Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5400 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 5400 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: BENINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 19073-2010 proposto da:
COMUNE

DI

LORETO

(C.F./p.i.

00319830428),

in

persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso

Data pubblicazione: 07/03/2014

l’avvocato VITALE ELIO, rappresentato e difeso
dall’avvocato RANCI GIOVANNI, giusta procura a
2014

margine del ricorso;
– ricorrente –

94

contro

FALLERONI RAFFAELE;

1

- intimato –

Nonché da:
FALLERONI RAFFAELE, elettivamente domiciliato in
ROMA, V.LE GIULIO CESARE 71, presso l’avvocato DEL
VECCHIO ANDREA, che lo rappresenta e difende

procura in calce al controricorso e ricorso
incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

COMUNE

DI

LORETO

(C.F./p.i.

00319830428),

in

persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso
l’avvocato VITALE ELIO, rappresentato e difeso
dall’avvocato RANCI GIOVANNI, giusta procura a
margine del controricorso al ricorso incidentale;
– controricorrente al ricorso incidentale

avverso la sentenza n.

308/2010 della CORTE

D’APPELLO di ANCONA, depositata il 07/05/2010;

unitamente all’avvocato CALZOLAIO ANDREA, giusta

udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 16/01/2014 dal Consigliere
Dott. STEFANO BENINI;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato RANCI GIOVANNI
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
principale, rigetto dell’incidentale;

2

udito,

per

il

controricorrente e ricorrente

incidentale, l’Avvocato CALZOLAIO ANDREA che ha
chiesto il rigetto del ricorso principale,
accoglimento dell’incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso principale e rigetto del
ricorso incidentale.

.-

Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il

3

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione notificato il 6.8.2001, Falleroni
Raffaele conveniva in giudizio il Comune di Loreto davanti
alla Corte d’appello di Ancona, opponendosi alla stima e
chiedendo la determinazione dell’indennità di occupazione

assoggettati

a

procedura

espropriativa

da

e di esproprio relativamente a terreni di sua proprietà,
parte

dell’amministrazione convenuta per l’attuazione di un
piano per gli insediamenti produttivi.
Si costituiva in giudizio il Comune di Loreto, eccependo
l’intempestività della domanda e contestando il fondamento
della domanda, di cui chiedeva il rigetto.
2. Con sentenza depositata il 7.5.2010 la Corte d’Appello
:

di Ancona,

considerata la tempestività dell’azione

proposta, qualificate le aree espropriate come
edificabili, siccome destinate dal piano regolatore
generale a insediamenti produttivi, determinava
l’indennità di esproprio in euro 317.944,33 secondo il
criterio del valore venale.
3. Ricorre per cassazione il Comune di Loreto affidandosi
a cinque motivi, al cui accoglimento si oppone con
controricorso Falleroni Raffaele che a sua volta propone
ricorso incidentale fondato su sei motivi, resistiti da
controricorso del Comune.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.

.

4

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, il Comune di Loreto,
denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 19
l. 1. 22.10.1971 n. 865 e motivazione “incongruente e
travisante”, censura la sentenza impugnata per aver

ritenuto tempestiva l’opposizione alla stima, presentata
entro gg. 30 dalla notifica del decreto di esproprio del
19.7.2001, ma molto tempo dopo la stima amministrativa,
posto che l’indennità di esproprio era stata
definitivamente determinata in epoca ben precedente
(notificata il 13.10.2000 e pubblicata sul bollettino
regionale il 26.10.2000).
Con il secondo motivo di ricorso, il Comune di Loreto,
denunciando violazione e falsa applicazione dei principi e
criteri in tema di edificabilità e di effetto conformativo
della strumentazione urbanistica; violazione dell’art. 27
l. 22.10.1971 n. 865, degli artt. 8, 37, 57 d.p.r.
8.6.2001 n. 327; dell’art. 25 1. 28.2.1985 n. 47;
dell’art. 3 n.t.a. del Comune di Loreto; omessa, e
comunque insufficiente e contraddittoria motivazione
“laddove prima si declama poi si esclude la condizione e/o
il presupposto dello sfruttamento edificatorio da parte
del proprietario”, censura la sentenza impugnata per aver
ritenuto la natura edificabile dei terreni nonostante che
prima dell’adozione del piano regolatore generale (da ora
prg) del 1997, l’area espropriata aveva natura agricola, e
.

5

che lo strumento urbanistico prevedesse che solo con
l’approvazione del piano per gli insediamenti produttivi
(da ora pip) la stessa sarebbe divenuta edificabile, anche
con l’intervento edilizio diretto dei privati, prima di
che la proprietà del Falleroni rientrava in zona di

espansione (DE), identificata graficamente, per la quale
solo con la approvazione del pip le aree sono state
urbanisticamente destinate alla edificabilità.
Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione
e falsa applicazione della disciplina da applicare circa
la determinazione dell’indennità di esproprio di area
edificabile, e motivazione errata e incongruente, censura
la sentenza impugnata per aver determinato l’indennità
secondo il valore venale delle aree, ritenendo che la
dichiarazione d’incostituzionalità dell’art.

5 bis

determinasse la reviviscenza di criteri “secolari”, mentre
non può che farsi riferimento ai criteri prescritti dalla
norma dichiarata incostituzionale, che era vigente durante
tutto il dipanarsi della vicenda espropriativa di cui è
causa, anche perché l’art. 57, primo comma, d.p.r. 327/01
richiama l’applicabilità delle norme previgenti alle
fattispecie non regolate dallo stesso

corpus normativo,

disposizione confermata dall’art. 2, coma 89, 1.
24.12.2007 n. 244, e il comma 90 esclude che la nuova
disciplina indennitaria possa applicarsi ai procedimenti
esauriti.
6

Con

il

quarto motivo

il

ricorrente,

denunciando

motivazione assente, insufficiente e contraddittoria;
violazione dei principi a regime in materia di indennizzo;
violazione dell’art. 2, comma 89 l. 24.12.2007 n. 244, che
ha sostituito i commi l e 2 dell’art. 37 d.p.r. 327/01 e

omissione di giudizio su punto fondamentale, censura la
sentenza impugnata per aver liquidato l’indennità di
espropriazione nel valore venale delle aree espropriate,
senza applicare la riduzione della stessa del 25% prevista
dalla predetta legge finanziaria del 2008, per gli
interventi di riforma economico sociale, quale è quello
oggetto del pip.
Con

il

quinto

motivo

il

ricorrente,

denuncia

l’illegittimità derivata dalle violazioni e distorsioni
sollevate nei motivi che precedono, per la parte che
ordina al Comune di depositare l’indennità presso la
competente Cassa Depositi e Prestiti.
2. Con il primo motivo del ricorso incidentale, Falleroni
Raffaele, denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c., anche in relazione agli artt. 99 e
100 c.p.c., si duole che la Corte d’appello abbia ridotto
l’indennità (L. 38.000/mq.) e il valore venale stimato
dalla Commissione provinciale espropri (L. 42.000/mq.),
pur essendo la stima definitiva impugnata dal solo
soggetto espropriato, mentre l’espropriante si è limitato

7

a domandarne la conferma, senza proporre lui stresso
opposizione.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale il
Falleroni, denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art. 39 1. 2359/1865, si duole che la sentenza

impugnata abbia liquidato il valore venale del bene
espropriato alla data dell’espropriazione, per avere
determinato tale valore con metodo sintetico-comparativo,
utilizzando atti di compravendita di terreni conclusi in
epoche precedenti e in diverso contesto urbanistico e
socio-economico.
Con il terzo motivo il ricorrente incidentale, denunciando
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
: fatti decisivi e controversi, censura la sentenza
impugnata per l’acritico recepimento delle risultanze di
c.t.u., in ordine al prezzo delle aree assunte in
comparazione, trasferite in epoche risalenti, e situate in
altro Comune; contraddittorietà dei parametri assunti;
esclusione dell’unico rogito rilevante (notaio Grassi
29.12.2000); errata considerazione del valore emergente
dal rogito Grassi; omessa o errata considerazione area
oggetto di convenzione di lottizzazione (rogito Grassi
31.9.2001); erroneo calcolo del valore di trasformazione:
complessivamente, per effetto delle erronee valutazioni,
il giudice ha liquidato un valore di L. 38.000/mq., mentre
alla luce di una corretta considerazione e valutazione
8

degli elementi sarebbe pervenuto alla stima di euro
60.000/mq.
Con

il

quarto motivo

il

ricorrente

incidentale,

denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su fatti decisivi e controversi, censura la

sentenza impugnata per l’acritico recepimento delle
risultanze di c.t.u., in ordine alla minore realizzabilità
edilizia della residua proprietà Falleroni a causa della
nuova forma triangolare assunta per il confine imposto
dall’espropriante.
Con

il

quinto motivo

il

ricorrente

incidentale,

denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 40
L. 2359/1865 e omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su fatto decisivo e controverso, censura la
sentenza impugnata per non aver considerato il pregiudizio
proveniente alla proprietà residua dallo smembramento e
dalla realizzazione di strada adiacente.
Con il sesto motivo il ricorrente incidentale lamenta
violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., con la disposta
compensazione delle spese di causa anche per omessa
motivazione, su tale punto decisivo della controversia. In
particolare, si rileva come nel caso, anche a voler
ritenere esistente un accoglimento solo parziale della
domanda, era palese la soccombenza dell’ente locale che
avrebbe dovuto corrispondere alla espropriata le spese che
le distorsioni dell’ordinamento, rilevate anche in corso
9

di causa,

avevano imposto,

per cui la disposta

compensazione era illogica e ingiusta.
3.1. Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
Nei casi di anomalia procedimentale di un decreto
espropriativo, che segua e non preceda la pubblicazione
F.A.L.

dell’avviso

di

deposito

della

stima

sul

dell’indennità di espropriazione definitiva della
Commissione provinciale espropri, dalla notifica di tale
provvedimento ablatorio decorre il

dies a quo del termine

di decadenza di trenta giorni previsto dall’art. 19 della
legge 22.10.1971 n. 865 per l’opposizione alla stima, in
quanto solo con l’espropriazione sorge il diritto di
chiedere la determinazione dell’indennità relativa, come
effetto della necessità di reintegrare la perdita della
proprietà ad opera dell’atto ablatorio (Cass. 17.2.2012,
n. 2329).
A seguito della sentenza Corte cost. 22.2.1990, n. 67,
l’elemento fondamentale di riferimento della tutela
giurisdizionale del proprietario assoggettato a procedura
ablatoria, relativamente alla determinazione
dell’indennità, si è spostato, dalla determinazione
amministrativa, dalla quale l’art. 19 1. 85/1 faceva
decorrere il termine decadenziale, al decreto di
esproprio, di modo che, pur in mancanza della stima
dell’ente espropriante, prima, e della Commissione
provinciale dopo, è l’emanazione del decreto di esproprio
10

che

fa

insorgere

il

diritto

alla

percezione

dell’indennità: il giudizio avente ad oggetto
l’indennizzo, dunque, si è trasformato da opposizione alla
stima in accertamento dell’indennità, purché sia certo che
la procedura si è regolarmente conclusa con l’ablazione

del bene. Ciò comporta che in assenza di decreto di
esproprio la Corte d’appello sarebbe inutilmente adita,
dato che l’emanazione del decreto è condizione dell’azione
stessa (Cass. 18.7.2013, n. 17604): che può intervenire in
corso di causa, ma può anche non intervenire, rendendo in
tal caso inutile l’iniziativa per il conseguimento
dell’indennità (Cass. 3.5.2000, n. 5513: fattispecie in
cui la mancanza del decreto di esproprio è stata rilevata
in sede di legittimità). Sicché legittimamente il
proprietario, pur avendo ricevuto la notifica
dell’indennità definitiva da parte della competente
Commissione, può attendere l’emanazione del decreto di
esproprio, prima di adire la Corte d’appello.
La sentenza impugnata si è correttamente attenuta ai
principi ora enunciati, ritenendo tempestiva l’opposizione
alla stima proposta nel termine di gg. 30 dalla notifica
del decreto espropriativo al proprietario, pur se già in
precedenza l’indennità era stata definitivamente
determinata in via amministrativa.
3.2. Il secondo motivo del ricorso principale è infondato.

11

La Corte d’appello ha correttamente qualificato l’area
espropriata come edificabile, muovendo dalla previsione
del prg, che la ricomprende in zona destinata a
insediamenti produttivi. Quanto basta a rivelarne la
natura edificatoria agli effetti della

summa divisi(‘ del

sistema di determinazione indennitaria, imposto dall’art.
5 bis d.l. 11.7.1992 n. 333, conv. in 1. 8.8.1992 n. 359,

di cui il comma 3 è tuttora vigente.
Ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa,
la destinazione a zona edificabile nello strumento
urbanistico generale è condizione necessaria e sufficiente
per l’adozione del criterio previsto per le aree
edificabili, tanto più qualora tale destinazione sia
confermata dallo strumento attuativo, come nella
fattispecie di aree destinate dal piano regolatore ad
insediamento di attività commerciali, laboratori
artigianali, e per questo inserite in un pip, che,
comunque, anche ove sia in variante rispetto al piano
regolatore generale nel senso di attribuire prerogative di
edificabilità, è su tale punto strumento conformativo
(Cass. 24.4.2007, n. 9891), a nulla rilevando che prima di
tale destinazione, il terreno avesse natura agricola
(Cass. 15.7.2011, n. 15658).
La censura dell’amministrazione ricorrente è in sé
lato

assume

l’irrilevanza della destinazione industriale

(quindi

contraddittoria,

perché,

se

da

un

12

fabbricativa) contenuta nel prg, dall’altro ne attribuisce
l’origine addirittura ad un piano attuativo, quale il pip.
Nel prg va riconosciuta la ripartizione generale del
territorio comunale in zone omogenee, con criteri generali
e astratti, sicché è a tale strumento che deve riferirsi

per la determinazione della natura del suolo a fini
espropriativi: la pretesa di parte ricorrente travisa
un’affermazione, enunciata nell’applicazione del principio
dell’indifferenza, ai fini indennitari, del vincolo
preordinato ad esproprio (art. 5-bis, comma 3, e ora altra
32 d.p.r. 327/01, comma 1), per cui nella determinazione
dell’indennità non può tenersi conto di quella
,
destinazione (potenzialmente penalizzante) in attuazione
, della quale avverrà l’espropriazione.
In primo luogo, l’esigenza di sterilizzazione del valore
dall’incidenza della destinazione espropriativa, non può
far risalire a pianificazioni anteriori non più attuali
(Cass. 2811.2001, n. 15114), e ciò che determina la
qualità del suolo è la destinazione dello strumento
urbanistico vigente (Cass. 5.6.2006, n. 13199).
Inoltre, la necessità che l’attività edilizia nelle aree
situate dal piano regolatore generale in zona di
espansione, sia resa possibile da un piano attuativo, non
esclude di per sé che tali aree vengano considerate
edificabili agli effetti dell’indennità di esproprio,
tanto più quando la destinazione non precluda attività
13

edificatorie da parte di privati (Cass. 25.5.2001, n.
7107).
3.3. Il terzo e il quarto motivo, che propongono questioni
di diritto intertemporale, sono da affrontare
congiuntamente, e si dimostrano infondati.

illegittimità costituzionale dell’art.

In primo luogo, a seguito della dichiarazione di
5 bis, commi 1 e 2,

d.l. 333/92, per effetto della sentenza Corte cost.
24.10.2007, n. 348, detta norma non può più trovare
applicazione, ai sensi dell’art. 136 Cost. e della L.
11.3.1953, n. 87, art. 30, terzo comma, dal giorno
successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte
Costituzionale.
La sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale
si traduce in un ordine rivolto, tra l’altro, ai giudici,
di non applicare più la norma illegittima: ciò significa
che gli effetti della sentenza di accoglimento non
riguardano soltanto i rapporti che sorgeranno in futuro,
ma anche quelli che sono sorti in passato, purché non si
tratti di rapporti esauriti. Per costante giurisprudenza
di questa Corte (tra le altre, Cass. 28.7.2005, n. 15809),
infatti, le sentenze di accoglimento di una questione di
legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte
Costituzionale hanno effetto retroattivo, in quanto
connesse a una dichiarazione di illegittimità che inficia
fin dall’origine la dichiarazione colpita, con l’unico
14

limite delle situazioni già consolidate, attraverso quegli
eventi che l’ordinamento riconosce idonei a produrre tale
effetto, tra i quali si collocano non solo la sentenza
passata in giudicato (e l’atto amministrativo non più
impugnabile), ma anche altri fatti rilevanti sul piano

sostanziale o processuale, quali, ad esempio, la
prescrizione e la decadenza.
Nel caso di specie, il rapporto non è ancora esaurito
perché al momento in cui è intervenuta la sentenza n.
348/07, era ancora in corso (come lo è tuttora) la
controversia sulla misura dell’indennità.
Riguardo alla disciplina applicabile, i criteri previsti
dall’art. 2, comma 89, 1. 244/07, in quanto introdotti a
, modifica dell’art. 37, commi 1 e 2 d.p.r. 327/01, si
applicano soltanto alle procedure espropriative soggette
al predetto testo unico – cioè quelle in cui la
dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta dopo la
sua entrata in vigore (30 giugno 2003), secondo le
previsioni dell’art. 57, come modificato dal d.lgs.
27.12.2002, n. 302 – mentre nelle procedure soggette al
regime pregresso rivive l’art. 39 della legge 25.6.1865,
n. 2359, e va, quindi, fatto riferimento al valore di
mercato, atteso che la norma intertemporale di cui
all’art. 2, comma 90, 1. 244/07 prevede la retroattività
della nuova disciplina di determinazione dell’indennità
espropriativa solo per i “procedimenti” amministrativi di
15

espropriazione in corso, e non anche per i giudizi (Cass.
8.5.2008, n. 11480; 21.6.2010, n. 14939; 19.3.2013, n.
6798).

Non

si pone dunque neppure questione di

decurtabilità del 25% del valore venale, che vale solo per
i soli procedimenti espropriativi in corso e non rilevante

nei giudizi in corso (Cass. 28 novembre 2008 n. 28431).
3.4. Il quinto motivo di ricorso, che, in conseguenza dei
riscontrati vizi della sentenza, ne censura il capo che
ordina al Comune di depositare l’indennità presso la
competente Cassa Depositi e Prestiti le differenze
accertate, resta assorbito, posto che tali vizi non
sussistono.
4.1. E’ infondato anche il primo motivo del ricorso
incidentale, in ordine alla dedotta preclusione alla
riduzione

della

indennità

determinata

in

via

amministrativa, in difetto di una previa opposizione
dell’espropriante.
L’opposizione alla stima ha ad oggetto l’accertamento
della giusta indennità ed il giudice non è vincolato alle
domande delle parti, espropriato ed espropriante, con la
conseguenza che non viola l’art. 112 c.p.c. la sentenza
della corte d’appello che riduca l’indennità e il valore
venale stimato dalla Commissione provinciale espropri, pur
non avendo l’ente locale mai impugnato la stessa ed
avendone domandato la conferma nel giudizio di opposizione
proposto dall’espropriato (Cass. 27.1.2005 n. 1701;
16

5.2.2009 n. 2787). Come sopra si è accennato, la stima
amministrativa è solo riferimento per la determinazione
indennitaria da parte del giudice (nel senso che
espropriante ed espropriato possono intraprendere l’azione
giudiziaria in presenza di una stima per ciascuno di loro

insoddisfacente), ma non si tratta propriamente di
un’azione di impugnazione (anche se il giudice può tener
conto di quei criteri di determinazione), bensì di
un’autonoma azione di accertamento: la tempestiva
opposizione alla stima da parte dell’espropriato fa venir
meno l’efficacia vincolante della stima stessa per tutti i
soggetti del rapporto espropriativo, e nella
determinazione giudiziale prevale l’interesse pubblico
alla esatta determinazione della indennità, che nel
contemperare la tutela del diritto di proprietà con la
corretta erogazione della spesa pubblica, da un lato deve
essere conforme ai parametri del giusto indennizzo (art.
42, terzo comma, Cost.), e dall’altro non può essere
superiore alla misura garantita dalla legge.
4.2. Il secondo motivo è infondato: il ricorrente stesso
dà atto che alle osservazioni del c.t.p. depositate il
18.2.2003 il c.t.u. ha risposto con chiarimenti il
25.1.2005, e recependo tali ultime indicazioni, il giudice
si è fatto carico di esaminare le critiche della parte. In
particolare, non sembrano esservi considerevoli differenze
temporali rispetto alle compravendite prese in
17

considerazione come termini comparativi di prezzo (del
1996, 1998, 2000, rispetto all’espropriazione di cui è
causa, avvenuta nel 2001), tali da far presumere una
variazione dei prezzi degli immobili; l’ubicazione di due
degli immobili presi a paragone, nel Comune di

Castelfidardo, non è elemento inficiante la stima, attesa
la contiguità di quel territorio, e l’esigenza di prendere
in comparazione termini omogenei (a detta dello stesso
ricorrente si trattava di aree situate in zona industriale
e di completamento; come è di completamento l’area di cui
al terzi atto che il ricorrente intende privilegiare;
l’espropriazione di cui è causa è situata in zona
industriale di espansione).
4.3. Il terzo, il quarto, ed il quinto motivo sono
inammissibili. Premesso che non è ragione di insufficienza
della motivazione la lunghezza del capoverso con cui la
sentenza ha trattato la questione di valutazione dei
terreni espropriati, ben potendo la sentenza di merito in
tema di determinazione del valore di un fondo a fini
indennitari, nel giudizio di opposizione alla stima,
richiamarsi alle conclusioni cui è approdato il c.t.u.,
senza apposita motivazione atta a riprodurre l’Iter
tecnico-valutativo dell’ausiliario del giudice (Cass.
14.9.1999, n. 9814), le censure sono palesemente rivolta a
ottenere dalla Corte di legittimità, attraverso
l’apprezzamento di elementi di fatto, la rideterminazione
18

nel merito del valore venale degli immobili acquisiti: nel
terzo il ricorrente ripercorre il dibattito tra c.t.u. e
c.t.p. svoltosi nel giudizio davanti alla Corte d’appello,
in relazione agli atti di comparazione utilizzati
dall’ausiliario del giudice, non utilizzati o sovra o

sotto stimati o agli errori di impostazione nel riscontro
confermativo attraverso il metodo analitico; nel quarto
insiste sul preteso minor valore della proprietà residua,
allegando ora la configurazione geometrica assunta; nel
quinto assume non potersi avallare un indifferenziato
pregiudizio a tutte le proprietà adiacenti alla nuova
strada di servizio agli insediamenti industriali a causa
della peculiare individualità del compendio residuo, la
cui unitarietà lo differenzia, a causa dello smembramento,
da ogni altra proprietà adiacente.
Con la proposizione del ricorso per cassazione, il
ricorrente non può rimettere in discussione,
contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto
del giudice di merito, tratto dall’analisi degli elementi
di valutazione disponibili ed in sé coerente;
l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è
sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che
nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere
di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo
quello di controllare, sotto il profilo logico formale e
della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
19


fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di
individuare le fonti del proprio convincimento e,
all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità
e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione

(Cass. 6.4.2011, n. 7921). In particolare, qualora il
giudice si sia basato sulle conclusioni del c.t.u.,
affinché sia denunciabile in cassazione il vizio di omessa
o insufficiente motivazione della sentenza, è necessario
che eventuali errori e lacune della consulenza, che si
riverberano sulla sentenza, si sostanzino in carenze o
deficienze accertative, o in affermazioni illogiche o

e

scientificamente errate, non già in semplici difformità

i-

tra la valutazione del consulente e il valore diverso
attribuito dalla parte (Cass. 8.11.2010, n. 22707).
4.4. Infine il sesto motivo del ricorso incidentale è
anche esso inammissibile, domandando una rivalutazione
delle ragioni della disposta compensazione delle spese del
giudizio di merito, correttamente operata dalla Corte
d’appello per le chiare incertezze del quadro normativo di
riferimento, anche a seguito dei vari interventi della
Corte costituzionale in materia.
5. In conclusione, i ricorsi riuniti devono entrambi
rigettarsi, con conseguente integrale compensazione delle
spese del presente giudizio di cassazione tra le parti.

P.Q.M.
.

20

4

‘e

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese.

Così deciso in Roma il 16.1.2014

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