Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5407 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 05/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 05/03/2010), n.5407

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13230/2006 proposto da:

L.S., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato FINOCCHIARO PIETRO ST MARZA’ CARMELO, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati GIANNICO

Giuseppina, VALENTE NICOLA, RICCIO ALESSANDRO, giusta mandato in

calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 918/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/01/2006 r.g.n. 585/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A., nella qualità di genitrice della minore L.S., alla quale era stata riconosciuta, in via amministrativa, l’indennità di frequenza, ma non l’indennità di accompagnamento, conveniva in giudizio l’INPS per l’accertamento del suo diritto a tale ultima indennità con conseguente condanna di detto Istituto al pagamento dei relativi ratei.

L’adito Tribunale, sulla base delle espletata CTU, respingeva la domanda.

La Corte di Appello di Catania rigettava l’impugnazione della L., divenuta, nel frattempo maggiorenne, sul rilievo della incompatibilità del trattamento richiesto con l’indennità di frequenza di cui l’appellante era titolare.

Avverso tale sentenza l’assistita ricorre in cassazione sulla base di un’unica censura.

L’INPS non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unica censura l’assistita, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 1990, art. 3.

Sostiene che poichè la legge prevede, pur nel sancire l’incompatibilità tra l’indennità di frequenza e quella di accompagnamento, la possibilità per l’assistito di optare per il trattamento più favorevole, tanto comporta che possa essere richiesto l’accertamento del diritto all’indennità di accompagnamento.

La censura è fondata.

La L. 11 ottobre 1990, n. 289, art. 3, prevede, per quello che interessa in questa sede, che l’indennità mensile di frequenza non è concessa ai minori che hanno titolo o che già beneficiano dell’indennità di accompagnamento di cui alla L. 28 marzo 1968, n. 406, L. 11 febbraio 1980, n. 18 e L. 21 novembre 1988, n. 508, ferma restando la facoltà dell’interessato di optare per il trattamento più favorevole.

Questa Corte ha già affermato che la L. n. 407 del 1990, art. 3, comma 1 (nel testo modificato dalla L. n. 412 del 1991, art. 12), che, sancendo l’incompatibilità tra le prestazioni pensionistiche erogate dal ministero dell’interno – con esclusione di quelle erogate ai ciechi civili, ai sordomuti ed agli invalidi totali – e le prestazioni a carattere diretto concesse a seguito di invalidità contratte per cause di guerra, di lavoro o servizio, salva comunque la facoltà per l’interessato di optare per il trattamento economico più favorevole, va interpretata nel senso che la legge concede all’interessato il diritto di opzione, non fra due diverse prestazioni di previdenza ed assistenza, ma per il trattamento economico più favorevole, sicchè, per poter esercitare la detta opzione, presupposto necessario e sufficiente deve ritenersi la titolarità dei due diversi diritti, che può, conseguentemente, essere accertata in giudizio, senza che possa operare l’eventuale preclusione derivante dall’avvenuto riconoscimento di uno soltanto di essi (Cass. 30 luglio 2001 n. 10381 e, nello stesso senso, Cass. 28 agosto 2003 n. 12640 ).

Analogo principio ritiene la Corte di applicare al caso di specie in quanto, come in quello esaminato nel richiamato precedente, la L. 11 ottobre 1990, n. 289, art. 3, concede all’interessato il diritto di opzione non fra due diverse prestazioni di assistenza, ma per il trattamento economico più favorevole. Tanto comporta che, per potere esercitare la detta opzione, il presupposto è proprio la titolarità dei due diversi diritti, che può di conseguenza essere accertata in giudizio senza che possa operare la preclusione derivante dall’avvenuto riconoscimento di uno soltanto di essi.

L’incompatibilità, dunque, non è tra diritti, ma solo tra prestazioni, che il beneficiario non può cumulare. Anche nella fattispecie di cui trattasi, d’altro canto, non sarebbe rispettosa del precetto di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., una lettura della norma il cui esito sarebbe, impedendo l’accertamento della titolarità del diritto, la soppressione in concreto del diritto di scegliere il trattamento economico più favorevole.

Dì conseguenza va affermato che la L. 11 ottobre 1990, n. 289, art. 3, il quale prevede che l’indennità mensile di frequenza non è concessa ai minori che hanno titolo o che già beneficiano dell’indennità di accompagnamento di cui alla L. 28 marzo 1968, n. 406, L. 11 febbraio 1980, n. 18 e L. 21 novembre 1988, n. 508, ferma restando la facoltà dell’interessato di optare per il trattamento più favorevole, va interpretato nel senso che la legge concede all’interessato il diritto di opzione non fra due diverse prestazioni di assistenza, bensì per il trattamento economico più favorevole.

Pertanto per poter esercitare la detta opzione è necessaria la titolarità dei due diversi diritti, che può, conseguentemente, essere accertata in giudizio, senza che possa operare l’eventuale preclusione derivante dall’avvenuto riconoscimento di uno soltanto di essi.

La Corte di Appello, che ha rigettato la domanda della ricorrente sul rilievo della incompatibilità, della L. 11 ottobre 1990, n. 289, ex art. 3, tra il trattamento di cui era titolare e quello richiesto, non è, quindi, conforme al diritto e conseguentemente va, in accoglimento del ricorso, cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione la quale si adeguerà al principio sopra enunciato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

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