Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 54 del 07/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/01/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 07/01/2020), n.54

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27588-2018 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VALENTINO VIALI;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI PERUGIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il

16/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Perugia, con decreto n. 26/2018 depositato il 16/3/2018, ha respinto il reclamo di S.G., cittadino albanese, avverso il decreto del Tribunale per i minorenni dell’Umbria, con il quale era stata respinta la sua domanda di autorizzazione alla permanenza sul territorio italiano, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, quale genitore della minore S.E., nata a Terni il 14/09/2008.

In particolare, la Corte d’appello, rilevato che l’interesse tutelato dalla suddetta disposizione non è quello del genitore alla permanenza nel territorio dello Stato, ma quello del minore a rimanere in Italia, ha condiviso il giudizio già espresso dal Tribunale, in ordine all’assenza di trauma della minore conseguente all’allontanamento del padre, atteso che la stessa vive già da molti anni con la madre a Roma, a seguito della separazione dei genitori (risultando la stessa “coinvolta in una rete di affetti – della madre e dei parenti con cui vive”), mentre il rapporto con il padre è stato coltivato solo negli ultimi tempi, cosicchè esso, se interrotto, non avrebbe potuto essere foriero di traumaticità; inoltre, ad avviso della Corte territoriale, emergeva “la palese non idoneità educativa del ricorrente… più volte condannato per reati relativi al commercio di sostanze stupefacenti” e, da ultimo, in via non definitiva, “per reati concernenti la famiglia – maltrattamenti -“; non decisiva risultava, al riguardo, la relazione psicologica di parte prodotta.

Avverso il suddetto decreto (asseritamente comunicato via PEC il 16/03/2018, ma non in forma integrale) S.G. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, (notificato via PEC il 14/09/2018) nei confronti del Procuratore Generale presso la Procura Generale della corte d’appello di Perugia (che non svolge attività difensiva).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art.

380 – bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Il ricorrente ha depositato memoria, corredata da documenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 286 del 1998, art. 31, della Convenzione di New York del 20/11/1989, art. 3, ratificata in Italia dalla L. n. 176 del 1991, denunciando che la Corte d’appello non aveva tenuto conto dell’interesse preminente della minore a vedersi assicurato il suo inviolabile diritto ad avere un padre presente sul territorio, dimostrato da una relazione psicologica di parte redatta da psicoterapeuta, prodotta in giudizio, ove era evidenziata la possibilità che la minore risentisse, per effetto dell’allontanamento del padre, di un disturbo d’ansia da separazione con la presenza di tratti depressivi; con il secondo motivo, si lamenta poi l’insufficiente, contraddittoria motivazione sulla sussistenza di un danno grave per la minore.

2. Il primo motivo è infondato.

Questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 21799/2010, ha affermato che “la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute, ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto”, pur dovendo trattarsi tuttavia “di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare” (conf. Cass. 25419/2015; Cass. 29795/2017).

In una recente pronuncia (Cass. 4197/2018) si è poi ulteriormente chiarito che “in tema di autorizzazione temporanea alla permanenza in Italia del genitore del minore, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, non può essere interpretato in senso restrittivo, tutelando esso il diritto del minore ad avere rapporti continuativi con entrambi i genitori anche in deroga alle altre disposizioni del decreto, sicchè la norma non pretende la ricorrenza di situazioni eccezionali o necessariamente collegate alla sua salute, ma comprende qualsiasi danno grave che potrebbe subire il minore, sulla base di un giudizio prognostico circa le conseguenze di un peggioramento delle sue condizioni di vita con incidenza sulla sua personalità, cui egli sarebbe esposto a causa dell’allontanamento dei genitori o dello sradicamento dall’ambiente in cui è nato e vissuto, qualora segua il genitore espulso nel luogo di destinazione; ne consegue che le situazioni che possono integrare i “gravi motivi” di cui al citato art. 31 non si prestano ad essere catalogate o standardizzate, spettando al giudice di merito valutare le circostanze del caso concreto con particolare attenzione, oltre che alle esigenze di cure mediche, all’età del minore, che assume un rilievo presuntivo decrescente con l’aumentare della stessa, e al radicamento nel territorio italiano, il cui rilievo presuntivo è, invece, crescente con l’aumentare dell’età, in considerazione della prioritaria esigenza di stabilità affettiva nel delicato periodo di crescita”.

Le Sezioni Unite si sono poi di recente pronunciate (Cass.

15750/2019) sulla questione relativa alla corretta

interpretazione del D.P.R. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, in punto di rilievo del comportamento, incompatibile con la permanenza in Italia, del familiare del minore straniero, che si trovi nel territorio italiano, oltre che ai fini della revoca (come prescritto nella norma citata) anche ai fini del diniego dell’autorizzazione temporanea all’ingresso o alla permanenza in Italia, affermando che “in tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero; nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto”.

Le Sezioni Unite, ribadendo dunque che funzione della disposizione “è quella di salvaguardare il superiore interesse del minore in situazioni nelle quali l’allontanamento o il mancato ingresso di un suo familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l’esistenza” e che l’interesse del familiare ad ottenere l’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso nel territorio nazionale “riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo psicofisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonchè la ragione unica del provvedimento autorizzatorio”, hanno affermato che la norma sulle attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia intende assicurare che la fattispecie permissiva non si risolva in un evento controproducente per il fanciullo od intollerabile per le ragioni interne di ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato e che l’attività del familiare incompatibile con la permanenza in Italia è destinata a rilevare, per esigenze logico-sistematiche, non solo in fase di revoca dell’autorizzazione ma anche in fase di rilascio della stessa. Le Sezioni Unite hanno evidenziato in motivazione che comunque è necessario procedere ad un “circostanziato esame della situazione particolare sia del fanciullo sia del familiare”, complessivo e non astratto, potendosi, ad es., dare rilievo, pur a fronte di condanne per determinati reati del familiare (art. 4, comma 3 T.U.I.), al percorso di reinserimento sociale concretamente dimostrato ed alla sussistenza di una relazione genitoriale positiva tra familiare e minore.

Nella specie, la Corte d’appello, pur rilevando, nella parte finale della motivazione, che vi era un comportamento del genitore incompatibile con l’interesse della minore, ai sensi dell’art. 31 cit., comma 3, comprovato da molteplici precedenti penali per reati relativi al commercio di sostanze stupefacenti e da una condanna anche per il reato di maltrattamenti (ed il ricorrente, in memoria, ha invecece dedotto di essere stato assolto da tale reato con sentenza del Maggio 2019 della Corte d’appello di Perugia), ha dato in primis rilievo, al pari del giudice di primo grado, al fatto che la minore si trova già stabilmente integrata nel territorio italiano, vivendo da molti anni a Roma con la madre (essendo i genitori separati) e la di lei famiglia, cosicchè la stessa non subirebbe alcun rischio di sradicamento ambientale, in caso di allontanamento del padre; inoltre, pur essendo auspicabile per la crescita equilibrata della minore la presenza di entrambe le figure genitoriali, nella specie, non erano evidenziati elementi di traumaticità del distacco dal padre, con il quale, solo negli ultimi tempi, era stato avviato un rapporto di frequentazione; la Corte territoriale ha esaminato la perizia di parte redatta da psicoterapeuta ritenendola non decisiva, neppure evidenziandosi in essa l’effettività di un trauma per la minore collegato all’allontanamento del padre.

Trattasi di valutazione di merito che non collide con i principi di diritto sopra enucleati da questa Corte nelle pronunce richiamate.

4. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto formulato in violazione della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. S.U. 8053/2014). Peraltro, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. 27415/218).

La Corte territoriale ha esaminato tutto il materiale istruttorio, inclusa la perizia psicologica di parte.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Il presente procedimento risulta esente e non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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