Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5377 del 07/03/2011

Cassazione civile sez. I, 07/03/2011, (ud. 01/02/2011, dep. 07/03/2011), n.5377

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.C., elettivamente domiciliato in Roma, viale Angelico 12,

presso l’avv. Marvasi Tommaso, che lo rappresenta e difende, insieme

con l’avv. Carlitria Bellu, del Foro di Cagliari, per procura in

atti;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliata in Roma, via Ulpiano

29, presso l’avv. Antonetti Marco, che la rappresenta e difende,

insieme con l’avv. Chiara Micera, del Foro di Bologna, per procura in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari n. 39/2008 in

data 1 febbraio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’1 febbraio 2011 dal relatore, cons. Dott. Stefano Schirò;

udito, per la controricorrente, l’avv. Marco Antonetti che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale,

dott.ssa ZENO Immacolata, che nulla ha osservato.

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE:

A) rilevato che è stata depositala in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. O.C. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, nei confronti di C.C., avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari in data 1 febbraio 2008, che – pronunciando sugli appelli proposti dalle parti contro la sentenza del Tribunale di Cagliari in data 30 marzo 2006, che aveva posto a carico dell’ O. un assegno di divorzio in favore della C. di Euro 800,00 mensili – ha rigettato l’appello principale dell’ O. e, in accoglimento del gravame incidentale della C., ha determinato l’assegno di divorzio nella misura di Euro 1.000.00 mensili;

2. la C. ha resistito con controricorso;

OSSERVA:

3. il primo e il terzo motivo del ricorso – con i quali il ricorrente denuncia vizio di omessa pronuncia su fatti decisivi, in violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per aver omesso di prendere in esame prove documentali e risultanze probatorie acquisite al processo – appaiono inammissibili; infatti la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 si coglie, nel senso che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello uno dei fatto costitutivi della “domanda” di appello), mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che. ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi(su uno dei fatti principali della controversia (Cass. 2006/5444;

2007/15882); in particolare, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento; pertanto, la denunzia in sede di legittimità dell’omesso esame del documento deve contenere l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. 2005/7086); nel caso di specie, il ricorrente ha denunciato come vizio di omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. il mancato esame di prove e circostanze ritenute decisive, che avrebbe dovuto invece essere fatto valere con la prospettazione di un vizio della motivazione; anche se fosse possibile interpretare le censure come denuncia di vizio di motivazione, le doglianze sarebbero ugualmente inammissibili, in quanto prive,, non solo della precisazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. 2005/7086), ma anche della chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897);

il secondo motivo appare inammissibile nella parte in cui si deduce, con il quesito di diritto, la violazione della L. n. 898 del 1970, n. 5 in quanto tale quesito si risolve nel mero e generico interpello della Corte in ordine alla censura così come illustrata ed alla sussistenza della dedotta violazione di legge, ma non contiene la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice di merito e della diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. S.U., 2008/2658; Cass. 2008/19769; 208/24339); inoltre la risposta al quesito comporterebbe un apprezzamento delle risultanze di fatto specificamente indicate ai nn. da 1 a 3 difforme da quello compiuto dal giudice di merito, secondo un iter logico – giuridico non consentito al giudice di legittimità (Cass. 2007/7972; 2009/27162);

il motivo è manifestamente infondato, nella parte in cui, con il secondo quesito di diritto, si deduce l’obbligo del giudice, in presenza di contestazioni sul reddito delle parti, di disporre accertamenti d’ufficio; infatti l’esercizio del potere officioso di disporre, per il tramite della polizia tributaria, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella discrezionalità del giudice del merito e non può essere considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parli in ordine alle loro rispettive condizioni economiche, qualora il giudice del merito ritenga “aliunde” raggiunta la prova della sussistenza o insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio (Cass. 2006/9861);

il quarto motivo, con il quale si chiede se al giudice sia preclusa la valutazione di miglioramenti economici non costituenti naturale e prevedibile sviluppo dell’attività lavorativa svolta dal coniuge durante la convivenza, appare inammissibile per le stesse ragioni già esposte con riferimento al primo quesito illustrativo del secondo motivo di ricorso; il quinto e ultimo motivo – con il quale si prospetta vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla disamina, riferita all’attualità, della situazione reddituale delle parti – appare inammissibile, in quanto il ricorrente non ha concluso l’illustrazione della censura con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897); inoltre è stata dedotta genericamente sia la mancanza, che l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in violazione dell’obbligo di formulare le censure (e quindi anche i quesiti di diritti e i momenti di sintesi ex art. 366 bis c.p.c.) in modo rigoroso e preciso, secondo le regole di chiarezza indicate dall’art. 366 bis c.p.c. evitando doglianze multiple e cumulative (Cass. 2008/5471), così da non ingenerare incertezze in sede di formulazione e di valutazione della loro ammissibilità (Cass. 2008/2652);

4. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione;

ritenuta l’inammissibilità della terza censura formulata nel secondo motivo di ricorso (non presa in esame, come rilevato dal ricorrente nella sua memoria, nella relazione depositata ex art. 380 bis c.p.c.), attinente all’avere la sentenza impugnata posto a fondamento della determinazione in favore della C. dell’assegno di divorzio anche le ragioni che hanno portato alla rottura dell’unione e rappresentate da una relazione extraconiugale dell’ O., circostanza che sarebbe invece rimasta mera allegazione di parte in contrasto con le risultanze documentali acquisite; che in particolare – essendo stata detta censura illustrata con il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte di Cassazione se viola l’art. 112 c.p.c. e gli artt. 115 e 116 c.p.c. la sentenza nella quale il Giudice ponga alla base della sua decisione una mera affermazione di parte, in contrasto con le prove documentali e testimoniali acquisite, senza fornire adeguata motivazione della sua scelta” – risulta dedotto inammissibilmente, per le ragioni già esposte nel par. 3 della relazione che precede, come vizio di omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. l’aver disatteso, senza adeguata motivazione, prove documentali e testimoniali acquisite, mentre tale doglianza avrebbe dovuto essere prospettata come vizio di motivazione; che inoltre il ricorrente non ha specificamente censurato la motivazione addotta dalla Corte di appello a fondamento della sua motivazione sul punto, ossia che la circostanza della relazione intrattenuta dall’ O. con altra donna non era stata negata dall’ O. stesso: che comunque il quesito di diritto formulato si fonda inammissibilmente su di un apprezzamento di circostanze di fatto e delle relative prove diverso da quello compiuto con idonea motivazione dal giudice di merito; che le ulteriori argomentazioni difensive svolte dal ricorrente nella sua memoria non forniscono elementi di giudizio che non siano già stati valutati nella relazione in atti o che comunque inducano ad un riesame delle questioni già dedotte nel ricorso; considerato pertanto che, in base alle osservazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato;

che non ricorrono i presupposti per l’applicazione del disposto dell’art. 385 c.p.c., u.c., come richiesto invece dalla controricorrente, non emergendo dagli atti elementi che consentano di ritenere che il ricorrente abbia agito nel presente giudizio con abuso del diritto di difesa e dei mezzi processuali a sua disposizione e comunque almeno con colpa grave; infatti, affinchè sussistano le condizioni per l’applicazione dell’art. 385 c.p.c., u.c., – introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 13 – occorre la dimostrazione, eventualmente in via indiziaria, che la parte soccombente abbia agito, se non con dolo, almeno con colpa grave, intendendosi con tale formula la condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona lede tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate (Cass. S.U. 2007/25831; Cass. 2010/654);

osservato che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, con riduzione degli importi indicati dalla controricorrente nella nota spese depositata, erroneamente conteggiati con riferimento a controversia di valore indeterminabile e di particolare importanza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA