Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5380 del 07/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 07/03/2018, (ud. 02/11/2017, dep.07/03/2018),  n. 5380

Fatto

1.La Corte d’appello di Torino, in riforma del Tribunale, ha condannato la Cassa Forense a liquidare all’avv. G.P.P. la pensione invalidità e quella di vecchiaia tenendo conto dei maggiori redditi accertati a seguito di verifiche dell’ufficio delle imposte definite con l’accertamento con adesione D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 2,comma 3.

La Corte, richiamato l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. citato, ha affermato che detta norma, ai fini dell’armonizzazione tra la disciplina fiscale e quella previdenziale,rapportava espressamente la contribuzione ai redditi accertati ai fini irpef, disponendo che la base imponibile ai fini previdenziali fosse corrispondente a quella rideterminata nell’ambito tributario e che,dal tenore della disposizione, la maggiore contribuzione incideva sulla determinazione del trattamento pensionistico non emergendo una diversa possibile interpretazione.

Secondo la Corte il ricorrente, effettuando le comunicazioni alla Cassa, aveva anche adempiuto alle comunicazioni obbligatorie previste dalla L. n. 576 del 1980, art. 17, da inviarsi dagli avvocati iscritti entro trenta giorni dalla data fissata per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, nella quale dovevano essere dichiarati anche gli accertamenti divenuti definitivi, nel corso dell’anno precedente, degli imponibili irpef e Iva,qualora avessero comportato variazione degli imponibili dichiarati, con conseguente sostituzione delle dichiarazioni anteriormente effettuate alle relative scadenze di legge.

Infine,la Corte ha rilevato che i redditi erano stati rideterminati nel 2002/2003 e che, alla data di riconoscimento delle pensioni di invalidità e vecchiaia, la Cassa disponeva già dei dati reddituali dichiarati ed accertati.

Avverso la sentenza ricorre la Cassa Forense con un motivo. Resiste l’avv. G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.Con un unico motivo la Cassa denuncia violazione della L. n. 576 del 1980, artt. 2, 10 e 11, e D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2.

Osserva che il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, stabilisce che l’accertamento definito con adesione non rilevava ai fini extra – tributari e che i maggiori redditi comportavano un aggravio a titolo di contribuzione, ma non erano rilevanti ai fini del calcolo delle prestazioni.

Deduce che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 372/1982, aveva dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 576 del 1980, art. 2,nella parte in cui limitava la base del computo, per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai soli redditi dichiarati escludendo l’ammontare dei redditi risultanti dai successivi accertamenti.

Richiama, inoltre, la sentenza della Corte di Cassazione n. 11473/1990 secondo cui era rilevante, ai fini della determinazione dell’entità del trattamento di pensione di vecchiaia erogato dalla Cassa, il solo reddito professionale risultante dalle dichiarazioni presentate, alle scadenze di legge, alla Cassa in conformità alle disposizioni della L. n. 576 del 1980, e non già quello definito per effetto del cosiddetto condono fiscale di cui alla L. n. 516 del 1982.

Osserva ancora che la normativa forense, ai fini della base pensionabile, faceva riferimento al reddito professionale netto prodotto nell’anno quale risulta dalla dichiarazione ai fini Irpef e che il riferimento al reddito prodotto e non a quello dichiarato indicava che doveva trattarsi di quello “effettivo” e non “fittizio”, quale era quello conseguente alla definizione della vertenza con adesione.

Sottolinea, infine, che esigenza di certezza dei rapporti giuridici imponevano una soluzione idonea a giungere ad una determinazione della pensione secondo le scadenze e nei termini stabiliti dalla legge, e non secondo variabili ed aleatorie circostanze idonee a determinare continui cambiamenti della base di calcolo da considerare ai fini pensionistici.

3. Il ricorso va accolto.

La questione attiene alla rilevanza o meno ai fini della determinazione della pensione di invalidità – decorrente dall’1/3/2006 – e poi della pensione di vecchiaia – decorrente dall’1/10/2008 -, liquidate dalla Cassa Forense all’avv. G.P.C., del maggior reddito accertato attraverso l’accertamento con adesione” D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 2, comma 3, per gli anni 1996, 1997 e 1998.

Tale ultima disposizione stabilisce che “L’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio e non rileva ai fini dell’imposta comunale per l’esercizio di imprese e di arti e professioni, nonchè ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi”.

4. Ciò premesso va rilevato che i redditi da considerare ai fini del calcolo della pensione di invalidità o vecchiaia sono quelli tempestivamente dichiarati alla Cassa secondo le scadenze previste dalla legge. La L. n. 576 del 1980, art. 2, infatti, ai fini della determinazione del trattamento pensionistico, fa solo ed esclusivo riferimento alla media decennale del reddito professionale “dichiarato” ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche – IRPEF – quale risulta dalle dichiarazioni presentate nei dieci anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione.

5. L’art. 17, della legge citata, che disciplina le comunicazioni obbligatorie alla Cassa cui sono tenuti gli iscritti, stabilisce, inoltre, l’obbligo di tutti gli iscritti di “comunicare alla Cassa con lettera raccomandata, da inviare entro trenta giorni dalla data prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, l’ammontare del reddito professionale di cui all’art. 10, dichiarato ai fini dell’IRPEF per l’anno precedente, nonchè il volume complessivo d’affari di cui all’art. 11, dichiarato ai fini dell’IVA per il medesimo anno”.

6. L’art. 10 della legge citata determina, poi, la misura del contributo soggettivo obbligatorio a carico di ogni iscritto alla Cassa che è pari ad una percentuale “del reddito professionale netto prodotto nell’anno, quale risulta dalla relativa dichiarazione ai fini dell’IRPEF e dalle successive definizioni”.

7. Alla luce di dette disposizioni risulta indiscutibile che la quantificazione dei trattamenti pensionistici a favore degli iscritti alla Cassa Forense è determinato sulla base delle dichiarazioni rese dagli iscritti stessi,secondo le modalità stabilite dalla legge.

La determinazione dell’ammontare della pensione è legato, inoltre, logicamente al presupposto dell’avvenuta, regolare e tempestiva comunicazione alla Cassa dell’entità del reddito professionale da parte dell’interessato e del relativo pagamento del contributo soggettivo.

Diversamente si introdurrebbero nel sistema previsto dalla legge elementi del tutto variabili dettati dall’arbitrio dei soggetti interessati iscritti alla Cassa, opposti rispetto alla ratio dell’imposizione di specifiche regole e logicamente non compatibili con la concreta possibilità di procedere in via programmata e razionale da parte della Cassa.

Sulla base delle suddette considerazioni il reddito concordato a seguito dell’accertamento con adesione con il fisco, ai sensi della normativa di cui al D.Lgs. n. 218 citato, non può essere equiparato al reddito “dichiarato”, secondo le modalità prescritte dalla legge. In sostanza, come osserva la Cassa, ciò che rileva è il reddito professionale effettivo e non quello “fittizio”, come è quello conseguente alla definizione della vertenza con adesione. In caso contrario,la base pensionabile finirebbe per essere rapportata a quanto non effettivamente ricavato dal lavoro e, comunque, il quantum rimesso alla volontà del soggetto, il tutto in contrasto con il principio di indisponibilità vigente in materia previdenziale”.

8. Va, poi, ribadito quanto già affermato da questa Corte (cfr Cass. 11473/1990), con riferimento a quanto statuito nella L. n. 576, art. 17, citata circa l’obbligo del professionista di dichiarare anche gli “accertamenti divenuti definitivi” nel corso dell’anno precedente. Nella citata sentenza di questa Corte si è ribadito,infatti, che non può non considerarsi che l’importo della pensione va, comunque, calcolato con riferimento al reddito “dichiarato”. Ne consegue che anche sotto tale profilo,sul quale la Corte d’appello ha posto l’accento, pur dovendosi rilevare che l’accertamento con adesione prevede l’obbligo di pagamento dei contributi, la norma deve necessariamente rapportarsi alla legislazione specifica disciplinante il sistema previdenziale forense e, dunque, occorre valorizzare l’affermazione contenuta nel D.Lgs. n. 218, art. 2, comma 3, citato che espressamente esclude la rilevanza di tale “accertamento ai fini extratributari”.

9. In conclusione va rilevato che, pur dovendosi ritenere non determinante il riferimento alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 372/1992, citata dalla Cassa, atteso che l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 576 del 1980, art. 2, risulta pronunciata con riferimento all’art. 3 (in ordine al quale ha escluso un’utile comparabilità di situazioni con lavoratori pubblici) e art. 36 Cost. (ritenuto richiamabile solo con riferimento ai lavoratori dipendenti), ritiene il Collegio che siano tuttora validi i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 11473 citata che, sebbene con riferimento alla L. n. 516 del 1982, ha affermato che “Ai fini della determinazione dell’entità del trattamento di pensione di vecchiaia erogato dalla cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore degli avvocati e procuratori rileva secondo la disciplina posta dalla L. 20 settembre 1980, n. 576 – il reddito professionale dichiarato ai fini fiscali (quale risultante dalle dichiarazioni presentate nei dieci anni solari anteriori alla maturazione del diritto ai fini dell’IRPEF) e non già quello definito per effetto del cosiddetto condono fiscale di cui alla L. n. 516 del 1982”. Nella specie, in modo analogo, l’accertamento con adesione non costituisce una reale definizione del solo reddito professionale dell’avvocato, idoneo a costituire la nuova ed effettiva base imponibile ai fini contributivi ed ad incidere sull’ammontare della pensione goduta. Del resto il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 3, dopo aver affermato che l’accertamento non rileva ai fini extratributari, espressamente stabilisce che i contributi previdenziali e assistenziali,che il contribuente è tenuto a versare,sono calcolati sulla base imponibile riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Stabilisce, cioè, che la base imponibile ai fini previdenziali sia corrispondente a quella rideterminata nell’ambito tributario. La normativa della Cassa, invece, come prima si è detto, fissa regole specifiche per la determinazione dei contributi e del conseguente trattamento pensionistico.

10. Per le considerazioni che precedono il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda del professionista.

La novità e particolarità della questione trattata consente di compensare le spese processuali dell’intero processo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originaria domanda dell’avv. G.; compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 2 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2018

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