Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5388 del 07/03/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 5388 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA

SENTENZA

sul ricorso 4998-2014 proposto da:
AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA POLICLINICO GAETANO
MARTINO DI MESSINA, in persona del Commissario
Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo studio
dell’avvocato ARTURO ANTONUCCI, rappresentata e difesa
2017

dall’avvocato ANTONIO SAITTA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

4342

contro

BERENATO ROSA, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,

Data pubblicazione: 07/03/2018

rappresentata e difesa dal2Avvocato FERNANDO RIZZO,
giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

UNIVERSITA’ STUDI MESSINA ;

Nonché da:
UNIVERSITA’ STUDI MESSINA, in persona del Rettore e
legale rappresentante pro tempore, domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA POLICLINICO GAETANO
MARTINO DI MESSINA, BERENATO ROSA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1822/2013 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 30/10/2013 R.G.N. 94/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del C8/11/2017 dal Consigliere Dott. ANNALISA
DI PAOLANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. 2-LBERTO CELESTE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato ANTONUCCI ARTURO per delega verbale

– intimata –

Avvocato SAITTA ANTONIO;
udito l’Avvocato D’AVANZO GABRIELLA;

udito l’Avvocato RIZZO FERNANDO.

RG 4998/2014

FATTI DI CAUSA

1.

La Corte di Appello di Messina ha respinto l’appello proposto dall’Azienda

Ospedaliera Universitaria Gaetano Martino e dall’Università degli Studi di Messina
avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto la domanda di

all’ex nono livello ospedaliero, poi divenuto primo livello dirigenziale, aveva
condannato le resistenti, con vincolo solidale fra loro, al pagamento delle somme
corrispondenti alla retribuzione di posizione fissa e variabile nella misura minima
contrattuale.
2. La Corte territoriale, riconosciuta la legittimazione passiva di entrambe le
appellanti, ha evidenziato che la Berenato, dipendente dell’Università di Messina in
servizio presso il locale Policlinico con qualifica di collaboratore professionale sanitario
tecnico di laboratorio, già inquadrato nella VII qualifica funzionale ex lege 11/7/1980
n. 312, aveva diritto a percepire l’indennità di equiparazione prevista dall’art. 31 del
d.P.R. n. 761 del 1979, disposizione rimasta in vigore anche dopo la
contrattualizzazione, perché espressamente richiamata dall’art. 51 del CCNL per il
quadriennio 1998/2001 che, in attesa della definizione di una nuova tabella, aveva
conferito ultrattività alle corrispondenze previste dal decreto interministeriale
9/1/1982.
3. Il giudice di appello ha aggiunto che sulla base di detta tabella il trattamento
economico del collaboratore tecnico del comparto Università andava equiparato a
quello dell’assistente tecnico dell’area sanitaria, senza che potesse assumere rilievo il
possesso del titolo di studio, posto che le corrispondenze erano state stabilite in
relazione alle funzioni proprie di determinate qualifiche.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Azienda Ospedaliera
Universitaria Policlinico Gaetano Martino sulla base di cinque motivi, ai quali ha
opposto difese Rosa Berenato.

L’Università ha domandato con controricorso,

ritualmente notificato, la cassazione della sentenza sulla base di un unico motivo.
Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Rosa Berenato e, riconosciuto il diritto della ricorrente all’equiparazione economica

RG 498/2014
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva preliminarmente il Collegio che il controricorso dell’Università degli Studi
di Messina, ritualmente notificato all’Azienda Ospedaliera ed agli originari ricorrenti, va
qualificato ricorso incidentale.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato in recente pronuncia che «un
controricorso ben può valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine, per il principio

minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo – occorre che esso contenga i
requisiti prescritti dall’art. 371 cod. proc. civ. in relazione ai precedenti artt. 365, 366
e 369, e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza,
specificamente prevista dal n. 4 dell’art. 366 c.p.c.» ( Cass. S.U. 7/12/2016 n.
25045).
I richiamati requisiti ricorrono nella fattispecie, perché l’Università non si è limitata
ad aderire ai motivi di ricorso formulati dall’obbligata solidale ma ha domandato
espressamente la cassazione della sentenza gravata, formulando specifiche censure.
1.1. Il ricorso incidentale non presenta profili di inammissibilità perché «sulla
base del principio dell’interesse all’impugnazione, l’impugnazione incidentale tardiva è
sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che
l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla
sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza;
conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della
controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme
della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione
principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale,
atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione
principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle
situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale.» ( Cass. S.U.
27/11/2007 n. 24627 e negli stessi termini Cass. S.U. 4/8/2010 n. 18049; Cass.
29/3/2012 n. 5086; Cass. 9/12/2014 n. 25848; Cass. 16/11/2015 n. 23396).
Nel caso di specie va considerata la peculiarità del rapporto di impiego che qui
viene in rilievo, in quanto il personale universitario «strutturato» nel Servizio sanitario
nazionale risulta alle dipendenze dell’Università, che è tenuta ad adempiere

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della strumentalità delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto

RG 4998/2014
l’obbligazione retributiva, ma al tempo stesso è in rapporto di servizio con l’Azienda
Ospedaliera e per questo la provvista viene assicurata all’Università dal finanziamento
pubblico esterno (Cass. S.U. 9/5/2016 n. 9279 punto 19). A fronte di detta particolare
forma di cogestione è evidente che l’eventuale accoglimento dell’impugnazione
principale proposta dall’Azienda modificherebbe il complessivo assetto di interessi ai
quali l’Università aveva inizialmente prestato acquiescenza e ciò giustifica la
proposizione dell’impugnazione incidentale tardiva del coobbligato.

proc. civ., «omessa motivazione circa gli effetti della sentenza del Consiglio di
Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia n. 874/2008 » e violazione dell’art. 2909
cod. civ.. Rileva che per il periodo antecedente al 10 luglio 1998 analoga domanda
proposta dalla Berenato nei confronti della sola Università degli Studi di Messina era
stata respinta dal giudice amministrativo che, con la sentenza richiamata in rubrica,
aveva escluso che potesse essere inclusa nella base di calcolo dell’indennità
perequetiva la retribuzione di posizione, trattandosi di un emolumento destinato a
remunerare una funzione nuova ed aggiuntiva, diversa da quelle precedentemente
svolte, apprezzate al momento della comparazione.
2.2. La seconda censura del ricorso principale, formulata sempre ai sensi dell’art.
360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., lamenta la «violazione e falsa applicazione del d.lgs. 21
dicembre 1999 n. 517, del decreto rettorale 26 maggio 2000 n. 636 e dell’art. 31
d.P.R. n. 761/1979». Assume la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe dovuto
escludere la legittimazione passiva dell’Azienda in quanto il giudizio si riferiva a
pretese economiche relative al periodo 10 luglio 1998/31 gennaio 1999, antecedente
all’acquisto dell’autonoma personalità giuridica da parte dell’Azienda, avvenuta solo
con il decreto rettorale del maggio 2000. Evidenzia l’inapplicabilità alla fattispecie del
principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza
n.8521 del 2012, perché in quel caso il rapporto di lavoro si era protratto anche in
epoca successiva alla data sopra indicata. La domanda, pertanto, poteva essere
proposta solo nei confronti dell’Università degli Studi di Messina.
2.3. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia «violazione e falsa applicazione
dell’art. 31 del d.P.R. n. 761/1979 e dell’art. 2948 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n.
3 ed omessa motivazione circa la prescrizione quinquennale del presunto credito in
relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5 ». La ricorrente si duole dell’omessa pronuncia

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2. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia, ex art. 360 nn. 3 e 5 cod.

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sull’eccezione di prescrizione del credito che andava, invece, accolta perché il termine
quinquennale di prescrizione non era stato interrotto dalle deliberazioni del febbraio e
del marzo 2002, con le quali l’Azienda aveva proceduto all’equiparazione economica
ed alla liquidazione delle differenze retributive, trattandosi di atti formati in esecuzione
della sentenza del Tar Catania n. 2059/2001 non contenenti alcun riconoscimento di
debito.
2.4. Con la quarta critica la ricorrente principale addebita alla sentenza impugnata

artt. 35 e 40 del C.C.N.L. per i dirigenti non medici del comparto sanità 1998/2001,
degli artt. 50 e 53 del C.C.N.L. 5 dicembre 1996, del protocollo d’intesa stipulato tra la
Regione Siciliana e l’Università degli Studi di Messina il 18 novembre 2003. Premesso
che l’indennità perequativa disciplinata dal richiamato art. 31 presuppone identità
delle funzioni e mansioni svolte dal personale universitario e da quello ospedaliero,
rileva la ricorrente principale che non poteva non essere considerato il titolo di studio,
perché determinate mansioni possono essere svolte esclusivamente da dipendenti in
possesso di laurea. La Berenato, che aveva conseguito la sola licenza elementare, non
poteva pretendere l’equiparazione al personale in possesso di qualifiche (farmacista,
biologo, chimico, fisico, psicologo) che presuppongono oltre alla laurea specifica anche
l’iscrizione in appositi albi. In ogni caso non poteva essere riconosciuta la retribuzione
di posizione, trattandosi di emolumento collegato all’incarico dirigenziale, mai
assegnato alla Berenato.
2.5. Il quinto motivo del ricorso principale (erroneamente rubricato come sesto)
lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato perché le differenze retributive erano state quantificate dal CTU
in relazione all’intero trattamento economico spettante ai dirigenti non medici di primo
livello mentre con il ricorso di primo grado la Berenato aveva domandato solo la
retribuzione di posizione parte fissa e variabile.
3. Il ricorso incidentale dell’Università denuncia con un unico motivo «falsa
applicazione dell’art. 31 d.P.R. 761/1979 in relazione agli artt. 35 e 40 del C.C.N.L.
dirigenti non medici sanità del quadriennio 1998/2001 e all’art. 33 del C.C.N.L. del
quadriennio 2002/2005». Anche la ricorrente incidentale evidenzia che l’equiparazione
del personale universitario di VII livello ai dipendenti ospedalieri originariamente
inquadrati nel IX livello, poi transitati nel primo livello dirigenziale, non giustifica di per

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la violazione e falsa applicazione dell’art. 31 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, degli

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sé la corresponsione della retribuzione di posizione, trattandosi di emolumento
strettamente collegato all’incarico assegnato al dirigente.

4. Il primo motivo del ricorso principale non può essere scrutinato nel merito,
perché formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di
allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ..
La giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio intende dare continuità, è
consolidata nell’affermare che nel giudizio di legittimità il principio della rilevabilità

ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del
ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume
essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della
motivazione » (Cass. 23/6/2017 n. 15737 e negli stessi termini Cass. 11/2/2015 n.
2617) e deve, inoltre, «indicare il momento e le circostanze processuali in cui i
predetti atti siano stati prodotti» (Cass. S.U. 27/1/2004 n. 1416; cfr. anche Cass.
18/10/2011 n. 21560).
L’Azienda ricorrente si è limitata a trascrivere solo in parte la motivazione della
sentenza; ha omesso di precisare quale fosse il contenuto degli atti introduttivi dei
diversi gradi del giudizio di ottemperanza; non ha depositato il documento unitamente
al ricorso né ha fornito le indicazioni necessarie per il pronto reperimento dell’atto.
5. Parimenti inammissibile è il secondo motivo con il quale la ricorrente principale
ripropone la questione della legittimazione passiva, fondando la critica alla sentenza
impugnata su ragioni non coincidenti con quelle esaminate dalla Corte territoriale.
Nel giudizio di legittimità è consentito al ricorrente prospettare una questione
giuridica non affrontata nella decisione gravata nei soli casi in cui la questione stessa
non implichi un accertamento di fatto, che è riservato al giudice del merito. In detta
ultima ipotesi, affinché la censura possa essere esaminata dalla Corte, è necessario
che la parte alleghi di averla già dedotta nei precedenti gradi di giudizio ed indichi lo
scritto difensivo o l’atto con il quale lo abbia fatto ( cfr. fra le più recenti Cass. 20
2/4/2016 n. 8206).
Nel caso di specie l’Azienda ricorrente, per sostenere di essere estranea al
rapporto di impiego che qui viene in rilievo, fa leva sul momento di acquisto della
personalità giuridica, a suo dire successivo alla cessazione del rapporto stesso, e,
quindi, prospetta una questione che, presupponendo anche un accertamento fattuale,

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del giudicato esterno va coordinato con gli oneri sopra richiamati sicché « la parte

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deve essere ritenuta inammissibile per novità, in quanto il motivo risulta formulato
senza il necessario rispetto degli oneri sopra indicati.
6. L’omesso esame dell’eccezione di prescrizione, del quale la ricorrente si duole
con la terza censura, integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi
alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e
della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non già con la denuncia della violazione di
una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc.

preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo
giuridicamente scorretto ovvero senza giustificare o non giustificando adeguatamente
la decisione resa.
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel comporre il contrasto sorto nella
giurisprudenza di legittimità sulle conseguenze della errata formulazione dei motivi,
hanno affermato che « nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia da parte
della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate non è
necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360
c.p.c., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purché nel motivo su faccia
inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa
omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla
suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o
insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge ” ( Cass. S.U.
24.7.2013 n. 17931).
Il caso di specie è riconducibile alla seconda ipotesi perché il motivo, al di là della
formulazione della rubrica, fa leva solo sull’omessa motivazione e sulle ragioni di
fondatezza dell’eccezione, senza menzionare neppure la violazione dell’art. 112 cod.
proc. civ. e la conseguente nullità della sentenza derivata dall’error in procedendo.
6.1. Si deve aggiungere che la parte che lamenti il mancato esame
dell’eccezione di prescrizione è tenuta ad allegare ed a dimostrare di averla
tempestivamente sollevata nel primo grado di giudizio ex art. 416 cod. proc. civ. e di
averla coltivata in grado di appello, nel rispetto dell’onere imposto dall’art. 346 cod.
proc. civ., per dar modo alla Corte di valutare ex actis la decisività e la fondatezza
della censura ( Cass. 7/10/2014 n. 21083; Cass. 20.3.1999 n. 2618).

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civ. giacché queste ultime censure presuppongono che il giudice del merito abbia

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Il motivo non è formulato nel rispetto degli oneri anzidetti, sicché sussistono
plurime e concorrenti ragioni di inammissibilità della censura.
7. La quarta critica è infondata nella parte in cui sostiene che la Berenato non
poteva pretendere l’equiparazione con il personale ospedaliero inquadrato nel IX
livello, poi transitato nel primo livello dirigenziale, non essendo in possesso del
necessario titolo di studio.
La questione che qui viene in rilievo è già stata affrontata dalle Sezioni Unite di

ricostruito il quadro normativo e contrattuale nei termini che si richiamano ex art. 118
disp. att. cod. proc. civ., hanno affermato che anche per il periodo successivo alla
contrattualizzazione dell’impiego pubblico, occorre fare riferimento all’art. 31 del
d.P.R. n. 761 del 1979 ed alla tabella delle corrispondenze allegata al decreto
interministeriale 9 novembre 1982 (recante l’approvazione degli schemi tipo di
convenzione tra Regione e Università e tra Università e Unità Sanitaria Locale), perché
le parti collettive con l’art. 53 del C.C.N.L. 21 maggio 1996, nel testo risultante
all’esito della integrazione pubblicata sulla G.U. n. 86/1997, avevano inteso congelare
provvisoriamente i criteri di equiparazione utili per la determinazione dell’ammontare
dell’indennità di perequazione sino all’adozione di una nuova tabella, avvenuta con la
sottoscrizione del C.C.N.L. 27/1/2005 per il quadriennio 2002/2005 ( Cass. S.U.
29/5/2012 n. 8521, poi ripresa da Cass. S.U. 9/5/2016 n. 9279 in relazione al
personale amministrativo inquadrato nell’ex VIII livello).
Hanno evidenziato le Sezioni Unite che « corollario di tale regola è che la
corrispondenza con il personale di pari qualifica e mansione del ruolo sanitario ex D.I.
9 novembre 1982 deve essere determinata in base all’inquadramento del personale
universitario nelle aree funzionali, nelle qualifiche e per profili professionali secondo le
mansioni svolte ed i compiti assegnati in base al D.P.C.M. 24 settembre 1981. E,
inoltre, rilevano a tali fini le norme di legge particolari di cui ha beneficiato il personale
suddetto, e precisamente la L. n. 312 del 1980, art. 85, in base al quale il personale
universitario in servizio alla data del 1 luglio 1979 è stato inquadrato nei profili
professionali di collaboratore e funzionario tecnico secondo le mansioni svolte a
prescindere dal titolo di studio…. Alla stregua di ciò, poi, occorre chiarire che le
mansioni di riferimento per accertarne la corrispondenza sono quelle ricomprese nella
qualifica professionale di appartenenza – quelle, cioè, tipicamente svolte dal

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questa Corte che, pronunciando in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa,

RG 4998/2014

collaboratore tecnico – poiché il raffronto è, appunto, fra le funzioni proprie di
determinate qualifiche, sì che essendo il dipendente inquadrato al settimo livello del
ruolo universitario come collaboratore tecnico dell’area scientifica la corrispondenza in
base al predetto D.I. è con il dipendente del ruolo sanitario inquadrato come
assistente tecnico» ( Cass. S.U. n. 8521/2012 cit.).
A detto principio di diritto, che va qui ribadito, si è attenuta la Corte territoriale
che ha, appunto, valorizzato la qualifica di collaboratore tecnico, conseguita dalla

ed ha ritenuto che l’equiparazione prevista dalla tabella all’assistente tecnico di IX
livello non poteva essere esclusa in ragione del difetto del titolo di studio e
dell’abilitazione professionale.
7.1. Sono, invece, fondati il quarto motivo del ricorso principale ed il ricorso
incidentale nella parte in cui assumono che dalla base di calcolo dell’indennità
perequativa dovevano essere esclusi tutti gli emolumenti correlati allo svolgimento di
un incarico dirigenziale ed in particolare la retribuzione di posizione, parte fissa e
variabile.
La questione della individuazione delle voci che concorrono a formare la cosiddetta
indennità De Maria è stata specificamente affrontata dalle Sezioni Unite di questa
Corte con la recente sentenza 9/5/2016 n. 9279 che, pur ponendosi in linea di
continuità con i precedenti arresti ( Cass. S.U. nn. 6104, 6105, 8521 del 2012), ha
precisato che l’indennità « deve essere determinata, nel caso di equiparazione tra
l’originario VIII livello di cui alla legge 312 del 1980 (relativo ai dipendenti
dell’Università) e il IX livello, poi divenuto primo livello dirigenziale (relativo ai
dipendenti ospedalieri) senza includere automaticamente nel relativo criterio di
computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità la quale può
essere riconosciuta soltanto se collegata all’effettivo conferimento di un incarico
direttivo».
La richiamata pronuncia ha evidenziato che l’equiparazione fra le qualifiche «non
ha carattere rigido ma bensì dinamico e cioè deve essere riferita anche ai mutamenti
apportati all’inquadramento del personale, universitario e sanitario, dai contratti
collettivi» ( S.U. n. 9279/2016 cit. punto 30), sicché l’inquadramento nel primo livello
dirigenziale dei dipendenti delle Aziende Sanitarie già inquadrati nel IX livello non fa
venir meno la corrispondenza indicata nella tabella di comparazione.

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Berenato in forza del d.l. 24/11/1990 n. 344, art.9, convertito in legge n. 21 del 1991,

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Da ciò, peraltro, non discende che debbano confluire in modo automatico
nell’indennità di perequazione tutte le voci che, secondo la previsione delle parti
collettive, compongono la «struttura della retribuzione della qualifica unica di
dirigente». Infatti, a fronte dell’evoluzione degli inquadramenti e degli istituti
contrattuali, occorre tener conto della ratio dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1971 che,
in quanto finalizzata a perequare i dipendenti «a parità di mansioni, funzioni e
anzianità», porta necessariamente a distinguere il trattamento tabellare dagli ulteriori

strettamente collegati al conferimento di un incarico direttivo.
7.2 Gli argomenti sviluppati dalla difesa della controricorrente nella memoria ex
art. 378 cod. proc. civ., tutti incentrati sull’evoluzione della disciplina contrattuale
dell’indennità di posizione e sulla distinzione fra trattamento fondamentale e
trattamento accessorio riservato ai dirigenti, non valgono a confutare il principio di
diritto affermato dalle Sezioni Unite, fondato principalmente sulla necessità di tener
conto nell’applicazione delle tabelle di comparazione, non solo del carattere dinamico
e non statico delle stesse, ma anche delle finalità perseguite dalla norma perequativa,
che, quanto alla individuazione delle singole voci, porta a distinguere quelle finalizzate
a compensare, a prescindere dall’incarico in concreto ricoperto, la professionalità
propria del dipendente (rispetto alla quale la successiva evoluzione contrattuale non fa
venir meno l’originario giudizio di equiparazione espresso nella tabella), da quelle
strettamente connesse allo svolgimento della funzione dirigenziale, fra le quali si
iscrive la retribuzione di posizione, anche nella parte fissa e non solo in quella
varabile.
8. La sentenza impugnata si pone in contrasto con il principio di diritto sopra
richiamato perché, senza accertare l’effettivo svolgimento di mansioni riconducibili alla
posizione dirigenziale, ha integralmente confermato la pronuncia di prime cure che,
come si desume dalla narrativa dei fatti di causa ( pag. 2 dello svolgimento del
processo), aveva condannato le amministrazioni al pagamento dell’indennità di
posizione fissa e variabile.
La sentenza gravata deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla Corte
territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame attenendosi al
principio enunciato al punto 7.1. e provvedendo anche sulle spese del giudizio di
legittimità.

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emolumenti che, come l’indennità di posizione, parte fissa e variabile, risultano

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Resta conseguentemente assorbito il quinto motivo del ricorso principale.
La parziale fondatezza del ricorso rende inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater,
del d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge 24.12.2012 n. 228.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, nei limiti di cui in

dichiara inammissibili gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai
ricorsi e ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Messina in
diversa composizione.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’ 8 novembre 2017

motivazione, e il ricorso incidentale. Assorbe il quinto motivo del ricorso principale e

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