Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5381 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 5381 Anno 2014
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la
rappresenta e difende ex lege
– ricorrente

de,
contro

D’Orazio Antonella, elettivamente domiciliata in
Roma Via Crescenzio 25, presso lo studio
dell’Avv.to Piero Nodaro, che la rappresenta e
difende in forza di procura speciale a margine del
controricorso
– controricorrente –

avverso

la

Commissione

sentenza
Tributaria

n.

192/01/2009

regionale

del

della
Lazio,

depositata il 9/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 17/01/2014 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
udito l’Avvocato dello Stato, Lorenzo D’Ascia, per
parte ricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott.

Paola Mastroberardino, che ha

Data pubblicazione: 07/03/2014

concluso per l’accoglimento del ricorso con rinvio.
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per
cassazione,

affidato

a

quattro motivi,

nei

confronti di D’Orazio Antonella, avverso la
sentenza della Commissione Tributaria Regionale del
Lazio n. 192/01/2009, depositata in data 9/04/2009,
con la quale – in una controversia concernente

relativo alla maggiore imposta IRPEF dovuta, per
l’anno d’imposta 1994, dalla contribuente, socia
della società D’Orazio Renzo sas, esercente
attività di commercio all’ingrosso ed al minuto di
bevande, in conseguenza di una rettifica, a fronte
di maggiori ricavi accertati, del reddito di
impresa e del reddito da partecipazione attribuito
ai soci, ai sensi dell’art.5 del DPR 917/1986,
T.U.I.R. – è stata, in sede di rinvio, a seguito di
cassazione (per difetto motivazionale, stante il
mero rinvio acritico alle decisioni di primo grado)
della originaria decisione in appello, confermata
la decisione n. 381/03/2001 della Commissione
Tributaria Provinciale di Rieti, che aveva accolto
il ricorso della contribuente.
In

particolare,

i

giudici

d’appello

hanno

sostenuto, nel merito (preliminarmente, ritenendo
di potere “prescindere” dall’esame della eccezione
pregiudiziale sollevata da parte appellata in
ordine all’intervenuto giudicato esterno, formatosi
sulla sentenza n. 81/16/2004, favorevole ad altro
socio della medesima società, in accomandita
semplice) che, dall’esame della perizia acquisita
in primo grado, emergeva la sostanziale
inattendibilità

processo

del

verbale

di

constatazione redatto dalla Guardia di Finanza,

2

l’impugnazione di un avviso di accertamento

I
posto a base dell’accertamento, e l’inesattezza dei
criteri di calcolo seguiti dall’organo accertatore,
il che implicava la caducazione dell’accertamento,
non solo nella parte incisa dalle contestazioni
(con riduzione dei maggiori ricavi accertati da £
443.128.000 a £ 237.610.000), ma nel suo complesso.
L’intimata

ha

depositato

controricorso,

tra

l’altro, eccependo l’inammissibilità del ricorso,

c.p.c. ed anche reiterando, pure in via
pregiudiziale,
appello,

l’eccezione,

già

sollevata

in

di giudicato esterno favorevole al

contribuente,

rispetto

alla

res

controversa,

intervenuto per effetto della decisione n.
81/16/2004, passata in giudicato, che ha confermato
la sentenza n. 374/03/2001 della C.T.P. di Rieti,
sul ricorso proposto da altra socia della D’Orazio
sas, Tomassetti Rosa.
Considerato in diritto
1. Questa Corte ha, con le sentenze nn. 11129,
11130,

11131,

11136,

11137 e 11138 del 2007,

accolto, con cassazione con rinvio, sulla base di
rilevati vizi motivazionali, i separati ricorsi
dell’Agenzia delle Entrate contro le distinte
decisioni della C.T.R. del Lazio, che, decidendo
sulle

impugnazioni

dei

distinti

avvisi

di

accertamento (inerenti le imposte ILOR ed IRPEF
dovute per l’anno 1994) proposte dalla società
D’Orazio Renzo sas e dai soci, D’Orazio Ileana,
Fulvia,

Renzo, Antonella e Santini Vincenzo,

avevano confermato le decisioni di primo grado,
favorevoli ai contribuenti.
Oggetto del presente giudizio è la sentenza emessa
dalla C.T.R. Lazio, in sede di rinvio.
2. Ora, stante il carattere

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“chiuso” del giudizio

per violazione del disposto di cui all’art.366 bis

I

di rinvio,

quale delineato dall’art.394 c.p.c

preordinato esclusivamente a sostituire una diversa
statuizione a quella cassata, sulla base del
materiale che poteva e doveva essere acquisito
nelle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per
lo ius superveniens o i fatti nuovi sopravvenuti,
tutte le questioni, rilevabili d’ufficio, non
considerate in sede di legittimità, non possono

rinvio, né nel corso del controllo di legittimità
(Cass. 9015/1999; Cass. 5800/1997; Cass.
5131/1996).
Conseguentemente, questa Corte, essendo investita
del solo controllo dei poteri e dei limiti
assegnati al giudice di rinvio dalla precedente
cassazione, non può rilevare né il vizio inerente
la violazione del principio del contraddittorio
(quale, nella specie, la configurabilità di un caso
di litisconsorzio necessario originario, stante
l’unitarietà dell’accertamento alla base delle
determinazioni sui redditi delle società di persone
e delle associazioni di cui al D.P.R. n. 917 del
1986 (art. 5) e dei soci delle stesse, a seguito
della pronuncia di queste Sezioni Unite n.14815 del
2008, trattandosi oltretutto di un mero mutamento
della giurisprudenza di questa Corte Suprema, non
equiparabile allo

ius superveniens;

cfr. in

generale, Cass. 1075/2011; Cass. 5061/2007:

“Nel

giudizio di rinvio dalla Corte di cassazione non
può essere eccepita o rilevata di ufficio la non
integrità del contraddittorio a causa di
un’esigenza originaria di litisconsorzio (art. 102
cod. proc. civ.) quando tale questione non sia
stata dedotta con il ricorso per cassazione e
rilevata dal giudice di legittimità, dovendosi

4

essere esaminate né nel successivo giudizio di

presumere che il contraddittorio sia stato ritenuto
integro in quella sede, con la conseguenza che, nel
giudizio di rinvio e nel successivo giudizio di
legittimità possono e devono partecipare, in veste
di litisconsorti necessari, soltanto coloro che
furono parti nel primo giudizio davanti alla Corte
di cassazione”),

né le questioni correlate alla

intervenuto già nel 2004 e dunque non sopravvenuto
alla pronuncia del 2007 di cassazione, con rinvio,
dell’originaria sentenza di secondo grado (cfr.
Cass. 17690/2011:

“In sede di giudizio di rinvio,

il divieto per le parti, stabilito dal terzo comma
dell’art. 394, terzo comma, cod. proc. civ., di
formulare nuove conclusioni e, quindi, di proporre
domande ed eccezioni nuove o di prospettare nuove
tesi difensive, trova deroga allorché si faccia
valere la sopravvenuta formazione del giudicato
esterno, il quale, facendo stato ad ogni effetto
tra le parti, deve essere preso in considerazione
dal giudice del rinvio se intervenuto – come fatto
impeditivo, estintivo o modificativo della pretesa
azionata – in un momento successivo a quello della
sua possibile allegazione nelle pregresse fasi
processuali”;

Cass. 6260/2005; Cass. 11614/1998:

“Nel giudizio di rinvio resta precluso l’esame di
ogni questione logicamente pregiudiziale ed
incompatibile, non rilevata dalla Corte di
Cassazione o perché non investita della sua
decisione da un motivo di ricorso o anche perché la
questione, pur in ipotesi rilevabile d’ufficio, non
lo è stata. La pronunzia della Cassazione non può
essere rimessa in discussione nel giudizio di
rinvio in base a questioni del tipo sopra indicato,
perché il giudizio di rinvio costituisce una

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formazione di un giudicato esterno, asseritamente

prosecuzione di quello di cassazione; può esserlo
solo in base a fatti sopravvenuti al passaggio in
decisione della causa in appello o a mutamenti
normativi successivi alla pubblicazione della
sentenza di cassazione”, nel caso di specie questa
Corte ha ritenuto che non potesse essere proposta
nel giudizio di rinvio un’eccezione di giudicato,
atteso che la Cassazione aveva accolto il ricorso

del giudicato).
3. Nel merito del presente ricorso, l’Agenzia
ricorrente lamenta, con il primo motivo, la
violazione e/o falsa applicazione di norme di
diritto, ai sensi dell’art.360 n. 3 cp.c., in
relazione agli artt.2 e 35 comma 3 del d.lgs.
546/1992, in quanto i giudici tributari, in assenza
di vizi formali dell’avviso di accertamento,
avrebbero dovuto, a fronte della solo parziale
incongruità dei ricavi accertati dall’Ufficio
erariale, rideterminare l’effettiva consistenza
dei ricavi e l’imposta effettiva dovuta, anziché
procedere all’annullamento integrale degli atti
impositivi.
Il motivo è infondato, in quanto, nell’ambito della
libertà di convincimento e di valutazione delle
risultanze processuali e dei fatti accertati, i
giudici tributari, non incorrendo in alcuna
violazione in diritto, hanno motivato sulle ragioni
per le quali l’intera metodologia e tutti i criteri
di indagine utilizzati dai verificatori dovevano
ritenersi inattendibili, all’esito dell’esame della
perizia espletata in sede penale, nel corso di un
procedimento svoltosi a carico del socio Renzo
D’Orazio, ed acquisita nel giudizio tributario di
primo grado, così da determinare la caducazione

6

senza che fosse sollevato o affrontato il problema

dell’accertamento nella sua integrità e non anche
nella sola parte espressamente toccata dai rilievi
del perito, condivisi dai giudici di merito e
neppure contestati dall’Agenzia delle Entrate (si
legge nella sentenza impugnata, nella parte finale:
“l’analisi svolta dal perito è tale da dimostrare
l’inesattezza dei criteri di calcolo seguiti
dall’organo accertatore, cosicché viene a cadere

specificamente esaminata ma l’accertamento nel suo
complesso. Non si può infatti sostenere, a fronte
di elementi per gran parte così incerti e non
definiti, che il contribuente sia chiamato a
rispondere oltre i dati risultanti dalla
contabilità. Del resto, l’argomento assume nel caso
di specie specifica rilevanza, l’Ufficio non ha
prodotto alcun elemento di conoscenza idoneo a
contrastare la tesi difensiva dell’appellata,
limitandosi a sostenere la correttezza di criteri
di calcolo palesemente inesatti ed inattendibili”).
4. Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo,
vengono poi dedotti vizi motivazionali, ai sensi
dell’art.360 n. 5 c.p.c., per insufficiente o
contraddittoria

motivazione

necessità di annullare

in

ordine

alla

in toto l’atto impositivo,

pur essendo stato dimostrato dal perito che solo
una parte, del totale dei ricavi recuperati, per
237.619.000,

corrispondeva

non

alla

contabilizzazione della Guardia di Finanza, nonché
in ordine al mancato esame dell’eccezione relativa
alla irregolare tenuta della contabilità da parte
della società e della conseguente legittimità della
ricostruzione operata dall’Ufficio.
I motivi sono inammissibili.
5. Anzitutto essi non rispettano le prescrizioni di

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non solo la parte delle contestazioni

cui all’art.366 bis c.p.c., disposizione questa
pienamente operante, essendo stata la sentenza
impugnata pubblicata nell’aprile 2009 (ed operata
l’abrogazione della norma solo con l’art.47 della
1.69/2009, entrata in vigore il 4/07/2009).
Difetta, infatti, un’illustrazione contenente

“la

chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa

la dedotta insufficienza della motivazione la rende
inidonea a giustificare la decisione”,

come

prescritto dall’art.366 bis c.p.c..
Questa stessa sezione ha affermato che “il vizio di
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
di cui all’art. 360 c.p.c., coma 1, n. 5, deve
essere dedotto mediante esposizione chiara e
sintetica del fatto controverso – in relazione al
quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali
l’insufficienza rende inidonea la motivazione a
giustificare la decisione, fornendo elementi in
ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non
devono attenere a mere questioni o punti”

(Cass. n.

16655/2011).
Nel secondo e nel terzo motivo (nel quarto, è
invece omessa totalmente la sintesi o riepilogo, ai
sensi dell’art.366 bis c.p.c.), vengono
prospettati, in realtà, non dei fatti controversi,
in riferimento ai quali la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ma delle mere questioni o
argomentazioni

(“Il fatto controverso è costituito

dalla discrasia riscontrata tra i dati contabili
dichiarati da una società sas ed i dati contabili
accertati dalla Guardia di Finanza, in sede di
verifica, ulteriormente esaminati da un consulente

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o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali

d’ufficio nominato dal Tribunale penale. La perizia
giudiziale, acquisita nel giudizio tributario,
condivisa dalla CTR, aveva preso in considerazione
un limitato numero di articoli (25 per l’esattezza)
in relazione al quali aveva valutato inattendibile
la contabilizzazione effettuata dal verificatori ed
aveva concluso per una riduzione dell’importo del
ricavi rettificati dall’ufficio dell’importo

inopinatamente ha affermato che “l’analisi svolta
dal perito è tale da dimostrare l’inesattezza del
criteri di calcolo seguiti dall’organo
accertatore”, quando, invece, il perito aveva
soltanto evidenziato che, in relazione ai soli
prodotti esaminati, vi erano errori contabili tali
da portare ad una riduzione dell’importo accertato
e senza rendere conto dell’iter logico giuridico
seguito per giungere ad annullare, anziché ridurre
l’intera rettifica, ritenendo inattendibile tutta
la contabilizzazione effettuata dal militari
verificatori, quando era emerso che solo una parte
dei ricavi era stato erroneamente contabilizzato”;
“La CTR ha ritenuto esistenti errori di
contabilizzazione esclusivamente da parte della
Guardia di Finanza senza prendere in considerazione
che la ricostruzione compiuta in sede di verifica
fosse fondata proprio sull’inattendibilità del dati
dichiarati dalla società, ipotesi pure evidenziata
dallo stesso perito, come rilevato dall’ufficio nel
pregressi gradi”).
Va in questa sede ribadito (cfr. Cass. 2805/2011;
Cass.13457/2012) che per
controverso”

“fatto decisivo e

deve intendersi un vero e proprio

fatto, non una “questione” o un “punto”,

stante la

modifica dell’art. 360 c.p.c. operata dal d.lgs.

9

corrispondente a quello rilevato. La CTR

40/2006, non meramente formale e priva di effetti.
Il “fatto” di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. deve
dunque essere inteso come un vero e proprio
“fatto”,

in senso storico e normativo, ossia un

fatto principale, ex art. 2697 c.c. (vale a dire,
un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o
estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e
giurisprudenza, un fatto secondario (vale a dire,

principale), purché sempre controverso e decisivo.
Nella specie,

invece,

la ricorrente,

anziché

individuare uno o più fatti specifici (e dotati di
natura controversa e di carattere decisivo), si
limita a denunciare essenzialmente la mancata
motivazione in ordine alle argomentazioni esposte
dall’Amministrazione nel giudizio d’appello.
6.

Inoltre,

le

censure

si

sovrappongono,

inammissibilmente, all’apprezzamento di fatto della
C.T.R., che ha coerentemente motivato circa la
totale inattendibilità degli elementi di fatto su
cui dall’Ufficio è stata fondata la presunzione,
cosicché la denuncia si risolve, in realtà, in una
semplice non condivisione degli esiti della
valutazione “di

della CTR, che non può

merito”

esser in questa sede censurata (Cass. 6288 del
2011; Cass. 7921 del 2011). Invero, il vizio di
omessa,

insufficiente

o

contraddittoria

motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., si configura
solo quando sia riscontrabile nel ragionamento del
giudice di merito il mancato o insufficiente esame
di un elemento di fatto, controverso e rilevante in
funzione della decisione della causa, o una
obiettiva deficienza e incoerenza del criterio
logico che lo ha condotto alla formazione del
proprio convincimento, ovvero se a fondamento della

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un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto

decisione siano stati posti apprezzamenti e
argomentazioni tra loro contraddittori, tali da non
consentire una corretta ricostruzione della

ratio

decidendi.
7. La Corte rigetta il ricorso.
Le spese processuali del presente giudizio di
legittimità, liquidate come in dispositivo, in
conformità del D.M. 140/2012, attuativo della

1/2012, convertito dalla l. 271/2012 (Cass.S.U.
17405/2012), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte
ricorrente al rimborso delle spese processuali,
liquidate in complessivi E 2.200,00, a titolo di
compensi, oltre C 200,00 per esborsi ed accessori
di legge.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Quinta sezione civile, il 17/01/2014.

&

l Presidente

Il Consigliere est.

Ì

l

prescrizione contenuta nell’art.9, comma 2 ° , d.l.

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