Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5401 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 5401 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: BENINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 19832-2012 proposto da:
CALIANNO VITO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA ARCHIMEDE 44, presso l’avvocato
TARTAGLIA ROBERTO, rappresentato e difeso dagli

Data pubblicazione: 07/03/2014

avvocati VENTURA COSTANTINO, DE BENEDETTO PIETRO,
CARUCCI DOMENICO, giusta procura a margine del
2014

ricorso;
– ricorrente –

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contro

COMUNE DI MOTTOLA, in persona del Sindaco pro

1

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COSSERIA 2, presso il dott. ALFREDO PLACIDI,
rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE
MISSERINI, giusta procura a margine del
controricorso;

avverso la sentenza n. 816/2011 della CORTE
D’APPELLO di LECCE, depositata il 28/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 16/01/2014 dal Consigliere
Dott. STEFANO BENINI;
uditi, per il ricorrente, gli Avvocati DE BENEDETTO
PIETRO e VENTURA COSTANTINO che si riportano;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del primo motivo, accoglimento per quanto
di ragione del secondo motivo, assorbimento del
terzo motivo.

– controricorrente –

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.

Con sentenza depositata il 28.9.2011, la Corte

d’appello di Lecce ha provveduto ad una nuova
liquidazione del danno subito da Calianno Vito per
l’occupazione appropriativa di terreni di sua proprietà,

consumatasi nel 1991, dopo che una prima sentenza della
stessa Corte era stata cassata dalla Corte di cassazione
(sentenza 8.5.2009, n. 10596), con invito a rideterminare
il danno.
All’esame dei motivi è necessario premettere una
sintetica ricostruzione della vicenda, per quanto ancora
di interesse, ai fini di un’esatta comprensione delle
censure in rapporto al decisum della sentenza impugnata.
2. La prima sentenza della Corte d’appello, pubblicata
1’8.10.2003, confermava la sentenza di primo grado, che
aveva liquidato il danno da occupazione appropriativa,
con attribuzione di interessi sulla somma rivalutata anno
per anno, nella misura legale, essendo tardivamente
proposta la domanda per il riconoscimento del maggior
danno ex art. 1224 c.c. (commisurato dal creditore agli
interessi di un mutuo oltre agli interessi di mora per le
rate non potute pagare a causa della mancata
disponibilità del credito risarcitorio per l’occupazione
appropriativa).
3.

La Corte di cassazione, con la citata sentenza

10596/09, a fronte di due motivi di ricorso, di cui il
primo censurava il vizio di motivazione nel mancato
3

riconoscimento, in aggiunta alla rivalutazione monetaria
del credito risarcitorio, degli interessi al 18% pagati
per un mutuo ipotecario, ed il secondo, in subordine, la
sola attualizzazione del credito, non secondo Istat, ma
al 18% annuo, enunciava il principio secondo cui il

risarcimento del danno da occupazione appropriativa dà
luogo ad obbligazione di valore, in cui, oltre alla
rivalutazione, possono spettare gli interessi, ove il
creditore provi il mancato guadagno, costituendo gli
stessi una mera tecnica liquidatoria. Ritenendo inoltre
messi in discussione i criteri di liquidazione del danno
da occupazione appropriativa, cassava la sentenza e
rinviava alla Corte d’appello di Lecce in diversa
composizione, anche alla luce dello

ius superveniens in

materia.
4. La Corte d’appello, all’esito del giudizio di rinvio,
prendendo atto della sentenza rescindente, in particolare
della natura dell’obbligazione di valore, ha riliquidato
il danno da occupazione appropriativa alla luce dell’art.
2, comma 89, lett. e), 1. 24.12.2007 n. 244, ma non ha
riconosciuto provato il maggior danno, asseritamente
derivante dal ritardo, così limitandosi ad attribuire la
rivalutazione del credito e gli interessi sulla somma
annualmente rivalutata anno per anno a decorrere dal
5.11.1991, a fronte di una richiesta di interessi nella
misura del 15% oltre interesse di mora giornaliero di
1,31, che il Calianno lamentava di aver dovuto
4

corrispondere per il mutuo contratto a causa del mancato
adempimento del Comune di Mottola al debito risarcitorio.
5. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per
cassazione Calianno Vito affidato a tre motivi,
illustrati da memoria, cui si oppone con controricorso il

Comune di Mottola.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, Calianno Vito,
denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 384
c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., censura la
sentenza impugnata per aver disatteso la sentenza
rescindente, che in relazione alla domanda ancora in
discussione, che lo stesso ricorrente ha precisato come
“riconoscimento dell’esistenza del danno derivante da
ritardato pagamento e di risarcimento dello stesso”, ha
cassato la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto
l’inammissibilità, perché nuova, della domanda di
risarcimento da ritardo, siccome ricondotta nell’ambito
del maggior danno nelle obbligazioni pecuniarie, da
distinguere dall’applicazione della rivalutazione
monetaria.
Con il secondo motivo di ricorso, Calianno Vito,
denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su fatti controversi e decisivi, censura la
sentenza impugnata sotto tre distinti profili: a) aver
escluso ogni collegamento tra il ritardato pagamento e la
conclusione del contratto di mutuo del 2.12.1991, mentre
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è certo che il ricorrente fu costretto in tale data, a
causa dell’inadempimento del Comune espropriante, a
contrarre un oneroso mutuo con rilascio di pegno a favore
della banca mutuante a garanzia dell’importo mutuato e
delle obbligazioni assunte con il suddetto contratto,

oltre a dover fornire ulteriori garanzie ipotecarie
estese anche al patrimonio di congiunti; b) il giudice di
merito poi, pur ammettendo che l’ulteriore danno poteva
semmai limitarsi agli interessi moratori a causa
dell’inadempimento al contratto di mutuo, ovvero agli
interessi sulla sorte capitale delle rate scadute e non
pagate, ha escluso che gli interessi di mora fossero
stati pagati dal Calianno per essere il mutuo garantito
anche dai congiunti, mentre è certo che solo il
ricorrente era mutuatario (i congiunti Calianno Mario e
Lippolis Grazia erano solo datori di ipoteca), che la
documentazione dimostrava il pagamento delle rate era
stato effettuato dal Calianno Vito Giuseppe, del resto
unico debitore; c) in data 21.3.2011 avvenne la vendita
all’asta dell’immobile pignorato, ma non è al momento
della vendita forzata (comunque avvenuta prima della
sentenza impugnata) che si concretizzò il danno, bensì
con il processo di esecuzione per mancato adempimento al
mutuo.
Con il terzo motivo di ricorso,

Calianno Vito,

denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 384
c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., censura la
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sentenza impugnata per essersi limitata a prendere in
esame la sola domanda di risarcimento del danno da
ritardato pagamento, senza considerare l’ulteriore motivo
di ricorso accolto dalla Suprema corte, concernente la
rivalutazione e gli interessi al 18% sul valore del bene

alla data 5.11.1991.
2. Occorre che apprestandosi all’analisi delle singole
doglianze si rammenti che l’obbligazione risarcitoria del
danno da occupazione appropriativa costituisce debito di
valore e deve reintegrare per equivalente, alla data di
determinazione del dovuto, le perdite e i mancati
guadagni,

conseguendone

che

in

aggiunta

alla

rivalutazione, sulla somma liquidata alla data di
consumazione dell’illecito, da rivalutare anno per anno
. fino alla decisione, potranno spettare gli interessi
compensativi per il ritardato pagamento di quanto dovuto,
sempre che i mancati guadagni siano provati dal creditore
(Cass. 21.4.2006 n. 9410), e che nella liquidazione del
danno il giudice può adottare le modalità che ritiene più
appropriate al fine di reintegrare il patrimonio del
creditore (Cass. 18.7.2011 n. 15709), sempre in base alla
prova che il creditore dia della non sufficiente
efficacia reintegrativa della mera rivalutazione (Cass.
28.7.2005, n. 15823).
3. Riguardo al primo motivo, a parte la dubbia chiarezza

dell’esposizione,

esso

appare

inammissibile,

come

qualsiasi censura che attribuisca alla sentenza una
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portata diversa da quella effettiva (Cass. 28.1.1995 n.
1075; 17.1.2005, n. 757).
La censura ravvisa nella sentenza impugnata un intento
limitatore della domanda, che gli deriverebbe da un
errore di metodo, dimostrato da una gratuita critica alla

sentenza rescindente della Cassazione.
La premessa di metodo della sentenza impugnata, emessa a
conclusione del giudizio di rinvio dopo la cassazione di
una prima sentenza della stessa Corte d’appello, è invece
mirata ad esaminare la domanda di risarcimento del danno
ulteriore, cui è stata invitata dalla sentenza
rescindente. Quest’ultima, infatti, invita a provvedere
sulla domanda di risarcimento, precisando che questo dà
luogo a un debito di valore, ma non con questo impone di
riconoscere gli interessi in aggiunta alla rivalutazione
monetaria.
Partendo da una premessa critica sulla valutazione
compiuta dalla sentenza di Cassazione sulla propria
precedente pronuncia, per il vero non richiesta ma
neppure inficiante l’applicazione del principio da quella
enunciato, la Corte d’appello di Lecce si è correttamente
proposta di esaminare la domanda formulata con la
comparsa conclusionale in primo grado come precisata
nella citazione in riassunzione, ovvero la rivalutazione
del danno riguardante la superficie ablata (che la Corte
di cassazione ha ritenuto ammissibile, essendo ricompresa
nella domanda di risarcimento, e dunque non nuova), con
8

ulteriore considerazione del danno costituito dall’avere
3

l’appellante subito una procedura immobiliare conseguente
ad un mutuo contratto per il mancato adempimento della
p.a. alle obbligazioni risarcitorie.
4. Venendo al secondo motivo, in cui si censura il vizio

di motivazione, che ha condotto il giudice di merito a
non riconoscere somme eccedenti la rivalutazione
monetaria del credito risarcitorio, e gli interessi
legali sulla somma annualmente rivalutata dal 5.11.1991
(data del fatto illecito) fino al soddisfo, è il caso di
premettere che il vizio di omessa o insufficiente
motivazione sussiste solo se nel ragionamento del giudice
di merito, quale risulta dalla sentenza, sia
riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti
. decisivi della controversia e non può invece consistere
in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso
difforme da quello preteso dalla parte, perché la corte
di legittimità non ha il potere di riesaminare e valutare
il merito della causa, ma solo quello di controllare,
sotto il profilo logico-formale e della correttezza
giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del
merito (Cass. 17.6.2011, n. 13327).
Il profilo della motivazione, che viene censurato dal
secondo motivo

sub a),

dà conto del fatto decisivo

indicato dal ricorrente, costituito dal contratto di

mutuo, e appare logicamente coerente nell’escludere un
nesso tra il ritardo nel pagamento del debito
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risarcitorio, e la contrazione del mutuo, che il giudice
3
è consapevole (per averlo riportato nella premessa in
fatto) essere avvenuto il 2.12.19991, a meno di un mese
dalla data in cui si è ritenuto di collocare
l’irreversibile trasformazione ddel fondo (5.11.1991).

Per non parlare del diverso importo del credito
risarcitorio, stabilito dal Tribunale in L. 160.000.000,
e quello del mutuo (L. 300.000.000 oltre gli interessi).
Sfugge alla censura il capo di motivazione denunciato dal
secondo motivo

sub b):

a parte l’assenza di prova

sull’autore del pagamento della rata in ritardo (il
debitore, in ultima analisi, era sempre il Calianno), va
aggiunta la circostanza che il ritardo, per allegazione
stessa del ricorrente, risulta limitato ad una rata,
. conseguendone che l’aggravio economico per la mancata
riscossione appare minimo rispetto all’importo degli
interessi che viene reclamato dal ricorrente.
Il profilo sub c) è invece inammissibile: non si vede che
rilevanza possa avere l’essere stato il ricorrente
sottoposto a procedura esecutiva, se non è lamentato uno
specifico danno, dato che la domanda, che il Calianno ha
reiterato in riassunzione, attiene a una richiesta di
interessi, in aggiunta alla rivalutazione monetaria, in
misura superiore all’interesse legale. La riscontrata
assenza di collegamento tra la contrazione del mutuo e il

ritardo nella riscossione del credito risarcitorio,
toglie rilievo alla circostanza.
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5. Venendo al terzo motivo, esso è, al pari del primo,
inammissibile.
La sentenza rescindente non ha certo riconosciuto
l’obbligo di risarcimento alla stregua delle obbligazioni
di valore, e in aggiunta ad esso, la corresponsione di

con la sentenza 10596/09, questa Corte esaminò
congiuntamente i due motivi di ricorso, concludendo
essersi in presenza di debito di valore, con la necessità
di eventuale liquidazione di interessi, in aggiunta alla
rivalutazione, ove ve ne fosse la prova. Diversamente la
Corte di cassazione avrebbe avallato la duplicazione del
risarcimento.
6. Il ricorso va rigettato, con condanna alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle
spese, liquidate in euro 8.200, di cui euro 8.000 per
compensi.
Così deciso in Roma il 16.1.2014

rivalutazione ed interessi al 18%. Come sopra rilevato,

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