Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5389 del 07/03/2011

Cassazione civile sez. II, 07/03/2011, (ud. 27/01/2011, dep. 07/03/2011), n.5389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A. (OMISSIS), CA.AN.

(OMISSIS), C.G.G. (OMISSIS),

in proprio ed anche quali eredi di C.G., societa’

“GIOVANNI CAFARELLA – COSTRUZIONI EDILIZIE STRADALI s.n.c”, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, e

Societa’ “COLLEPARDO s.r.l.”, C.F. (OMISSIS) in persona del

legale rappresentante pro tempore, tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE CARSO 77, presso lo studio dell’avvocato PONTECORVO

EDOARDO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALBERINI LUCIANO;

– ricorrenti –

contro

S.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 25, presso lo studio dell’avvocato

MORTELLITI GIOVANNI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 507/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato LUCIANO ALBERINI difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNI MORTELLITI difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’avv. S.M., con distinte missive datate 1.2.2000, ha richiesto alla snc Giovanni Caliarella costruzioni edili, alla srl Collepardo e ad + ALTRI OMESSI l’importo complessivo di L. 191.612.822, per pregresse prestazioni professionali espletate a loro favore.

Con citazione dello stesso anno, i predetti adivano il tribunale di Roma, chiedendo darsi atto dell’avvenuta corresponsione di complessive L. 154.331.000 a favore del predetto legale a comunque chiedendo accertarsi e quantificare le eventuali maggiori somme ancora dovute; si costituiva lo S., il quale insisteva nella sua richiesta e chiedeva altresi’, in via riconvenzionale, la condanna delle controparti per fatto illecito con condanna delle stesse per danni morali, all’onore ed all’immagine, quantificati in L. 200.000.000, oltre alla condanna dei medesimi ex art. 96 c.p.c..

Con sentenza del 2003, l’adito Tribunale, in composizione monocratica, accoglieva la riconvenzionale, respingeva la domanda di risarcimento danni da illecito e quella ex art. 96 c.p.c. e regolava le spese.

Proponevano appello gli originati attori, cui resisteva la controparte.

Con sentenza in data 21.12.2005 – 31.10.2006, la Corte di appello di Roma accertava l’avvenuto pagamento di L. 154.331.000 a favore dello S., e compensava parzialmente le spese del giudizio di primo grado, regolando altresi’ quelle di appello, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Osservava sostanzialmente la Corte capitolina che lo S. aveva dato sufficiente prova dei suoi crediti professionali e che non si era avuta contestazione specifica della documentazione prodotta, con riferimento all’effettivita’ dell’attivita’ svolta, agli scaglioni del valore delle singole controversie ed alle singole voci della tariffa professionale.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di quattro motivi, i soccombenti: resiste con controricorso lo S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., comma 1, art. 167 c.p.c., comma 2, artt. 184 e 342, 112 e 115 c.p.c. nonche’ vizio di motivazione; in primo luogo ci si duole del fatto che la Corte di appello avrebbe omesso di rilevare che nella proposizione della domanda riconvenzionale si era completamente omesso di esporre l’esposizione dei fatti e gli elementi di diritto posti a base della domanda stessa.

Tale censura lamenta un vizio che risulta comunque sanato dalla mancata tempestiva eccezione della nullita’ lamentata nel corso del giudizio di primo grado e risulta pertanto inammissibile; quanto alle ulteriori censure mosse, le stesse appaiono generiche, non costituendo che un imprecisato richiamo alla mancanza di prove relative alla sussistenza dei crediti azionati ed una indicazione di eccessivita’ degli stessi, senza peraltro che di tanto si offrano precisi riscontri. Il motivo non puo’ pertanto trovare accoglimento.

Con il secondo mezzo, si lamenta violazione dell’art. 2233 c.c. e dell’art. 2697 c.c., commi 1 e 2, dell’art. 5 della normativa delle tariffe forensi; degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonche’ omessa motivazione su punti decisivi della controversia; si lamenta in buona sostanza carenza motivazionale sulla prova dell’attivita’ svolta e sul valore delle cause in ordine a cui si richiedono gli onorari.

Va al riguardo evidenziato che la sentenza impugnata ha affermato che tale prova era stata data con il deposito di tutti gli atti relativi ai vari giudizi, cosa questa che rende incongruo il richiamo all’art. 112 c.p.c. mentre l’apprezzamento della congruita’ probatoria della documentazione prodotta e’ giudizio di merito, come tale incensurabile in sede di legittimita’.

Anche tale mezzo non puo’ pertanto trovare accoglimento.

Con il terzo motivo si lamenta violazione,sotto altri profili, dell’art. 2233 c.c. e dell’art. 2607 c.c., commi 1 e 2 e dell’art. 5 della normativa sulle tariffe forensi, nonche’ degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonche’ vizio di motivazione; si assume al riguardo che, ai fini della prova del credito, le fatture ed i pareri del Consiglio dell’Ordine non avrebbero valenza alcuna.

Va al riguardo considerato che la sentenza impugnata, in ordine a tale profilo, ha ravvisato la sussistenza delle prove del credito facendo precipuo riferimento all’attivita’ documentata dagli atti prodotti, cosa questa che elide la valenza decisiva delle fatture e dei pareri; quanto alla tabella inserita in ricorso e contenente un quadro riassuntivo dell’attivita’ professionale svolta dall’odierno resistente a favore dei propri clienti, gli stessi, oggi ricorrenti, ammettono che le deduzioni ivi contenute non erano state prospettate come censura alla sentenza di prime cure e pertanto non possono essere considerate utili in questa sede di legittimita’, atteso che il riscontro delle stesse comporterebbe accertamenti in fatto non compatibili con il giudizio per cassazione.

Anche tale meno non puo’ essere pertanto accolto.

Con il quarto motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c., dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 384 c.p.c., comma 2, nonche’ di vizio di motivazione.

In buona sostanza, si ripropongono le censure svolte nei motivi che precedono per trame la conclusione che la sentenza impugnata e’ incorsa nelle violazioni lamentate, sotto i diversi profili prospettati e si invoca la giurisprudenza relativa al necessario rapporto di correlazione che deve sussistere tra la sentenza e le argomentazioni istruttorie, estrinsecatisi in istanze o altre richieste attinenti al medesimo profilo si’ da dar conto di tutte le decisioni assunte onde pervenire alla soluzione della controversia;

il motivo, che si basa su presupposti condivisi, e’ peraltro del tutto generico, in quanto non indica specificamente come, quando e perche’ la Corte capitolina avrebbe violato tali principi, se non riferendosi alle censure svolte nei precedenti motivi di ricorso, che sono stati esaminati e respinti, donde la sostanziale inconferenza del motivo in esame che non puo’ pertanto trovare accoglimento.

Quanto poi alla istanza proposta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, con cui si chiede a questa Corte di decidere la presente causa anche nel merito, in base a nuova valutazione delle prove, la stessa e’ inammissibile, in ragione del fatto che il giudizio di legittimita’ non preclude la decisione nel merito, ma tale ipotesi e’ legata alla insussistenza della necessita’ di ulteriori accertamenti in fatto, cosa questa che non si puo’ ravvisare nel caso che ne occupa, atteso che non puo’, in assenza del riscontro di vizi motivazionali, invocarsi il richiesto riesame del merito in questa sede.

Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.200,00, di cui 4.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 27 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2011

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