Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5379 del 03/03/2017

Cassazione civile, sez. trib., 03/03/2017, (ud. 21/12/2015, dep.03/03/2017),  n. 5379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4120-2009 proposto da:

AGENZIA ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BAUMER ELECTRIC AG, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI 11, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA CIPOLLA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LIVIA SALVINI, giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 92/2008 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia,

depositata il 14/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2015 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il resistente l’Avvocato SALVINI LIVIA, che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO, che ha concluso per l’accoglimento per quanto

di ragione del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Baumer Electric AG, società di diritto svizzero con rappresentate fiscale in Italia, ha richiesto, mediante presentazione del modello VR, il rimborso dell’IVA relativa all’anno 2001, versata in rivalsa su fatture emesse da Baumer Electric s.r.l., società italiana del medesimo gruppo, per “spese commerciali”.

La società successivamente provvedeva, peraltro, a presentare dichiarazione integrativa per definire in via agevolata le pendenze tributarie IVA relative al medesimo anno 2001 mediante il cd. “condono tombale” ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9.

L’Ufficio di Milano della Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 contestando la inerenza della spesa non evidenziata dalla generica ed incompleta descrizione riportata in fattura, e rilevando che il condono non poteva ritenersi perfezionato, non essendo stato versato l’importo dovuto, atteso che la società contribuente per gli anni dal 1998 al 2001 aveva “omesso di presentare la dichiarazione fiscale” e dunque avrebbe dovuto corrispondere le somme indicate nel comma 8 e non quelle inferiori indicate nel comma 2, della L. n. 289 del 2002, art. 9, lett. b).

La società proponeva opposizione risultando soccombente in primo grado, con decisione integralmente riformata in grado di appello dalla Commissione tributaria della regione Lombardia che, con sentenza 14.11.2008 n. 92, ha ritenuto infondata la pretesa fiscale in quanto, in caso di insufficiente versamento effettuato ai fini del condono tombale, doveva trovare applicazione in via analogica la procedura di correzione degli errori prevista dall’art. 16, comma 9, stessa L., rimanendo impedito il perfezionamento del condono soltanto nel caso in cui il contribuente non avesse ottemperato a regolarizzare il pagamento nel termine assegnato dall’Ufficio. Infatti, in difetto di tempestiva richiesta di regolarizzazione comunicata dall’Ufficio, secondo la CTR, la procedura di condono rimaneva definita con effetti preclusivi di ulteriori accertamenti, essendo quindi irrilevante accertare se la presentazione del modello VR potesse o meno ritenersi equipollente a presentazione di dichiarazione fiscale, tenuto altresì conto che la fattispecie del contribuente che aveva presentato la dichiarazione-modello VR (pur se limitata a fornire i soli dati necessari a conseguire un rimborso d’imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 38 bis) in ogni caso non avrebbe potuto essere sussunta in quella della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 8, che riguardava la totale “omessa dichiarazione”.

La sentenza di appello notificata in data 12.12.2008 è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate che ha dedotto con tre motivi la violazione della L. n. 289 del 2002, artt. 9 e 16.

Ha resistito con controricorso la società.

La società ha depositato anche memoria illustrativa, eccependo il giudicato esterno.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La questione sottoposta all’esame della Corte si incentra interamente sul perfezionamento (contestato dalla Agenzia fiscale) della procedura di condono, avente ad oggetto esclusivamente l’imposta sul valore aggiunto, L. n. 289 del 2002, ex art. 9 (condono “tombale”).

Con il primo motivo la ricorrente censura la estensione analogica al “tipo” di condono tombale di disposizioni (concernenti il procedimento di correzione dell’errore scusabile sul “quantum” dovuto dal contribuente) che disciplinano un diverso “tipo” relativo alla definizione delle liti tributarie pendenti, trattandosi di norme eccezionali che regolano procedimento del tutto autonomi e distinti; con il secondo motivo, proposto in via subordinata, la Agenzia fiscale censura la statuizione che ritiene preclusa qualsiasi contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla insufficienza degli importi versati dal contribuente, laddove non abbia tempestivamente attivato la procedura – di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 9 – di regolarizzazione degli “errori” in cui è incorso il contribuente anche se inescusabili a causa di difetto di normale diligenza; con il terzo motivo la parte ricorrente impugna la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la presentazione del modello VR fosse sufficiente ad integrare il presupposto della “presentazione della dichiarazione” idoneo ad escludere la fattispecie di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 8.

Tali le questioni sottoposte all’esame della Corte, non può non essere rilevata “ex officio” la incompatibilità della disciplina normativa di definizione agevolata del mancato versamento dell’IVA disposta dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, con la 6^ direttiva n. 388 del Consiglio in data 17.5.1977 e succ. mod., applicabile ratione temporis, dovendo ritenersi, pertanto, inefficace la procedura di condono attivata dalla società con conseguente assorbimento di tutti i motivi di ricorso dedotti dall’Agenzia ricorrente.

La incompatibilità della disposizione richiamata (L. n. 289 del 2002, art. 9) con l’ordinamento comunitario è stata accertata dalla Corte di Giustizia CE “in quanto comporta una rinuncia generale ed indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili in materia di IVA e, pertanto, integra un inadempimento agli obblighi che sullo Stato italiano incombono “in forza delle disposizioni dell’art. 2, n. 1, lett. a), c) e d), e degli artt. 193 – 273 della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema d’imposta sul valore aggiunto, che hanno sostituito, dal 1^ gennaio 2007, gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977. 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, nonchè dell’art. 10 CE” (sentenza 11 dicembre 2008, causa C-174/07; analogamente, la sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06). Il rilevato contrasto con l’ordinamento comunitario comporta l’obbligo del giudice e dell’amministrazione finanziaria italiani di non applicare le norme nazionali relative al suddetto condono (in tal senso, espressamente, le pronunce della Cassazione civile, sezioni unite, dal n. 3673 al n. 3677 del 2010; sezione semplice, n. 24586 e n. 24587 del 2010). Da ciò discende la riespansione del potere accertativo dell’amministrazione finanziaria (cfr. Corte cost. sentenza del 25.7.2011 n. 247; da ultimo cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 2915 del 07/02/2013), nonchè l’assoggettamento del contribuente alle relative sanzioni pecuniarie (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 19546 del 23/09/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 22250 del 26/10/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 8110 del 23/05/2012).

Pertanto, la questione sollevata dalla ricorrente – cui resiste la società – se sussistano o meno i presupposti per la liquidazione dell’ammontare dovuto ai fini del condono tombale ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 2, lett. b) – come afferma la società la cui tesi difensiva è stata accolta dalla CTR -, ovvero ai sensi della L. n. 289 del 2002, medesimo art. 9, comma 8, – come invece sostenuto dalla Agenzia fisacale – risulta del tutto irrilevante, non potendo – comunque – ritenersi efficace il perfezionamento del “condono tombale” effettuato dalla società contribuente per gli anni d’imposta dal 1998 al 2001, permanendo integro, in conseguenza della incompatibilità comunitaria della norma sul condono, il potere di rettifica (o di accertamento) dell’Ufficio sulle dichiarazioni (o sulle omesse dichiarazioni) concernenti i predetti anni d’imposta, ove non siano decorsi i termini di decadenza previsti dalla legge.

Appare del tutto inconferente la eccezione di giudicato esterno proposta dalla società in relazione alle pronunce rese “inter partes” da questa Corte con le sentenze in data 26.10.2011 n. 22250 ed in data 23.9.2011 n. 19529, allegate in copia alla memoria ex art. 378 c.p.c..

Premesso che la efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c., rimane evidentemente esclusa in relazione al principio del “ne bis in idem”, atteso che le pronunce in questione avevano ad oggetto distinti rimborsi IVA richiesti in differenti anni d’imposta 1998 – 2000 (i diversi giudizi, infatti, si riferiscono ad obbligazioni tributarie che, ove anche riferibili in ipotesi al medesimo tipo di imposta – IVA – ed al medesimo tipo di rilievo formulato all’Ufficio finanziario – indebito rimborso credito IVA -, sono originate da situazioni fattuali non riconducibili ad un medesimo fatto generatore di imposta, rimanendo esclusa, pertanto, la “identità oggettiva del rapporto giuridico” dedotto nei diversi giudizi che soltanto consentirebbe – indipendentemente dal differente “petitum” – di ravvisare la unitarietà della “causa petendi” la quale soltanto può giustificare la esigenza di evitare contrasti in ordine a questioni giuridiche che costituiscono il necessario presupposto logico-giuridico comune alle varie decisioni, con la conseguenza che le statuizioni adottate in una causa, anche se concernenti identiche questioni di diritto, non possono spiegare efficacia vincolante nell’altra causa: cfr. Corte cass. 5 sez. 20.6.2008 n. 16816; id. 5 sez. 30.12.2009 n. 28042), deve altresì escludersi un “effetto espansivo esterno” della efficacia di giudicato delle predette sentenze al rapporto giuridico in questa sede controverso, atteso che, come riferito peraltro dalla stessa società nella memoria illustrativa e come emerge dalla lettura delle sentenze allegate, l’oggetto del giudizio e la “regula juris” affermata in quei giudizi erano diversi rispetto alla questione sottoposta nel presente giudizio a questa Corte (tale aspetto deve ritenersi assorbente rispetto alla obiezione della inapplicabilità alla fattispecie del principio di estensione del giudicato enunciato da Corte cass. SU 16.6.2006 n. 13916: la invarianza dell’elemento – preliminare” nella costituzione della fattispecie tributaria – ovvero dell’elemento che costituisce referente per l’applicazione della specifica disciplina-, si caratterizza, infatti, per il collegamento ad una situazione fattuale che nella sua qualificazione giuridica deve presentarsi “tendenzialmente permanente” – e dunque durevole, costante nel tempo entrando “a comporre la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta” – e deve essere correlata ad un interesse protetto che abbia il carattere della durevolezza. Tali condizioni si realizzano nella ipotesi di “tributi periodici” o di fattispecie quali le “esenzioni od agevolazioni pluriennali” (ipotesi in concreto esaminata nella sentenza delle SS.UU.) in cui la specifica disciplina normativa assume la pluriennalità come elemento costitutivo della fattispecie, venendo ad essere sostanzialmente trattati i diversi periodi di imposta – come una sorta di maxiperiodo” – cfr. motiv. cent. SU paragr. 4.1-, mentre nel caso di specie le diverse richieste di rimborso del credito IVA concernente anni d’imposta distinti, difettano di tali caratteristiche non essendo collegate le istanze di rimborso da un comune elemento qualificativo, idoneo ad integrare una fattispecie giuridica unitaria).

Nelle cause decise con sentenze passate in giudicato, infatti, si controverteva sul diritto al rimborso del credito IVA, richiesto con trasmissione del modello VR, anche se, per il corrispondente anno d’imposta, il contribuente non aveva presentato dichiarazione annuale IVA: la Corte ha statuito che l’omessa dichiarazione, non determinava la perdita del credito maturato nel medesimo anno, ma impediva esclusivamente l’esercizio del diritto alla detrazione d’imposta, restando in ogni caso salva la facoltà del contribuente di chiedere il rimborso del credito in applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2.

Orbene nella presente controversia, l’unica questione esaminata e decisa dalla CTR, in quanto su di essa soltanto il Giudice era stato chiamato a pronunciare per l’effetto devolutivo della impugnazione proposta dalla società (limitata a far valere la nullità dell’avviso emesso in violazione della preclusione di nuovi accertamenti fiscali disposta dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10, non avendo investito la società anche la statuizione della decisione di primo grado che rilevava l’omessa allegazione e deduzione probatoria della società in ordine alla mancanza del requisito di “inerenza” delle spese fatturate contestata dall’Ufficio: cfr. sentenza CTR motivazione, pag. 3), concerne il perfezionamento della procedura condono L. n. 289 del 2009, ex art. 9 (con conseguente effetto preclusivo dell’accertamento contenuto nell’atto impositivo opposto), avendo statuito il Giudice di appello, con autonome “rationes decidendi”:

a) la non equiparabilità della situazione di colui che presentava la dichiarazione-modello VR a quella di colui che aveva del tutto omesso di presentare la dichiarazione fiscale, traendone la conseguenza della corretta determinazione dell’importo versato dalla contribuente ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 2, lett. b), e quindi del perfezionamento del condono;

b) la automatica definizione agevolata ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 del rapporto tributario, anche in ipotesi di erronea determinazione dell’importo versato, in quanto l’Ufficio, rilevato l’errore, avrebbe dovuto dare corso alla procedura di regolarizzazione prevista dall’art. 16 della legge, per altra tipologia di condono, ma estendibile analogicamente anche al condono tombale.

Risulta pertanto evidente, dalla verifica dell’oggetto dei rispettivi giudizi, come la questione decisa nella presente causa dalla CTR non sia affatto pregiudicata dalle richiamate sentenze della SC in cui non si faceva questione di effetti del condono tombale e di nullità dell’avviso per essere precluso l’esercizio della potestà impositiva.

Inconferente appare la eccezione di giudicato, inoltre, ove rivolta a far valere la statuizione delle sentenze irrevocabili secondo cui il diritto al rimborso del credito IVA non può essere legittimamente contestato dalla Amministrazione finanziaria alla stregua di “irregolarità meramente formali”: il richiamo alla dicotomia tra violazioni delle norme tributarie di natura soltanto “formale” o invece di natura “sostanziale” (che trova fondamento normativo nella disciplina delle sanzioni tributarie e dello Statuto del contribuente) è del tutto fuori luogo, atteso che nel caso di specie, con l’avviso di accertamento, è stato contestato il diritto al rimborso, non per un vizio formale del procedimento di rimborso (idest: non perchè la contribuente aveva omesso di presentare le dichiarazioni annuali nel 1998-2000), ma in quanto le fatture non evidenziavano quali prestazioni fossero state rese alla contribuente dalla società fornitrice appartenente al medesimo gruppo, difettando pertanto il requisito (sostanziale) della “inerenza” del costo alla attività d’impresa e dunque lo stesso presupposto legale cui gli artt. 19 e 30 ricollegavano il diritto alla detrazione/rimborso della eccedenza IVA.

Sostiene, inoltre, la resistente che non avendo l’Agenzia fiscale dedotto alcun motivo di impugnazione sul capo della sentenza di appello concernente l’annullamento del provvedimento, emesso contestualmente all’avviso, di irrogazione delle sanzioni pecuniarie per illegittima detrazione IVA e per omessa presentazione della dichiarazione relativa all’anno 2001, su tale pronuncia sarebbe caduto il giudicato.

Premesso che la eccezione si palesa carente di autosufficienza laddove la sentenza di appello, sulle sanzioni, si limita a riferire esclusivamente che nell’atto impositivo l’Ufficio aveva “irrogato le sanzioni per illegittima detrazione e per dichiarazione con imposta inferiore a quella dovuta con l’aggravamento D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 12, comma 5” ed il contenuto del provvedimento sanzionatorio non viene riportato nel controricorso, osserva il Collegio che, se il primo illecito sembra riconducibile all’illegittimo computo in detrazione (di cui il rimborso è soltanto una diversa modalità di esercizio) della imposta assolta in rivalsa, punito dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 6, non è dato evincere, invece, con chiarezza quale sia l’altro illecito contestato, atteso che la violazione di “omessa dichiarazione annuale” è prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 1, mentre la “presentazione della dichiarazione” annuale con “imposta inferiore a quella dovuta” è sanzionata dal comma 4 del medesimo art., e non è dato verificare se la società nell’anno 2001 abbia o meno presentato dichiarazione fiscale oltre al modello VR.

In ogni caso, indipendentemente da tali rilievi, occorre indagare, ai fini della verifica del dedotto giudicato interno, quali siano stati i presupposti di fatto del provvedimento irrogativo delle sanzioni, che appaiono individuabili, secondo quanto è dato evincere dai “fatti e svolgimento del processo” della sentenza di appello:

1-) nella inesistenza del diritto al rimborso per difetto di prova della “inerenza” del costo fatturato sul quale è stata versata l’IVA in rivalsa, nonchè 2-) nella legittimità dell’accertamento fiscale, volto a recuperare l’indebito rimborso IVA erogato per spese non inerenti, non operando gli effetti preclusivi del condono tombale L. n. 289 del 2002, ex art. 9, comma 10 (non avendo la società versato l’esatto importo dovuto, previsto per gli anni in cui aveva omesso di presentare le dichiarazioni fiscali).

Orbene sul primo presupposto – la CTP aveva ritenuto che la società non aveva allegato e dimostrato quali servizi fossero stati remunerati con gli importi fatturati: tale statuizione era stata gravata di appello dalla società: atto di appello, punti 32 e 33 – il Giudice di appello non ha espressamente pronunciato, essendosi limitato ad accertare il perfezionamento della procedura di condono con i conseguenti effetti preclusivi dell’accertamento, ed ha pertanto annullato in “toto” l’avviso opposto ed il contestuale provvedimento irrogativo di sanzioni, in quanto l’esercizio della potestà impositiva e sanzionatoria rimaneva precluso all’Ufficio, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10: la pronuncia del Giudice di appello ha comportato l’integrale riforma della decisione di prime cure, venendo a travolgere, pertanto, anche la statuizione concernente la legittimità della irrogazione delle sanzioni per inesistenza del credito in “difetto di inerenza”, in quanto logicamente incompatibile con l’accertamento della CTR della illegittimità dell’avviso per preclusione della potestà impositiva determinata dal condono tombale.

La relazione di dipendenza logica-giuridica ex art. 336 c.p.c., comma 2 tra le indicate statuizioni, comporta che non possa individuarsi nell’ambito della sentenza di appello una autonoma “ratio decidendi” relativa all’accertamento della illegittimità delle sanzioni irrogate sul presupposto della verificata “inerenza” delle spese fatturate, trattandosi di questione il cui autonomo esame rimaneva condizionato all’eventuale previo accertamento della inefficacia del condono: riconosciuta la efficacia del condono tombale, e la conseguente preclusione dell’esercizio della potestà irrogativa delle sanzioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, la CTR non era tenuta – e non ha infatti proceduto – all’esame della questione concernente la inerenza delle spese, questione sulla quale pertanto non si è formato alcun giudicato interno, e che dovrà essere pertanto oggetto di nuovo esame, unitamente alle altre questioni concernenti il perfezionamento del ravvedimento operoso da parte del Giudice del rinvio.

In conclusione rilevata di ufficio la incompatibilità comunitaria della norma sul condono tombale, per contrasto della L. n. 289 del 2002, art. 9 con le norme della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, la sentenza di appello deve essere cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lombardia che procederà all’esame delle altre questioni, dedotte con i motivi di gravame, e rimaste assorbite, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

– decidendo sul ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate, rilevata la incompatibilità della L. n. 289 del 2002, art. 9 con le norme della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lombardia che procederà all’esame delle altre questioni, dedotte con i motivi di gravame, e rimaste assorbite, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2017

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