Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5402 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 5402 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 28512-2012 proposto da:
MARCHESE ANTONIO LUIGI, nella qualità di ultimo
liquidatore e legale rappresentante della società
F.M.G. Fondazioni Generali Marchese s.r.l. in

Data pubblicazione: 07/03/2014

liquidazione, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DEI CONDOTTI 91, presso l’avvocato PIA MARIA
2014
100

BERRUTI, che lo rappresenta e difende, giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

1

CREDITALIA SVILUPPO IMPRESA MEDIAZIONE CREDITIZIA
S.R.L., già Creditalia Sviluppo Impresa Mediazione

Creditizia

s.p.a.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA 257, presso

e difende, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente contro

FALLIMENTO F.M.G. FONDAZIONI GENERALI MARCHESE
S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;
– intimato –

avverso la sentenza n.

189/2012 della CORTE

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 16/01/2014 dal Consigliere
Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato BERRUTI PIA

l’avvocato LIMATOLA ALESSANDRO, che la rappresenta

MARIA che si riporta e chiede l’accoglimento;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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Svolgimento del processo
1.- La Corte di appello di Napoli, con la sentenza
impugnata (depositata il 16.11.2012), ha rigettato il
reclamo proposto dal liquidatore della s.r.l. “F.M.G.
Fondazioni Generali Marchese” in liquidazione contro la

sentenza del Tribunale di Benevento che aveva dichiarato
il fallimento della società reclamante su istanza della
s.p.a. Creditalia Sviluppo Impresa Mediazione Creditizia.
La Corte territoriale ha ritenuto infondato l’unico
motivo di reclamo con il quale era stata contestata la
sussistenza dello stato di insolvenza evidenziando
l’irrilevanza in sé della circostanza che il fallimento
fosse stato dichiarato su istanza di un solo creditore,
trattandosi di credito pari a euro 60.000, risalente nel
tempo. Inoltre – trattandosi di società in liquidazione

_

rilevava lo “sbilancio” patrimoniale, nella specie
sussistente, a fronte di un attivo pari a euro
3.366.948,32 a fronte di un passivo di euro 3.384.568,32.
I cespiti costituenti l’attivo (terreni, crediti) non
erano di pronta liquidazione, oltre ad essere soggetti a
repentine oscillazioni di valore e le rimanenze indicate
in bilancio, così come le attrezzature e gli arredi, non
erano stati rinvenuti in sede di pignoramento e dalla
verifica del passivo era risultata un’esposizione
debitoria verso il fisco di gran lunga superiore.
1.1.- Contro la sentenza di appello il liquidatore della
società fallita ha proposto ricorso per cassazione
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affidato a un solo motivo.
Resiste con controricorso la s.r.l. Creditalia Sviluppo
Impresa Mediazione Creditizia (già s.p.a.) mentre non ha
svolto difese la curatela fallimentare intimata.
Motivi della decisione

2.- Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente
denuncia «violazione e falsa applicazione dei Principi
Contabili Nazionali emanati dall’Organismo Italiano
Contabilità – OIC 28. Erronea motivazione su un punto
decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5
c.p.c.)>>. Deduce che ha errato la Corte di appello nella
lettura ed interpretazione della situazione contabile
perché non ha tenuto conto che dall’importo del passivo
(euro 3.384.568,32) doveva essere sottratto quello
relativo al patrimonio netto, pari a euro 863.168,99
(attività lorde 3.366.948,32 – passività di bilancio euro
2.521.399,33 – perdita 2011 euro 17.620,00 = euro
863.168,99, patrimonio netto). Per converso, dallo stato
patrimoniale riclassificato secondo quanto previsto
dall’art. 2424 e ss. c.c. l’attivo ammontava a euro
2.174.246,38 mentre il totale dei debiti ammontava a euro
1.328.697,39.
Deduce, ancora, che tra le passività sono ricompresi
debiti verso soci per finanziamenti infruttiferi che non
saranno oggetto di restituzione, talché le passività si
riducono a euro 363.587,62.
La Corte di appello – deduce – “non ha tenuto in debito
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-

conto le circostanze documentali che avrebbero potuto e
dovuto indirizzarlo verso un rigetto dell’istanza di
declaratoria fallimentare proposta da Creditalia,
basandosi sulla sussistenza di un unico debito>>,
peraltro parzialmente soddisfatto per euro 17.000,00 a

seguito di pignoramento presso terzi. L’insolvenza non è
integrata da un solo inadempimento.
3.- Il motivo – là dove non è inammissibile perché
veicola censure in fatto non deducibili in sede di
legittimità – è infondato.
Giova rimarcare, invero, che è applicabile, nella
concreta fattispecie, il contenuto precettivo del nuovo
testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c. introdotto dall’art. 54
c. l lett. B) del DL 83/2012 convertito nella legge 134
, del 2012 (entrata in vigore il 12.8.2012), disposto
applicabile alla impugnazione per cassazione della
sentenza 16.11.2012 giusta la previsione del comma 3
dell’art. 54 citato.
Le censure motivazionali formulate dal ricorrente, anche
mediante trascrizione di scritture contabili nonché
mediante deduzione di circostanze di fatto non risultanti
dalla sentenza impugnata (e senza indicazione del luogo e
delle modalità in cui siano state sottoposte al giudice
del merito, quindi in violazione del principio di
autosufficienza) sarebbero state inammissibili anche alla
luce del testo previgente dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e lo
sono – a maggior ragione – anche alla stregua della nuova
5

formulazione della detta disposizione, posto che nessun
vero fatto decisivo trascurato dalla Corte territoriale
viene indicato se non gli stessi fatti valutati nella
sentenza impugnata e di cui si vorrebbe una diversa
lettura.

Per converso, nessuna specifica censura è stata formulata
nei confronti della sentenza impugnata nella parte in cui
evidenzia il mancato reperimento delle attrezzature e
delle rimanenze nonché l’inattendibilità dei valori
appostati relativamente ai crediti e all’immobile. Sì che
l’erroneo inserimento del valore del patrimonio netto tra
le passività, alla luce anche dei dati contabili indicati
in ricorso, appare punto affatto decisivo.
Da ultimo, è infondata la censura di violazione di norme
di diritto – non quelle di cui al principi contabili OIC,
essendo previsto dall’art. 2424, comma 1, c.c.
l’inserimento del patrimonio netto nel passivo dello
stato patrimoniale – posto che, come innanzi chiarito,
l’errore nell’indicazione dell’ammontare del passivo
comprensivo del patrimonio netto, non ha avuto effetto
decisivo per il giudizio espresso dalla Corte di merito,
avendo questa valorizzato l’inattendibilità delle poste
indicate in bilancio, in alcuni casi non riscontrate
nella realtà (poste attive) ovvero riscontrate in misura
diversa da quella indicata (debiti fiscali). Inoltre, la
Corte di merito ha correttamente applicato il principio
secondo il quale quando la società è in liquidazione, la
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valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione
dell’art. 5 legge fall., deve essere diretta unicamente

ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio
sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale
soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto –

mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di
provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali,
previa realizzazione delle attività sociali, ed alla
distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è
più richiesto che essa disponga, come invece la società
in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di
liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni
contratte (v., per tutte, Sez.

l, n.

19141/2006).

Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità

liquidate in

dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in euro 3.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi
oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16
gennaio 2014

non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul

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