Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5399 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 05/03/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 05/03/2010), n.5399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.F., P.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato

BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANGELO PAGLIARELLO giusta deleghe in calce al

controricorso;

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON

MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

R.S., C.S., C.G.;

– intimate –

e sul ricorso 9997-2006 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI

GENTILE 8, presso lo studio dell’avvocato MARTORIELLO MASSIMO,

rappresentata e difesa dall’avvocato COGO GIOVANNA, giusta delega in

calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 898/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/12/2004 R.G.N. 1367/03 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI GIUSEPPE per delega PESSI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per rigetto per R.,

accoglimento per quanto di ragione per P. E C.,

accoglimento per quanto di ragione del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 28 dicembre 2004, la Corte di appello di Milano, riuniti i giudizi promossi dai lavoratori indicati in epigrafe nei confronti della società Poste Italiane, per ottenere la declaratoria della nullità del termine apposto ai contratti di lavoro da essi rispettivamente stipulati con quella azienda, riformava parzialmente le decisioni di primo grado, che avevano accolto le domande dei lavoratori, soltanto in ordine alla decorrenza delle retribuzioni riconosciute a ciascuno di essi.

La Corte territoriale, esclusa la risoluzione dei contratti per mutuo consenso dedotta dalla società, rilevava l’illegittimità della clausola di apposizione del termine per quelli conclusi per esigenze eccezionali, ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e successivi accordi integrativi, in quanto stipulati oltre la scadenza del 30 aprile 1998, e per quelli conclusi, sempre per esigenze eccezionali ma ai sensi dell’art. 25 del 2001, in base al rilievo della genericità della clausola, che richiedeva un successivo accordo per stabilire anche i limiti quantitativi delle assunzioni a termine ed un’autorizzazione per i rapporti di lavoro a tempo nel periodo natalizio. Riguardo alla decorrenza delle retribuzioni dovute dall’azienda e maturate dopo la interruzione del rapporto, la determinava per P.A. dal 12 febbraio 2002, per T.F. dal 9 ottobre 2001, per C.G. dal 14 marzo 2002 e per C.S. dal 31 gennaio 2002.

La società soccombente ha proposto ricorso per la Cassazione della sentenza con ricorso basato su sette motivi.

Hanno resistito con controricorso C.F., P. A., T.F. e R.S., quest’ultima proponendo a sua volta ricorso incidentale, contrastato dal controricorso delle Poste.

Le altre due intimate non hanno svolto alcuna attività difensiva.

Successivamente la società ricorrente ha depositato memorie illustrative e copie dei verbali delle conciliazioni concluse in sede sindacale con C., C. e C., espressamente dichiarando di aver rinunciato al giudizio nei confronti di C.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Innanzitutto, attesa la rinuncia al ricorso nei confronti di C.G., nei riguardi di costei va dichiarata l’estinzione del giudizio.

Ancora preliminarmente, dai verbali di conciliazione allegati risulta l’accordo transattivo raggiunto fra la società e gli intimati C.F. e C.S., con l’intesa che ogni fase di giudizio ancora in corso sarebbe stata definita in coerenza con il medesimo verbale. Per cui si deve ritenere la cessazione della materia del contendere fra le stesse parti ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse per loro a proseguire il processo, sicchè va dichiarata l’inammissibilità del ricorso con riferimento al C. e alla C..

Le spese del presente giudizio relative ai rapporti processuali con costoro e con la predetta C. vanno compensate fra le parti.

Passando all’esame del ricorso per la parte concernente gli altri tre intimati, nei riguardi dei quali permane la controversia, la società con i primi quattro motivi, denunciando violazione di legge anche in relazione ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., e vizi di motivazione, critica la sentenza impugnata per avere affermato l’illegittimità delle assunzioni a termine in questione, in relazione alle ipotesi pattizie previste o dall’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 (per R.S.) o dall’art. 25 c.c.n.l. 11 gennaio 2001 (per T.F. e P. A.), su delega legislativa, ritenendo che la disciplina collettiva, nel prevedere ipotesi di apposizione del termine ai contratti di lavoro, dovesse, essa stessa, essere sottoposta a termine nel primo caso, o nel secondo caso essere integrata da un successivo accordo sindacale che avesse stabilito limiti quantitativi delle assunzioni, o da autorizzazione amministrativa;

Il quinto motivo denuncia, insieme con vizi di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 cod. civ., e addebita alla sentenza impugnata di avere escluso l’eccepita risoluzione del contratto per mutuo consenso, in base al rilievo dell’assenza di valore concludente nel semplice ritardo nel far valere in giudizio il proprio diritto, senza tenere conto della protrazione per due anni, dopo l’interruzione dell’attività lavorativa, del ritardo con cui la lavoratrice R. aveva agito in giudizio.

Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206 e ss. c.c., artt. 1219, 2099 e 2697 cod. civ., della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonchè vizio di motivazione. Censura la sentenza impugnata per avere affermato come conseguenza dell’accertata nullità del termine, da un lato, la prosecuzione del rapporto a tempo indeterminato e, dall’altro lato, l’obbligo retributivo a carico del datore di lavoro dalla data di costituzione in mora, senza nemmeno indicare quando e in quale modo vi sarebbe stata l’offerta riferito esclusivamente la resistente R. S. da parte di ciascuno dei resistenti delle proprie prestazioni lavorative.

Il settimo motivo denuncia, unitamente a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1219, 1223, 1227 e 2697 cod. civ.. Addebita alla Corte territoriale di avere rigettato l’eccezione sollevata dalla società in ordine all’aliunde perceptum da parte dei lavoratori, per la mancanza di prove in proposito, senza però ammettere, malgrado la specifica richiesta avanzata dalla ricorrente, l’interrogatorio formale dei lavoratori e senza ordinare l’esibizione di idonea documentazione.

Va esaminato per ragioni di priorità logica il quinto motivo, il quale è riferito esclusivamente la resistente R.S..

Esso è però infondato. Come questa Corte ha più volte affermato in analoghe controversie instaurate per il riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, è necessario, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, che sia accertata una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, non solo sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, ma anche del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (v. Cass, 10 novembre 2008 n. 26935, Cass. 28 settembre 2007 n. 20390).

Nella specie, la Corte di merito ha fornito una motivazione, in fatto, congrua, adeguata e priva di vizi logici, evidenziando che il ritardo (contenuto in due anni, come pure concorda la società in ricorso) con il quale aveva agito in giudizio per far valere l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi non aveva valore concludente al fine di ritenere una inequivoca manifestazione alla rinuncia alla prosecuzione del rapporto.

Pure infondati sono i primi quattro motivi per quanto riguarda la medesima resistente.

La sentenza impugnata, nell’affermare la nullità della clausola di apposizione del termine dei contratti stipulati con R. S., ha rilevato che essi erano stati conclusi con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 8 c.c.n.l. 26 novembre 1994 e successivi accordi integrativi, per esigenze connesse alla fase di ristrutturazione aziendale, sottolineando che essi erano stati stipulati quando ormai era decorsa la scadenza che le parti collettive avevano fissato e poi prorogato, sino alla fine di aprile 1998, per la durata delle esigenze eccezionali. La statuizione relativa alla conclusione dei contratti non è stata sottoposta a censura, espressamente concordando la società, che ha indicato le date dei contratti, il primo dal 23 giugno al 30 settembre 1999, il secondo dal 1^ marzo 2000 per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, il terzo dal 21 luglio al 30 settembre 2000 per necessità del servizio in concomitanza di assenze per ferie, che però qui non ha rilievo come già osservato dalla sentenza impugnata, data la affermata conversione del rapporto di lavoro in quello a tempo indeterminato sin dal primo contratto.

E secondo la giurisprudenza di questa Corte, la quale si è già pronunciata in numerose controversie concernenti analoghe fattispecie, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito dalla L. 15 marzo 1983, n. 79, nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v.

Cass. sez. unite 2 marzo 2006 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza sino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di fatto integrante le esigenze eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo, con conseguente facoltà per l’azienda di procedere, per far fronte a quelle necessità, ad assunzione in detti limiti temporali di personale straordinario con contratto a tempo determinato. Si deve perciò escludere la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998, in quanto privi di presupposto normativo.

Sempre con riferimento alla medesima resistente R., infondato è il sesto motivo, avendo la Corte territoriale specificato nel 12 febbraio 2002 la data di costituzione in mora della società e da cui far decorrere le retribuzioni dovute alla lavoratrice; mentre è inammissibile il settimo, non risultando nella sentenza impugnata alcuna statuizione in ordine all’aliunde perceptum.

Nei riguardi dei resistenti P.A. e T. F. sono fondate le censure di cui al secondo e terzo motivo, per la parte che li riguardano, non altrettanto quelle di cui al primo e al quarto motivo che criticano la sentenza impugnata in ordine all’esistenza di una limitazione temporale per l’operatività della fattispecie derogatoria dell’ipotesi pattizia di assunzioni a tempo, secondo la previsione di cui all’art. 8 c.c.n.l. 26 novembre 1994, integrato dall’accordo 25 settembre 1997: è incontestato infatti che il P. e il T. erano stati assunti con contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati ai sensi dell’art. 25 c.c.n.l. 11 gennaio 2001 e che tale contratto collettivo fosse all’epoca in vigore.

Anche con riguardo a questo contratto, come questa Corte ha avuto occasione di affermare (v. sentenza 4 agosto 2008 n. 21092), valgono le medesime considerazioni di cui innanzi circa la configurabilità di una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25 c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

E quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dalla citata L. n. 56 del 1987, art. 23, questa Corte ha ribadito che i sindacati, senza essere vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Considerato, poi, che l’art. 25 c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, al primo comma, fra le altre, gli incrementi di attività in dipendenza di eventi eccezionali o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo che non sia possibile soddisfare con il personale in servizio nell’unità produttiva interessata o punte di più intensa attività stagionale, questa Corte (v. pronuncia n. 2175 del 28 gennaio 2009) ha ritenuto viziata l’interpretazione dei giudici del merito che avevano giudicato insufficiente a legittimare le assunzioni a termine il semplice richiamo alle esigenze specifiche di alcuni periodi dell’anno, occorrendo, invece, ad avviso dei medesimi giudici del merito, dimostrare la corrispondenza, almeno sotto il profilo quantitativo tra il personale assente e quello assunto e la effettiva entità delle punte stagionali. Si è infatti rilevato che la formulazione letterale della disposizione contrattuale non contiene elementi idonei ad esprimere il riscontrato significato riduttivo, e che l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame sia quella secondo cui, stante l’autonomia della suddetta ipotesi, non è necessario che il contratto individuale contenga specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva.

Analogamente, per quanto concerne la posizione del lavoratore P.A., deve ritenersi per l’esperimento della procedura amministrativa di autorizzazione, che secondo l’affermazione della Corte territoriale sarebbe stata necessaria per legittimare l’assunzione di personale a termine per fronteggiare l’aumento del traffico postale nel periodo natalizio.

Questo orientamento deve essere confermato e l’accoglimento del secondo e del terzo motivo nei confronti del P. e del T. comporta l’assorbimento del sesto e del settimo motivo.

Fondato è il ricorso incidentale proposto dalla resistente R., risultando la liquidazione delle spese processuali del grado inferiore ai minimi.

In conclusione, il ricorso della società Poste Italiane va rigettato nei confronti di R.S. ed accolto, nei limiti innanzi specificati, nei riguardi di P.A. e T. F., e deve essere pure accolto il ricorso incidentale.

Cassata la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte del ricorso principale e in relazione al ricorso incidentale, e ritenuto che la ragione della illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti in questione del P. e del T., è basata su una violazione di legge nonchè su una interpretazione errata della norma collettiva de qua, non essendo altresì necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa per quanto concerne i due menzionati lavoratori può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda dagli stessi proposta con il ricorso introduttivo del giudizio; analogamente, per la liquidazione delle spese processuali del giudizio di secondo grado da rimborsare alla R., che va integrata nella misura richiesta di Euro 1.080,00 (conteggiato l’importo già attribuito di Euro 620,00, i diritti vengono determinati in Euro 505,00 per diritti, gli onorari in Euro 935,00, gli esborsi in Euro 80,00 e le spese generali in Euro 180,00).

Le spese del presente giudizio e delle precedenti fasi di merito vanno compensate fra la società e i due lavoratori, P. A. e T.F., ricorrendo giusti motivi in considerazione della difficoltà delle questioni trattate; mentre per quelle del giudizio di legittimità che riguardano la R., determinate come in dispositivo, vanno poste a carico della società, in applicazione del criterio della soccombenza.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara l’estinzione del giudizio nei confronti di C.G. e inammissibile il ricorso nei confronti di C.F. e C.S., e compensa le spese relative fra i tre suddetti intimati e la società; accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, nei confronti di P. A. e T.F. e, decidendo nel merito, rigetta le domande di costoro, con integrale compensazione delle spese del giudizio di Cassazione e delle precedenti fasi di merito; rigetta il ricorso della società nei confronti di R.S., accoglie il ricorso incidentale di costei e, decidendo nel merito, condanna la società al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 1.080,00 (milleottanta/00) per le spese del giudizio di merito; condanna la società al pagamento, in favore di R.S., delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate per esborsi in Euro 51,00 e per onorari in Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

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