Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5378 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2010, (ud. 18/12/2009, dep. 05/03/2010), n.5378

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso principale rgn 11140/2006, proposto da:

Agenzia delle entrate, di seguito “Agenzia”, in persona del Direttore

in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12;

– ricorrente principale –

contro

il signor F.A., di seguito anche “Contribuente”,

rappresentato e difeso dagli avv. MONTEBELLI Quarto e Alberto

Cavaliere, presso il quale è elettivamente domiciliato in Via Guido

D’Arezzo 32, Roma;

– intimato e controricorrente –

e sul ricorso incidentale rgn 16128/2006, proposto da:

“Contribuente, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato;

– ricorrente incidentale –

contro

l’Agenzia, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di

Roma 16 novembre 2004, n. 89/15/04, depositata il 18 febbraio 2005;

udita la relazione sulla causa svolta nella Camera di consiglio del

18 dicembre 2009 dal Cons. Dr. Achille Meloncelli;

vista la requisitoria scritta del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dr. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il

rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale per la loro

manifesta infondatezza.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Considerato:

a) che il 31 marzo-5 aprile 2006 è notificato al Contribuente un ricorso dell’Agenzia per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha accolto l’appello del contribuente contro la sentenza della CTP di Viterbo n. 16/05/2004, che aveva rigettato il suo ricorso contro il silenzio rifiuto dell’Ufficio tributario formatosi sulla sua istanza di rimborso dell’IRAP 1998-2001;

b) che il 15 maggio 2006 è notificato all’Agenzia un documento incorporante il controricorso del Contribuente e un suo ricorso incidentale contro la medesima sentenza, che sono, poi, integrati con memoria;

c) che i ricorsi devono essere riuniti ex art. 335 c.p.c.;

d) che la sentenza impugnata accerta che “nel caso in esame l’attività esercitata è quella di agente di commercio, quindi di lavoro autonomo autonomamente organizzato, ma svolta in via personale e diretta priva di qualsivoglia supporto organizzativo, come l’attuale appellante ha dimostrato in via documentale”, con la conseguenza che “il Collegio ritiene, in totale riforma della sentenza impugnata, di accogliere l’appello e per l’effetto di disporre il rimborso richiesto”, compensando le spese di giudizio;

e) che sono inammissibili entrambi i motivi del ricorso principale, con i quali si denuncia la violazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 144 e del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 8, 27 e 36, perchè essi non censurano in alcun modo l’accertamento di fatto compiuto dalla sentenza d’appello, qui testualmente riprodotta sub c);

f) che è manifestamente infondato il motivo addotto a sostegno del ricorso incidentale, relativo alla decisione del giudice d’appello di compensare le spese tra le parti, perchè la deroga al principio di soccombenza è decisione discrezionale del giudice di merito e, nel caso di specie, risulta implicitamente e logicamente motivata con la natura controversa delle questioni relative all’IRAP, la cui soluzione ha richiesto l’intervento della Corte costituzionale, della Corte di giustizia e della Corte di cassazione, anche a Sezioni unite; quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., per il suo contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., essa è manifestamente infondata, perchè “in tema di regolamento delle spese processuali, la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 cod. proc. civ., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella (ricorrente nella fattispecie) della sussistenza di giusti motivi, e il giudice può compensare le spese processuali per giusti motivi senza obbligo di specificarli, atteso che l’esistenza di ragioni che giustifichino la compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante l’inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese medesime, non trovando perciò applicazione in tema di compensazione per giusti motivi il principio sancito dall’art. 111 Cost., comma 6, (a seguito dell’entrata in vigore della Legge Costituzionale n. 2 del 1999, art. 1), secondo cui ogni provvedimento giurisdizionale deve essere motivato. Il potere del giudice di compensare le spese processuali per giusti motivi non è, d’altra parte, in contrasto con il principio dettato dall’art. 24 Cost., comma 1, giacchè il provvedimento di compensazione non costituisce ostacolo alla difesa dei propri diritti, non potendosi estendere la garanzia costituzionale dell’effettività della tutela giurisdizionale sino a comprendervi anche la condanna del soccombente” (Corte di cassazione 16 marzo 2006, n. 5828); d’altra parte, “la modifica dell’art. 92 cod. proc. civ., comma 2, da parte della L. 28 dicembre 2005, n. 263, il cui art. 2 ha introdotto l’obbligo del giudice di indicare i motivi della compensazione delle spese di lite, vale soltanto nei procedimenti instaurati dopo la sua entrata in vigore. Per i giudizi instaurati precedentemente è ammissibile la compensazione per giusti motivi senza obbligo di specificazione degli stessi e tale decisione non è censurabile in sede di legittimità, salvo i casi in cui sia accompagnata da ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche, tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto dal giudice di merito” (Corte di Cassazione 17 luglio 2007, n. 15882; V. anche Corte di Cassazione: 11 febbraio 2008, n. 3218; 31 gennaio 2008, n. 2397);

g) che le precedenti considerazioni comportano il rigetto di entrambi i ricorsi;

h) che la reciproca soccombenza giustifica la compensazione tra le parti delle spese processuali relative al giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando tra le parti le spese processuali relative al giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

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