Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5386 del 07/03/2011

Cassazione civile sez. II, 07/03/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 07/03/2011), n.5386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Q.M.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II 35, presso lo studio

dell’avvocato GRILLO ROSSANA, rappresentato e difeso dall’avvocato

CALDERONE TOMMASO;

– ricorrente –

contro

A.N. (OMISSIS), A.A.

(OMISSIS), B.L., C.M.E.

(OMISSIS), C.L.I. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FASANA 16, presso lo studio

dell’avvocato STUDIO RAO – GURRIERI, rappresentati e difesi

dall’avvocato CARUSO GIOVANNI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 490/2004 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 29/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 3 novembre 1984 Q.M.F. conveniva davanti al Tribunale di Messina C.S. e, premesso che l’(OMISSIS) era deceduto in (OMISSIS) il di lei padre adottivo M.M., la cui eredita’ si era devoluta per legge per meta’ ad essa attrice e per l’altra meta’ in favore della convenuta moglie del defunto; che dopo la morte del padre aveva appreso che questi aveva acquistato per L. 80.000.000 il fondo sito in (OMISSIS), di circa sei ettari, con tre fabbricati rurali, sorgive e vasche, intestati alla C.S.;

chiedeva che fosse riconosciuto quale effettivo e reale acquirente del fondo il padre adottivo, con conferimento alla massa ereditaria ed attribuzione della meta’. La C.S. contestava le domande evidenziando di aver acquistato il fondo con proventi della sua attivita’ di commerciante.

Ammesso interrogatorio formale della convenuta e disposta l’acquisizione della copia dei conti correnti del M. dal 1975 presso la Banca Commerciale italiana, con altra citazione la Q. deduceva di essere venuta a sapere che l’intero fabbricato del padre in (OMISSIS), in catasto alla partita 32098, foglio 228, particelle 41, sub 1, 2, 3, 4, 5, 6 era intestato alla C.S. e ne chiedeva il conferimento alla massa e l’attribuzione della meta’.

La convenuta deduceva che il fabbricato era stato costruito dall’impresa Chemi su suo incarico, su area dalla stessa acquistata.

Riuniti i giudizi, ammessa prova per testi, acquisite informazioni circa i conti del M. ed i titoli a nome del M. e della C.S., veniva autorizzato il sequestro giudiziario nominando custode la C.S..

Con sentenza non definitiva 2 marzo 1998 il Tribunale dichiarava il M. acquirente del fondo in (OMISSIS) e del fabbricato in (OMISSIS) su terreno apparentemente intestato alla C.S., che condannava al conferimento alla massa.

Con sentenza 21 febbraio 2002 dichiarava che eredi erano la figlia adottiva ed il coniuge e successori sulla quota di quest’ultima A.A., A.N., C.M.E., C. L.I., C.O., le ultime quattro a loro volta eredi di C.G.; dichiarava lo scioglimento della comunione e divideva i beni in due lotti con l’obbligo della parte convenuta di versare all’attrice un conguaglio di Euro 1700,41, convalidava il sequestro giudiziario e condannava gli eredi di C.S. al rimborsi dei frutti per il fondo in Euro 3615,20, per il fabbricato in Euro 78.553,15, per quota di indennita’ di servitu’ coattiva di metanodotto in Euro 3299,90, oltre alle spese.

Appellavano i convenuti, resisteva la Q. deducendo un errore materiale e svolgendo appello incidentale e la Corte di appello di Messina, con sentenza 490/04, rigettava le domande della Q. e la convalida del sequestro e la condannava alle spese.

La Corte territoriale deduceva che, costituendo l’interposizione fittizia di persona una dissimulazione non del contratto ma di una delle parti contraenti, a norma dell’art. 1350 c.c., occorre che l’accordo simulatorio risulti da atto scritto.

A norma dell’art. 1417 c.c. la prova della dissimulazione non e’ senza limiti nei confronti dell’erede.

Avendo la Q. esperito azione come erede si poneva nella identica posizione del suo dante causa per cui non era terzo ma parte e non poteva valersi della prova per testi.

Dagli atti non emergeva alcuna prova che i negozi fossero simulati e dalla prova per testi risultava che il negozio era gestito prevalentemente dalla C.S.. I movimenti dei conti correnti non dimostravano esborsi del M. per l’acquisto del terreno.

Ricorre la Q.M. con tre motivi, resistono le controparti, che hanno anche presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si denunzia violazione degli artt. 1414, 1415, 1417 c.c.. La Corte di appello ha stravolto la ineccepibile decisione di primo grado, con una errata applicazione dell’istituto della simulazione ed in particolare dell’art. 1415 c.c., comma 2 e dell’art. 1417 c.c.. M. era il reale ed effettivo acquirente.

La ricorrente ha assunto la qualita’ di terzo, avendo agito anche quale legittimaria. Col secondo motivo si lamentano vizi di motivazione perche’ la Corte territoriale, pur avendo indicato sommariamente gli elementi del proprio convincimento, non li ha approfonditi, essendo stato provato che gli atti di acquisto erano avvenuti per interposizione fittizia di persona e non ha trovato giustificazione la sproporzione tra i risultati economici conseguiti dal M. e dalla C.S., soprattutto considerata la diversa redditivita’ delle rispettive attivita’ lavorative.

Col terzo motivo si deduce la nullita’ della sentenza o del procedimento in relazione alla omessa pronunzia sull’appello incidentale. Osserva questa Corte Suprema:

La prima censura, pur dedotta come violazione di legge, manifesta la preferenza per la decisione del Tribunale, senza intaccare la puntuale statuizione della Corte di appello che ha indicato le norme applicabili e la giurisprudenza di questa Corte sul punto, deducendo che l’erede legittimo puo’ ritenersi terzo rispetto agli atti impugnati, con conseguente ammissibilita’ senza limiti della prova della simulazione, solo quando , contestualmente alla azione volta alla dichiarazione, proponga anche una espressa domanda di riduzione, facendo valere la sua qualita’ di legittimario e fondandosi sulla specifica premessa che l’atto dissimulato comporti una lesione del suo diritto personale alla integrita’ della quota di riserva spettategli, in quanto solo in questo caso egli si pone come terzo nei confronti della simulazione (Cass. 30 luglio 2002 n. 11286) mentre la Q. aveva esperito azione come erede, di acquisizione al patrimonio ereditario dei beni oggetto del dedotto negozio simulato, avvalendosi di un titolo che la poneva nell’identica posizione giuridica del suo dante causa, per cui non era terzo, ma parte a tutti gli effetti.

Non giova la tesi che la ricorrente ha assunto la qualita’ di terzo avendo agito anche quale legittimaria, risultando dalla sentenza che, essendosi devoluta per legge l’eredita’ per meta’ alla stessa e per meta’ al coniuge, ed avendo l’attrice appreso successivamente che un terreno ed un fabbricato erano intestati alla C.S., ne chiedeva il conferimento alla massa e l’attribuzione per meta’.

La ricorrente, rispetto a quanto risulta, avrebbe dovuto indicare quali atti processuali suffragassero la sua affermazione.

Ne deriva che la sentenza impugnata ha correttamente statuito.

E’ pacifico, in dottrina ed in giurisprudenza, che terzo va considerato il legittimario quando agisce per la reintegrazione della quota di riserva.

L’erede legittimario puo’ considerarsi terzo, al fine della prova della simulazione degli atti posti in essere dal de cuius, solo quando, contestualmente all’azione di dichiarazione della simulazione, proponga una domanda diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario o che la quota spettategli va calcolata tenuto conto del bene stesso, con eventuale riduzione della donazione dissimulata (Cass. 4.4.1992 n. 4140, 30.1.1987 n. 893) e non anche quando si limiti alla mera deduzione della lesione della quota di riserva o alla dichiarazione che l’azione di simulazione e’ preordinata a proporre domanda di riduzione in un futuro giudizio (Cass. 29.10.1994 n. 8942, Cass. 29.5.1995 n. 6031, Cass. 5.12.1996 n. 10849).

Nella specie, non solo non si e’ agito anche quale legittimario per quanto dedotto ma ci si e’ limitati a chiedere il conferimento alla massa e l’attribuzione della meta’, senza prospettare, neppure in via ipotetica, alcuna lesione di legittima.

In ordine al secondo motivo e’ il caso di rilevare che la Corte di appello ha fatto riferimento alla decisione di primo grado secondo la quale, dalla copiosa documentazione e dal parametro delle condizioni economiche, solo il M. potesse disporre di somme necessarie all’acquisto dei beni, risultando essere iscritto alla Camera di Commercio come commerciante al minuto di ferramenta, etc. svolgere rappresentante di mobili di diverse ditte dell’alta Italia per la Sicilia e la Calabria, titolare di depositi obbligazionari, gia’ dipendente dell’Enel.

I giudici di appello hanno, tuttavia, riferito che il negozio era gestito anche dalla C.S. e, pur citando un teste secondo il quale la venditrice del terreno di (OMISSIS), era stato acquistato dal M. per L. 80.000.000, hanno statuito che dai conti correnti non risultava alcun prelevamento di somme di tale importo.

Hanno dedotto che la C.S. era socia nella vendita di mobili, disponeva di somme per tale attivita’, si era interessata alla costruzione di via (OMISSIS) e non vi era prova dell’interposizione fittizia.

Trattandosi di una radicale diversa conclusione rispetto alla decisione di primo grado, occorre verificarne la congruita’, logicita’ e coerenza.

E’ ben noto che le opzioni probatorie del Giudice sono insindacabili, in sede di legittimita’, se immuni da vizi logici e nella specie la ricorrente lamenta il mancato approfondimento dei riscontri probatori, l’asserita interposizione fittizia e la sproporzione tra i risultati economici delle rispettive attivita’.

Ritiene questa Corte Suprema che rilevino il primo ed il terzo degli elementi prospettati, da valutare in relazione a quanto conclusivamente dedotto dalla Corte di appello a pagina tredici stante che: la C.S. gestiva, insieme al marito, il negozio di articoli per falegnameria e la stessa era socia nella vendita di mobili anche con terzi; pertanto disponeva di somme conseguenti a tale attivita’; la stessa C.S. si interesso’ della costruzione dell’immobile di (OMISSIS), mentre il M. fu estraneo; non ha trovato riscontro la dichiarazione secondo cui il M. acquisto’ il terreno per la somma di L. 80 milioni (non risultando alcun prelevamento da parte del Montanino di una tale somma dai conti correnti che non hanno mai avuto tale consistenza)…la domanda ..relativa alla simulazione per l’interposizione fittizia di persona e’ rimasta sfornita di prova”.

E’ il caso di chiedersi se la collaborazione col marito, l’interessamento alla costruzione e la disponibilita’ di somme siano sufficienti, tanto piu’ che quest’ultimo elemento deve ritenersi comune anche al M., senza che si possano trarre argomenti da mancate operazioni bancarie del medesimo, posto che l’acquisto da parte sua viene affermata da un teste.

Ma, com’e’ noto, il vizio di motivazione devesi considerare come la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino, a pena d’inammissibilita’ comminata dall’art. 366 c.p.c., n. 4 in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicita’ nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilita’ razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non puo’, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si puo’ con essa proporre un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’e’, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazione e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalita’ del giudizio di legittimita’.

In ordine al terzo motivo la censura si omessa pronunzia sull’appello incidentale, e’ (solo) formalmente corretta anche se non si specifica a quali immobili si riferisca il risarcimento dei danni per deterioramento e mancata manutenzione. La sentenza conclude che le domande della Q. vanno rigettate e gli altri motivi restano assorbiti dal rigetto delle domande.

Il dedotto assorbimento degli altri motivi non pare riferirsi all’appello principale interamente esaminato mentre in dispositivo si decide sull’appello principale, rigettando le domande della Q., coerentemente con la riportata motivazione.

Ne deriva che l’assorbimento deve intendersi riferito all’appello incidentale, anche se in concreto si tratta di un rigetto implicito.

In definitiva il ricorso va rigettato mentre la singolarita’ della controversia e le sue alterne vicende consigliano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2011

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