Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5408 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 27/02/2020), n.5408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16971-2014 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONCA

D’ORO 184/190, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO DISCEPOLO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

REGIONE MARCHE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO, rappresentata e difesa dagli

avvocati GABRIELLA DE BERARDINIS e MARIA GRAZIA MORETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 983/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 30/01/2014, R. G. N. 236/2013.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza in data 21 novembre 2013- 30 gennaio 2014 n. 983 la Corte d’Appello di Ancona riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, respingeva la domanda proposta da P.S., dipendente a tempo indeterminato della REGIONE MARCHE dal 28 marzo 2011, inquadrata nella categoria D, posizione economica D1.1 con profilo professionale di “funzionario amministrativo contabile”:

– per la conversione dei contratti stipulati a far data dal 23 ottobre 2003 – inizialmente con ARPAM, poi con la REGIONE MARCHE, in forma di collaborazione coordinata e continuativa e successivamente di contratto a tempo determinato – in contratto a tempo indeterminato, con attribuzione del profilo professionale di “funzionario amministrativo contabile esperto” categoria D posizione giuridica ed economica D.3.1;

– per l’accertamento della simulazione soggettiva del contratto di collaborazione coordinata e continuativa intercorso dal 23 ottobre 2003 al 31 marzo 2006 con ARPAM- AGENZIA REGIONALE PER L’AMBIENTE (in proseguo ARPAM), essendo stata la REGIONE MARCHE la effettiva parte datoriale;

– per la condanna della REGIONE MARCHE al pagamento delle differenze retributive ed al riallineamento della posizione previdenziale.

2. La corte territoriale dava atto della contumacia in appello della P., in quanto costituita per la sola fase della sospensiva.

3. Dichiarava la carenza di legittimazione passiva della REGIONE in relazione ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati fino al 31 marzo 2006 con ARPAM, ente strumentale della regione, dotato di propria personalità giuridica e di autonomia contabile ed amministrativa.

4. Osservava che la circostanza che la P. operasse in ambito amministrativo mentre le competenze assegnate ad ARPAM in materia di autorizzazioni ambientali erano limitate all’ambito tecnico – scientifico non era rilevante. La normativa di attuazione assegnava ad ARPAM l’intera istruttoria ai fini del rilascio delle autorizzazioni ambientali, di competenza della REGIONE (autorizzazioni AIA); era, dunque, evidente che la struttura tecnica dovesse avvalersi anche di un supporto amministrativo.

5. Era altresì fondato il secondo motivo di gravame, relativo al contratto di collaborazione coordinata e continuativa stipulato con la REGIONE MARCHE il 31 marzo 2006, successivamente prorogato fino al 31 dicembre 2007.

6. L’obbligo di assicurare le 36 ore lavorative settimanali non era di per sè indice di rapporto subordinato, in quanto la fissazione di un monte ore settimanale, senza la previsione di un’articolazione quotidiana dell’orario di lavoro, assicurava l’autonomia di gestione della collaboratrice. La verifica effettiva delle ore lavorate era in funzione del compenso complessivo, stabilito in relazione al monte- ore annuale. Inoltre non vi era prova che la collaboratrice fosse tenuta a rispettare un orario di lavoro quotidiano o della necessità di permessi ed autorizzazioni per le assenze (fermo l’obbligo di registrazione delle ore lavorate ai fini del computo del monte ore annuale).

7. Dalla documentazione prodotta e dalla istruttoria compiuta non emergevano circostanze di fatto tali da evidenziare il concreto esercizio di un potere disciplinare e la soggezione della collaboratrice al potere direttivo del dirigente; erano stati mantenuti per l’intero periodo della collaborazione prorogata gli stessi compiti inizialmente attribuiti sicchè non vi era stato esercizio dello ius variandi, potere tipico del datore di lavoro.

8. La connotazione essenzialmente tecnica dei compiti assegnati alla collaboratrice nell’ambito del progetto “Autorizzazione Integrata Ambientale”, finalizzato all’attuazione della direttiva 96/61 CE e del D.Lgs. n. 59 del 2005, era coerente con l’autonomia nella esecuzione.

9. In definitiva, non emergeva che l’esecuzione della collaborazione fosse avvenuta in termini difformi dalle clausole del contratto.

10. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza P.S., articolato in quattro motivi, cui ha resistito con controricorso la REGIONE MARCHE.

11. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. La parte ricorrente ha dedotto con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, violazione del contraddittorio e lesione del diritto di difesa.

2.Ha impugnato la sentenza per avere dichiarato la propria contumacia nonostante l’avvenuta costituzione anche per la fase di merito, giusta memoria depositata in data 19/11/2013, come da rapporto SICID e la propria presenza in udienza, come dal relativo verbale.

3. Ha assunto che l’errata dichiarazione della contumacia aveva inciso sullo svolgimento dell’attività di difesa e comportato l’omesso esame della memoria difensiva e della documentazione ad essa allegata.

4. Il motivo è infondato.

5. Va in questa sede ribadito che l’erronea dichiarazione della contumacia di una parte non determina un vizio della sentenza deducibile in cassazione se non abbia cagionato, in concreto, alcun pregiudizio allo svolgimento dell’attività difensiva (cfr. Cassazione civile sez. II, 06/05/2013, n. 10503: Cass. 27 aprile 2006 n. 9649; Cass. 7 febbraio 2006 n. 2593; Cassazione civile sez. un., 27 febbraio 2002, n. 2881).

6. Nella fattispecie di causa, la ricorrente non ha specificato quali pregiudizi siano derivati dall’erronea dichiarazione della sua contumacia, lamentando genericamente l’omesso esame delle difese e dei documenti prodotti senza riferimento a specifiche allegazioni difensive o a specifici documenti di rilevanza decisiva, così da non consentire alla Corte un effettivo controllo di causalità dell’errore lamentato.

7. Con il secondo motivo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti accordi collettivi nazionali di lavoro, impugnando la sentenza per avere affermato la carenza di legittimazione passiva della REGIONE MARCHE in relazione ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati con ARPAM fino al 31 marzo 2006.

8. Ha dedotto che la titolarità sostanziale del rapporto di lavoro anche nel periodo dal 23 ottobre 2003 al 31 dicembre 2006 era riconducibile alla REGIONE MARCHE, sussistendo un’ipotesi di interposizione fittizia.

9. Ha esposto che la REGIONE non aveva mai contestato lo svolgimento delle medesime mansioni sin dal 23 ottobre 2003, nel medesimo contesto di referenze soggettive regionali: l’architetto M. e la dottoressa S., che svolgevano anche funzioni di monitoraggio del rispetto dell’orario da parte dei collaboratori, come documentato in atti.

10. La contestazione della propria legittimazione era stata espressa dalla REGIONE MARCHE solo in sede di appello e per tal motivo era inammissibile.

11. Nel gruppo “IPPC”, di cui ella aveva fatto parte sin dalla sua costituzione, i referenti cui ella si rapportava erano dunque due: uno di ARPAM (Dott. D.) ed uno della REGIONE MARCHE, architetto M.. Il referente ARPAM apponeva la firma sul documento tecnico (cosiddetto rapporto istruttorio) predisposto dal gruppo IPPC e formalizzava la consegna di tale documento tecnico alla REGIONE. Il dipendente della REGIONE impartiva le direttive da seguire e definiva i criteri per la realizzazione del procedimento, che solo formalmente era svolto da ARPAM.

12. Ella, in particolare, a differenza degli altri componenti del gruppo, aveva sempre seguito l’attività giuridico – amministrativa del progetto, che era di esclusiva competenza della REGIONE MARCHE.

13. Gli unici elementi a sostegno delle difese della REGIONE erano legati al fatto che ella svolgeva attività presso la sede ARPAM e veniva retribuita da ARPAM, tra l’altro con fondi corrisposti dalla REGIONE.

14. Nè poteva trarsi alcun argomento dal D.L. n. 496 del 1993, art. 1, sulle competenze di ARPAM, in quanto l’ambito delle autorizzazioni AIA era disciplinato da una normativa successiva (D.Lgs. n. 372 del 1999).

15. La REGIONE affermava che nel momento in cui il contratto di collaborazione era passato in capo all’ente vi sarebbero stati cambiamenti organizzativi significativi. In realtà non vi era stato alcun mutamento ma solo adeguamento formale ad una situazione già di fatto esistente (trasferimento nei locali della sede regionale ed inserimento tra i destinatari formali, di note di adeguamento all’orario di lavoro regionale).

16. Con il terzo motivo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione delle norme relative al vincolo della subordinazione.

17. Ha assunto che la Corte territoriale, senza esaminare le proprie difese, aveva affermato che l’unico elemento allegato per provare il vincolo di subordinazione era il monte orario di 36 ore settimanali.

18. Dai documenti prodotti si evinceva che tale circostanza era soltanto una delle molteplici prove fornite.

19. Ella era assoggettata a direttive riguardanti l’organizzazione del personale, l’orario, le ferie, le assenze per malattia, le modalità per lo svolgimento dell’attività, direttive formalizzate in verbali di riunione che configuravano sostanziali ordini di servizio. Erano stati prodotti i certificati medici richiesti obbligatoriamente al lavoratore assente per malattia.

20. Detti vincoli e direttive avevano carattere dell’obbligatorietà in forza della prospettazione del mancato rinnovo del contratto.

21. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto si prestano ad analoghi rilievi, sono inammissibili.

22. La ratio decidendi della sentenza impugnata è fondata sull’accertamento di fatti storici ed in particolare: la autonomia organizzativa di ARPAM, per quanto concerne i contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati dalla P. con ARPAM fino al 31 marzo 2006; lo svolgimento del rapporto nelle forme del lavoro autonomo nel periodo dal 31.3.2006 al 31.12.2007, in cui il contratto di collaborazione coordinata e continuativa era intercorso con la REGIONE MARCHE.

23. Tali accertamenti avrebbero potuto essere censurati in questa sede di legittimità soltanto con la deduzione di un vizio della motivazione ovvero con la specifica allegazione di un preciso fatto storico non esaminato, con trascrizione e localizzazione degli atti da cui esso risultava esistente ed indicazione delle ragioni della sua decisività.

24. La ricorrente, senza adempiere a questi oneri, sottopone in via diretta a questa Corte il complesso degli elementi istruttori, sollecitandola a compiere un non-consentito riesame del merito.

25. Il secondo motivo è invece infondato laddove sostiene che il difetto di legittimazione passiva non poteva essere dedotto dalla REGIONE con l’atto di appello. L’eccezione del difetto di legittimazione passiva, con la quale il soggetto convenuto in giudizio contesti in appello di essere titolare del bene o responsabile dei fatti dedotti a fondamento delle pretese azionate contro di lui, non soggiace al divieto di nuove eccezioni, trattandosi di mera deduzione difensiva diretta a contestare la sussistenza di una condizione dell’azione, che deve essere provata dall’attore ed il cui difetto è rilevabile d’ufficio anche in appello (ex plurimis: Cassazione civile sez. II, 08/08/2019, n. 21184).

26. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della normativa nazionale e della normativa comunitaria sui contratti di lavoro a tempo determinato.

27. La parte ricorrente ha esposto che l’avvenuta stabilizzazione non escludeva l’illegittimità del lavoro subordinato svolto dall’anno 2003 all’anno 2011.

28.Ha dedotto che, essendosi verificato il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, il giudice nazionale aveva l’obbligo di disapplicare le norme interne incompatibili con la direttiva Europea 1999/70/CE, condannando la p.a. alla conversione del contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato.

29. Il motivo è inammissibile, in quanto eccentrico rispetto alle statuizioni del giudice dell’appello: la sentenza impugnata ha, infatti, escluso la stessa ricorrenza di una successione illegittima di contratti di lavoro a termine.

30. Al punto E) del ricorso, senza formulare specifiche censure, si deduce lo svolgimento di mansioni stabili e ricorrenti e si evidenzia che la attività per il rilascio delle autorizzazioni AIA era concepita dalla normativa comunitaria come attività stabile e strutturata e non come attività temporanea.

31. Trattasi di deduzioni inammissibili, in quanto non si formula censura alcuna relativamente alle statuizioni della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.

32. Il ricorso deve essere in definitiva respinto.

33. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

34. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 5.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020

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