Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5408 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 05/03/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 05/03/2010), n.5408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G. o G., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato RINALDI GIUSEPPE, giusta mandato

a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO PIERRE CONFEZIONI MODA DI CAPUTO M. GRAZIA & C. SAS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 763/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 09/11/2006 R.G.N. 551/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. D’AGOSTINO Giancarlo;

udito l’Avvocato CORETTI per delega TRIOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per dichiarazione di

inammissibilità.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Catania l’attuale intimata G. G. esponeva: che aveva lavorato alle dipendenze della società Pierre Confezioni Moda s.a.s. fino al 9 gennaio 1996; che la società era stata dichiarata fallita con sentenza n. 67 del 20 marzo 1997;

che era stata ammessa al passivo del fallimento per le retribuzioni non percepite, compresi gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro;

che aveva inutilmente chiesto all’INPS il pagamento delle retribuzioni relative alle ultime tre mensilità a norma della L. n. 80 del 1992, art. 2. Tanto premesso chiedeva la condanna dell’Istituto al pagamento delle retribuzioni relative alle ultime tre mensilità precedenti il licenziamento, oltre interessi.

L’INPS si costituiva e resisteva osservando che dalla dichiarazione del curatore del fallimento le retribuzioni rivendicate dalla ricorrente e iscritte al passivo non si riferivano alle ultime tra mensilità, ma erano relative ai mesi precedenti gli ultimi tre, sicchè non potevano essere poste a carico del Fondo di Garanzia.

Il Tribunale accoglieva la domanda. Avverso detta sentenza l’INPS proponeva appello ribadendo che i crediti azionati non inerivano alle ultime tre mensilità del rapporto di lavoro rientranti nell’ultimo anno che aveva preceduto il verificarsi dell’insolvenza; che comunque andavano detratti gli acconti già percepiti a tale titolo dalla lavoratrice.

La Corte di Appello di Catania con sentenza depositata il 9 novembre 2006 rigettava l’appello osservando: che a fronte della negazione da parte della lavoratrice di aver percepito alcunchè in relazione alle ultime tre mensilità del rapporto di lavoro, richieste con la insinuazione al passivo, spettava all’INPS fornire la prova del contrario, e cioè che dette mensilità erano state corrisposte integralmente o parzialmente; che il decreto di ammissione al passivo comprendeva l’intero credito azionato, senza specificazione del periodo cui lo stesso si riferiva; che nel decreto di ammissione al passivo mancava l’imputazione del pagamento degli acconti ricevuti, per cui correttamente il Tribunale aveva imputato tali acconti ai debiti più antichi a norma dell’art. 1193 c.c.; che nel caso di ricevimenti di acconti andavano comunque applicati i principi affermati da Cass. 1392/2004, secondo cui “le somme percepite si devono detrarre dal complessivo credito di lavoro e non già dal massimale stabilito dalla legge”; e che “per determinare il credito del lavoratore va preliminarmente calcolato il credito relativo agli ultimi tre mesi di lavoro e quindi vanno detratte le retribuzioni percepite; la somma così ottenute, se inferiore al massimale, deve essere integralmente pagata dal Fondo, mentre, se è superiore, deve essere ridotta al limite dello stesso massimale”.

1 Per la cassazione di tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso con un motivo.

La G.G. ha resistito con controricorso. Il Fallimento della s.a.s. Pierre Confezioni Moda non si è costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 2, comma 1 e dell’art. 12 preleggi, l’INPS sostiene: che i giudici di merito avrebbero dovuto limitare l’accertamento dell’obbligo di garanzia del Fondo ai crediti maturati nei mesi di novembre e dicembre 1995 e gennaio 1996, poichè l’istante aveva dichiarato di essere stata licenziata il 15 gennaio 1996; che era onere probatorio della richiedente specificare l’esatto ammontare delle retribuzioni maturate e non corrisposte dal datore di lavoro negli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro; che l’accertamento delle retribuzioni non corrisposte dal datore di lavoro, risultanti dallo stato passivo in misura complessiva, e non dettagliatamente con riguardo alle ultime tre mensilità del rapporto di lavoro, non preclude in un giudizio di cognizione un’autonoma e distinta liquidazione della quota riferibile al Fondo di Garanzia.

A conclusione delle argomentazioni addotte nel motivo di ricorso l’Inps ha formulato il seguente quesito di diritto a norma dell’art. 366 bis c.p.c.: “Voglia codesta Corte dichiarare se l’accertamento delle retribuzioni non corrisposte dal datore di lavoro risultanti dallo stato passivo in misura complessiva e non dettagliatamente con riguardo alle ultime tre mensilità del rapporto di lavoro, precluda in un ordinario giudizio di cognizione un’autonoma e distinta liquidazione della quota riferibile al Fondo di Garanzia”.

Il ricorso, nei termini in cui è stato formulato il quesito di diritto, è inammissibile. Le Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 20360/2007, confermata dalla successiva giurisprudenza di legittimità, hanno affermato il seguente principio : “Il principio di diritto che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per Cassazione a pena di inammissibilità, deve consistere in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta negativa o affermativa che ad essa si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame; ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi di impugnazione”.

Nella specie l’Istituto ricorrente con l’unico motivo censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che, nel caso in cui il decreto di ammissione al passivo comprende l’intero credito azionato, senza specificazione del periodo cui lo stesso si riferisce, a fronte della negazione da parte della lavoratrice di aver percepito alcunchè in relazione alle tre ultime mensilità del rapporto di lavoro richieste con la domanda di insinuazione al passivo, spettava all’INPS o alla curatela del fallimento fornire la prova del contrario, e cioè che dette mensilità erano state corrisposte integralmente o parzialmente. Secondo il ricorrente, invece il giudice di appello avrebbe dovuto decidere la controversia rilevando il mancato assolvimento da parte della lavoratrice del proprio onere probatorio di determinazione dell’esatto ammontare delle retribuzioni maturate e non corrisposte dal datore di lavoro negli ultimi tre mesi del rapporto lavorativo. Le censure svolte nel motivo di ricorso appaiono quindi intese ad ottenere una pronuncia che ponga a carico del lavoratore l’onere della prova della mancata corresponsione delle retribuzioni delle ultime tre mensilità.

Il quesito di diritto posto dall’Istituto, si rivela per un verso inconferente rispetto alle argomentazioni svolte nel motivo, per altro verso superfluo. Chiedere alla Corte di stabilire se l’insinuazione al passivo del fallimento di un credito complessivo e non dettagliato “precluda in un ordinario giudizio di cognizione un’autonoma e distinta liquidazione della quota riferibile al Fondo di Garanzia” non ha alcuna attinenza con le ragioni espresse nello sviluppo del motivo, che attengono all’onere della prova; ma si risolve anche in un quesito del tutto superfluo, poichè non si vede per quale motivo o in forza di quale norma l’insinuazione al passivo del fallimento di un credito complessivo per retribuzioni non corrisposte possa precludere l’accertamento in un ordinario giudizio di cognizione del mancato pagamento delle ultime tre mensilità.

Il ricorso, dunque, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dell’INPS al pagamento in favore del resistente costituito delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo e distratte in favore dell’avv. Giuseppe Rinaldi che si è dichiarato antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Inps al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 17,00 per esborsi ed in Euro millecinquecento/00 per onorari, oltre spese generali IVA e CPA, che distrae in favore dell’avv. Giuseppe Rinaldi.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

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