avuto lo scopo di “permettere la riunificazione” della quota “con la rimanenza di cui (la donataria, n.d.r.) è già in possesso”; dall’altro, comunque, non risulta adeguatamente giustificato il convincimento secondo cui l’intento elusivo non risulterebbe adeguatamente giustificato dall’ufficio.

Al riguardo, se da un lato è vero che, con riferimento a fattispecie analoghe, questa Corte ha affermato che nella valutazione della gravità indiziaria degli elementi solitamente valorizzati dall’ufficio occorre, in senso contrario, tener conto – trattandosi sovente, come nel caso di specie, di rapporti patrimoniali tra genitori e figli – della libertà di pianificazione della successione da parte del genitore e del carattere genuino della donazione al figlio (v. Cass. 21952 del 2015; Cass. n. 5937 del 2015); dall’altro, non può non considerarsi il rilievo contrario che, anche rispetto a tale doverosa chiave di lettura, può effettivamente assumere la circostanza indicata, non spiegandosi infatti in tale prospettiva la ragione per cui la donazione non sia stata effettuata in favore degli altri comproprietari e comunque risultando più difficile ipotizzare un intento meramente pianificatorio della successione, perseguito attraverso una mera riproposizione, in capo a diversi soggetti, di una situazione di comproprietà indivisa.

7. Il primo e il terzo motivo vanno pertanto accolti, rimanendo assorbito l’esame del secondo.

La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia, che procederà ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi sopra enunciati.

PQM

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R della Lombardia, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2017

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