Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 540 del 12/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/01/2011, (ud. 07/07/2010, dep. 12/01/2011), n.540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28673/2008 proposto da:

D’ANNIBALE & D’ERCOLE S.P.A., in persona del legale

rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 96,

presso lo studio dell’avvocato TAVERNITI Bruno, che la rappresenta e

difende unitamente dall’avvocato DE SIMONE SALVATORE, giusta mandato

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 5, presso lo studio dell’avvocato BOCCIA

Loreta, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati DI

SILVIO PANFILO e TASCIONE ARNALDO, giusta mandato a margine del

controricorso (per il primo) e giusta comparsa costitutiva depositata

in udienza il 7/7/10 (per il secondo);

– controricorrente –

avverso a sentenza n. 1469/2008 della CORTE D’APPELLO ci L’AQUILA,

depositata il 28/10/2008 r.g.n. 311/07;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

07/07/2010 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito l’Avvocato TAVERNITI BRUNO;

uditi gli avvocati DI SILVIO PANFILO e TASCIONE ARNALDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1469/08 la Corte d’Appello de L’Aquila accoglieva l’impugnazione proposta dal signor S.L., già dipendente della società Siauto srl, avverso la sentenza di rigetto emessa dal Tribunale di Vasto in un giudizio intentato dal medesimo S. nei confronti della società D’Anniballi e D’Ercole spa.

La sentenza riteneva che fosse irrilevante la clausola, contenuta nel contratto di compravendita di azienda, stipulato tra la Siauto, venditrice, e la società D’Anniballi e D’Ercole, acquirente, secondo cui era escluso il trasferimento di tutti i crediti aziendali e di tutti i debiti aziendali non compresi tra le passività enunciate, in quanto una simile esclusione non era opponibile ai terzi di buona fede, che non avessero partecipato al contratto di compravendita.

Nel caso di specie, peraltro, non si era neppure verificata una successione nella obbligazione, ma, prima ancora, una successione nel processo, perchè la cessione dell’azienda era intervenuta mentre il processo era ancora in corso. La società appellante era dunque un successore a titolo particolare di una delle parti litiganti, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., comma 4, il giudicato contenuto nella sentenza era efficace direttamente anche nei suoi confronti.

Avverso la sentenza di appello, depositata in cancelleria il 28 ottobre 2008, e, per quanto risulta, non notificata, la società D’Anniballi e D’Ercole s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi di impugnazione, notificato in termine, il 27 novembre 2008.

L’intimato signor S.L. ha resistito con controricorso notificato, in termine il 7 gennaio 2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo di impugnazione la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 330 c.p.c., ed il difetto di motivazione.

Secondo la ricorrente l’impugnazione dell’appello era stata tardiva, in quanto la sentenza di primo grado era stata depositata il 17 marzo 2006, mentre il ricorso in appello, pur proposto entro il termine annuale, era stato notificato al procuratore costituito il 26 maggio 2007, ad oltre un anno di distanza.

Secondo il ricorrente in questa ipotesi la notificazione avrebbe dovuto essere fatta alla parte personalmente, perchè l’originario mandato ad litem dal difensore era cessato al momento in cui la sentenza era passata in giudicato.

Anche se la successiva costituzione in appello aveva comportato la sanatoria della nullità della notificazione, questa sanatoria era intervenuta quando ormai la sentenza era passata in giudicato.

2. Nel secondo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e dell’art. 2560 c.c., ed il difetto assoluto di motivazione.

Il rapporto del S. con la Siauto era cessato ed esaurito nel 1993, cioè in una data di molto anteriore al 1998, quando era avvenuto il trasferimento di ramo di azienda. L’art. 2112, che prevedeva la solidarietà tra il cedente e il cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento della cessione non era applicabile, invece, ai crediti maturati nel corso di rapporti di lavoro cessati ed esauriti in epoca anteriore al trasferimento stesso.

Era pacifico, d’altra parte, che il credito del S. non risultava dall’iscrizione nei libri contabili obbligatori, e che pertanto non poteva essere applicato l’art. 2560 c.c., che prevede appunto che l’acquirente risponda dei debiti aziendali che risultano dai libri contabili obbligatori.

3. Nel terzo motivo di impugnazione la D’Anniballi e D’Ercole lamenta la violazione degli artt. 111 e 112 c.p.c..

Critica l’argomentazione, contenuta nella sentenza, secondo cui nel caso in esame non si era verificata una successione nell’obbligazione, ma una vera e propria successione nel processo, sostenendo che tale percorso argomentativo non era stato dedotto nell’atto d’appello, e che di conseguenza la sentenza era viziata da ultra ed extra petizione.

Contesta, comunque, la fondatezza, nel merito, dell’argomento contestato.

4. Deve essere esaminato preliminarmente, perchè pregiudiziale, il primo motivo di impugnazione.

Il motivo è infondato, perchè nel processo del lavoro è il deposito dell’atto d’impugnazione (deposito che è stato effettuato tempestivamente anche nella fase di appello) a determinare la litispendenza, mentre la notificazione dell’atto di appello (condizionato anche dall’emissione, da parte del presidente, del decreto di fissazione dell’udienza di trattazione) può essere effettuata successivamente, nè la decorrenza dell’anno comporta la cessazione della validità del mandato al difensore di primo grado.

5. Il secondo motivo di impugnazione, sul merito, invece, è fondato, e deve essere accolto sotto il profilo assorbente della mancanza di motivazione.

In linea di principio il cessionario di un’impresa è responsabile per i debiti pregressi (di lavoro, ma non solo) inerenti alla gestione dell’azienda, ma a condizione che si verifichino determinati presupposti.

La norma generale di cui all’art. 2560 c.c., dispone che “l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito”, e, più specificamente, che “nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori”.

Per quel concerne specificamente i debiti di lavoro, la norma speciale di cui all’art. 2112 c.c., prevede, al comma 2, che “il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli artt. 410 e 411 cod. proc. civ., il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro”.

In concreto, il cessionario risponde dei debiti di lavoro dell’azienda a determinate condizioni, in quanto non si riferiscano ad una vicenda già esaurita al momento del trasferimento, oppure se risultino dai libri contabili obbligatori.

La sentenza della Corte d’Appello de L’Aquila non contiene sufficienti precisazioni in linea di fatto che permettano di stabilire se il credito vantato dal signor S.L. concerna appunto, o meno, una vicenda già esaurita al momento del trasferimento dell’Azienda all’attuale ricorrente società D’Anniballi e D’Ercole s.r.l., e neppure se il credito stesso risulti iscritto nei libri contabili obbligatori.

6. L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del terzo motivo.

L’art. 111 c.p.c., richiamato dalla Corte d’Appello de L’Aquila, opera, infatti, soltanto sul piano processuale, e perciò presuppone necessariamente una preventiva successione nel rapporto sul piano sostanziale, ma, come si è detto, la motivazione è carente proprio su questo punto.

7. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, e la sentenza della Corte d’Appello cassata.

La controversia deve essere rimessa, per un nuovo esame, e per una più adeguata motivazione della decisione che verrà assunta, ad un altro giudice d’appello, e in concreto alla Corte d’Appello di Roma, cui è opportuno rimettere anche la liquidazione delle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011

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