Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5405 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/02/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 27/02/2020), n.5405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20214-2014 proposto da:

G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 66, presso lo studio dell’avvocato PIETRO PATERNO’ di

RADDUSA, rappresentato e difeso dall’avvocato CESARE SANTUCCIO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA AUTONOMA DELLE TERME DI ACIREALE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 734/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 26/07/2013 R.G.N. 991/2009.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Catania, riformando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato la domanda con cui Venerando G., dipendente dell’Azienda Autonoma Terme di Acireale, aveva chiesto il riconoscimento del proprio diritto al collocamento nel IV livello del pertinente c.c.n.l., in luogo del V livello, di suo formale inquadramento.

la Corte, facendo riferimento agli esiti della prova testimoniale ed agli ordini di servizio, riteneva che l’attività richiesta mancasse della “specifica preparazione professionale” richiesta per il livello rivendicato;

il G. ha proposto ricorso per cassazione con un unico articolato motivo, resistito da controricorso dell’Azienda Autonoma Terme di Acireale.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 16 del c.c.n.l. delle Aziende Termali del 23.5.1995, nonchè delle declaratorie dei profili professionali di cui al predetto contratto collettivo; egli afferma tra l’altro che la Corte territoriale avrebbe omesso di argomentare rispetto alla prova per testi, decidendo solo sulla base degli ordini di servizio ed avrebbe erroneamente assimilato le mansioni svolte a quelle di un guardarobiere, trascurando come i compiti svolti comportassero l’occuparsi di persone e non solo di indumenti;

il motivo è inammissibile;

la Corte d’Appello, oltre a fare riferimento espresso a quanto “riferito dai testi” (pag. 6, terzo e quarta riga della sentenza), ha ricostruito in fatto le mansioni svolte dal ricorrente in modo del tutto analogo a quanto sostenuto nel ricorso per cassazione, come inerenti allo smistamento dei pazienti presso i vari operatori termali disponibili ed a seconda del piano terapeutico per ciascuno predisposto dal personale a ciò competente;

quindi ha riportato tale attività a quella di “personale incaricato con compiti di particolare fiducia al controllo ingresso dipendenti ed ospiti o alla distribuzione di documenti negli uffici”, di cui al V livello, richiamando altresì il profilo di guardarobiere di stabilimento termale, incaricato del controllo sulla consistenza della biancheria disponibile, della distribuzione della stessa tra i reparti o dell’avvio di essa alla lavanderia, non evidentemente al fine di indebitamente assimilare la gestione dei pazienti alla gestione dei materiali, ma viceversa per valorizzare l’analogo tratto di destinazione dell’intervento di entrambi gli addetti rispetto al buon andamento delle diverse articolazioni operative del servizio, contestualmente coinvolte dalla prestazione delle predette figure di lavoratori;

a fronte di tale non implausibile complessivo apprezzamento, il motivo ha la sostanza di un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di appello, teso all’ottenimento di una nuova pronuncia sui fatti, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. S.U. 25 ottobre 2013, n. 24148);

il ricorso è dunque inammissibile e le spese del grado restano regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020

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