Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5392 del 07/03/2011

Cassazione civile sez. II, 07/03/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 07/03/2011), n.5392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.B. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTI DI CRETA 85 INT 12, presso lo studio

dell’avvocato PORFILIO ANTONIO, rappresentata e difesa dall’avvocato

DE SIMONE SALVATORE;

– ricorrente –

contro

PO.AR. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato BELLI

BRUNO, rappresentato e difeso dall’avvocato CAPPA NICOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 77/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato De Simone Salvatore difensore della ricorrente che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Rapisarda Giuseppe con delega depositata in udienza

dell’Avv. Cappa Nicola difensore del resistente che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.B. con atto notificato il 26.11.91 citava in giudizio avanti al tribunale di Vasto, PO.Ar. e, premesso di essere proprietaria di una porzione di fabbricato per uso civile abitazione sita in (OMISSIS), su tre livelli e con soffitta, a lei pervenuta con atto di divisione del 25.11.63, e che l’altra porzione dello stesso fabbricato- attribuita per effetto del menzionato atto di divisione a P.C. – successivamente perveniva al convenuto Po.; tutto cio’ premesso chiedeva che si disponesse lo scioglimento della comunione in relazione ad una “torretta” situata sul tetto dell’edificio, formata da due terrazzini (che non era stata oggetto, all’epoca della disposta divisione), con attribuzione all’attrice del terrazzo sovrastante la sua abitazione. Il Po., costituitosi in giudizio, eccepiva che il menzionato terrazzino era invece di sua proprieta’, per averlo ricevuto in vendita dai suoi danti causa e comunque per averlo posseduto in via esclusiva per oltre vent’anni.

Il tribunale di Vasto, istruita la causa mediante espletamento di CTU, con sentenza 16.05.2000 rigettava la domanda, che qualifica come azione di rivendicazione, ritenendo che l’attrice non avesse allegato la prova della proprieta’ del terrazzino, ne’ aveva prodotto in giudizio l’atto di divisione relativo a tale cespite, di cui peraltro non aveva neppure il possesso, visto che ad esso di accedeva soltanto attraverso una soffitta appartenente in via esclusiva al convenuto.

Avverso la sentenza proponeva appello la P. chiedendone la riforma; resisteva l’appellato insistendo nel rigetto dell’impugnazione. L’adita Corte d’Appello dell’Aquila con la decisione n. 77/04 depos. in data 16.2.2005 rigettava l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado. La Corte territoriale ribadiva che la P. aveva proposto un’azione di rivendicazione in relazione alla quale non aveva fornito, come doveva, la prova della proprieta’ del cespite, che non era stato menzionato nell’atto di divisione, il quale, d’altra parte, non aveva dato luogo a due distinti edifici ma ad un condominio; per cui i manufatti esistenti sul terrazzo (non contemplati in tale atto) dovevano considerarsi rimasti tra le parti comuni, come il tetto e le mura perimetrali.

Per la cassazione delle predetta sentenza ricorre la P., sulla base di 4 censure. Resiste il Po. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa di nome di diritto (art. 112 c.p.c.), omessa pronuncia e vizio di motivazione sulla domanda di divisione del manufatto sovrastante il tetto “attribuendosi a ciascuno la parte di torretta soprastante la propria porzione di fabbricato”. Censura la qualifica dell’azione da lei proposta come azione di rivendica anziche’ come domanda di divisione cosi’ come (originariamente) richiesto.

Il motivo e’ infondato , atteso che la sentenza si e’ pronunciata su tale questione; la corte di merito ha infatti affermato che non era stata impugnata la qualificazione dell’azione dell’attrice come rivendica data dal tribunale, per cui sul punto si era formato il giudicato; ha inoltre sottolineato che sia nelle conclusioni del giudizio di primo grado che nell’appello, l’attrice aveva formulato l’azione unicamente in termini di rivendicazione e si era anche doluta con l’appello che nella sentenza di primo grado fossero stata riportate le originarie conclusioni dell’atto di citazione (concernenti la divisione) e non quelle definitive (che invece si riferivano all’azione di rivendica). A questo riguardo giova aggiungere che “nel vigente sistema processuale e’ consentito solo al giudice di primo grado il potere incondizionato di qualificazione della domanda, mentre al giudice di appello – in ragione dell’effetto devolutivo di tale impugnazione e della presunzione di acquiescenza di cui all’art. 329 c.p.c. – non e’ piu’ permesso di mutare “ex officio” la qualificazione ritenuta dal primo giudice, a meno che questa non abbia formato oggetto di impugnazione esplicita o, quanto meno, implicita, nel senso che una diversa qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica di un motivo di impugnazione espressamente formulato”. (Cass. n. 20730 del 30/07/2008). Con il 2 motivo l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e il vizio di motivazione;

deduce che a fronte della produzione dell’atto di divisione e il principio dell’accessione “verticale” da lei pure invocato, incombeva al convenuto l’onere di dimostrare la proprieta’ del bene.

La doglianza e’ infondata. In realta’ la sentenza ha affermato che dall’atto di divisione non poteva ricavarsi l’attribuzione del terrazzino a nessuno dei condividendi e in difetto di essa il bene doveva ritenersi comune, tenuto conto delle presunzioni delle parti comuni della disciplina del condominio (art. 1117). Infondata appare poi la censura (che non sembra proposta in precedenza) che richiama l’istituto dell’accessione in quanto, tra l’altro, il terrazzino preesisteva rispetto alla cennata divisione avvenuta tra gli originari proprietari dell’intero complesso.

Con il terzo motivo l’esponente denuncia “la violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 938 c.c. e “di ogni principio in materia di condominio e di comunione”; nonche’ il vizio di motivazione. Stante le eccezioni proposte da convenuto (che non contestava la provenienza della proprieta’ del bene da un comune dante causa) e sulla deduzione dello stesso convenuto di un acquisto derivativo o per usucapione, non v’e’ dubbio che doveva ritenersi attenuto il rigore probatorio proprio dell’azione di rivendicazione.

Anche tale doglianza e’ infondata; in realta’ la sentenza ha in effetti riconosciuto che nella fattispecie si era verificata l’attenuazione del rigore probatorio proprio in conseguenza della difesa del convenuto, ma, cio’ nonostante, ha ritenuto che anche tale prova pur attenuta non era stata mai fornita dall’esponente.

Con il quarto motivo ed ultimo motivo l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 244 in relazione all’art. 2721 c.c. (lamenta il rigetto della prova testimoniale dedotta che a suo avviso doveva ritenersi rilevante). Il motivo e’ inammissibile perche’ non autosufficiente; in ogni caso la sentenza si e’ pronunciata tanto sull’irritualita’ della deduzione della prova quanto sulla sua rilevanza. In conclusione il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1800,00, di cui Euro 1600,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2011

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