Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5373 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. I, 27/02/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 27/02/2020), n.5373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13791/2018 proposto da:

A.T., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

Corte di Cassazione, rappres. e difeso dall’avv. Elisabetta Udassi,

con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositata il

21/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2019 dal Consigliere Dott. CAIAZZO ROSARIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

A.T., cittadino (OMISSIS), impugnò il provvedimento della Commissione territoriale che negò la protezione internazionale con ricorso innanzi al Tribunale di Cagliari che, con decreto emesso il 21.3.18, lo respinse osservando che: non era riconoscibile la protezione sussidiaria in quanto dai report consultati a tutto il 2017 era emerso che in Nigeria non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; non era stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità ai fini del permesso umanitario, considerando altresì la non credibilità del racconto reso dal ricorrente.

Il sign. A.T. ricorre in cassazione formulando nove motivi. Non si è costituito il Ministero.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo è denunziata violazione del D.P.R. n. 303 del 2004, art. 4 – in relazione agli artt. 10,24,97 e 111 Cost.- art. 6 Cedu e art. 342 c.p.c., per non aver il Tribunale motivato riguardo al vizio di eccesso di potere dell’atto impugnato, da comportarne la nullità, consistito nel fatto che quest’ultimo sia stato redatto e sottoscritto dal solo Presidente, in violazione della regola che prescrive il voto favorevole di almeno tre componenti della Commissione, e nella mancata certificazione del segretario dell’ente.

Inoltre, il ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 4,28 e 32 per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., nell’ipotesi in cui si ritenga che la legge non commini la nullità dell’atto impugnato, nonchè della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5 per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., essendo il ricorrente stato discriminato per il mancato conseguimento dell’annullamento del provvedimento impugnato.

Con il secondo motivo è denunziata la medesima violazione di legge di cui al primo motivo, non essendo stato il provvedimento impugnato tradotto in lingua comprensibile al destinatario, considerato che la traduzione in arabo ha riguardato il solo dispositivo e non anche la motivazione, a nulla rilevando la mancata allegazione della lesione concreta del diritto di difesa. Inoltre, il ricorrente lamenta che la legge non commina la nullità nel caso in esame, a differenza che nell’ipotesi di espulsione dello straniero, con conseguente trattamento discriminatorio.

I primi due motivi – esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi – sono inammissibili sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, secondo cui la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicchè deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (Cass., n. 18632/2014; n. 26480/2011).

E’ anche inammissibile, pertanto, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, non emergendo la rilevanza delle varie questioni (in particolare, non viene prospettato con la dovuta chiarezza e in maniera plausibile il vizio contestato).

Il primo motivo appare inammissibile, peraltro, anche considerando che non è chiara la critica formulata (circa la redazione dell’atto impugnato e la firma del solo Presidente della Commissione..) e il vizio lamentato.

Con il terzo motivo è denunziata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. c), L. n. 39 del 1990, art. 3 1, art. 115 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo, per aver il Tribunale motivato il rigetto dell’impugnazione argomentando dalla non credibilità del racconto del ricorrente, senza confutare espressamente quanto dichiarato circa la persecuzione subita dal ricorrente da membri di una setta segreta, e senza considerare la situazione di violenza indiscriminata in (OMISSIS).

Il motivo è inammissibile poichè diretto al riesame dei fatti. Al riguardo, il Tribunale ha ritenuto che il racconto reso dal ricorrente non fosse credibile avendo quest’ultimo fatto riferimento a blande forme di pressione che sarebbero state esercitate nei suoi confronti per indurlo all’affiliazione ad una confraternita di cui nulla è stato detto.

Al riguardo, va richiamato l’orientamento di questa Corte a tenore del quale la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass., n. 3340/19; n. 27503/18).

Pertanto, deve ritenersi che il motivo in esame sia diretto al riesame del merito in ordine alla valutazione della credibilità del ricorrente.

Con il quarto motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10, comma 2, rtt. 5 e 13 6 Direttiva CEE n. 115/08, in quanto il Tribunale, nel ritenere realizzato dal legislatore il diritto di asilo previsto dall’art. 3 Cost. mediante gli istituti della protezione internazionale ed umanitaria, aveva trascurato di considerare il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e l’art. 6, par. 4, della suddetta che consente agli Stati membri di decidere di rilasciare permessi di soggiorno per motivi, oltre che umanitari, caritatevoli o di altra natura.

Il motivo è inammissibile quanto al richiamo, del tutto generico, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 119 e infondato quanto alla dedotta violazione della direttiva CE, la quale non è, sul punto, direttamente applicabile contenendo una disposizione non self executing.

Con il quinto motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 16, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo, per non aver il Tribunale riconosciuto la protezione sussidiaria, avendo escluso il conflitto armato, senza altresì aver considerato il transito in Libia.

Il motivo è inammissibile nella prima parte poichè generico e diretto al riesame dei fatti. Quanto, poi, alla situazione socio-politica della Libia, quale Paese di mero transito, è stato già chiarito da questa Corte che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. E’ stato altresì precisato che il Paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass., n. 31676/18).

Nel caso concreto, il ricorrente ha allegato la sola situazione della Libia, senza evidenziare alcun nesso con i fatti oggetto della domanda.

Con il sesto motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e dell’art. 6, comma 4, della Direttiva CEE n. 115/08, nonchè omesso esame di un fatto decisivo, lamentando che il Tribunale non aveva valutato la sussistenza della protezione umanitaria, nè le violenze subite dal ricorrente in Libia.

In particolare, il ricorrente reitera la censura di violazione dell’art. 6, par. 4, della direttiva 2008/115/CE, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, non avendo il Tribunale motivato al riguardo; si invoca, altresì, il principio del non refoulement, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

Entrambe le censure vanno respinte.

Quanto alla prima, va ribadito quanto già osservato nel disattendere, sul punto, il terzo motivo, aggiungendosi che l’omessa motivazione relativa alle questioni giuridiche, come quella di cui trattasi, non ha autonoma rilevanza, avendo il giudice di legittimità il potere di correggere ed integrare la motivazione in diritto del provvedimento del giudice di merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Quanto alla seconda censura, va osservato che essa presuppone fatti non accertati dal giudice di merito, quale l’esposizione del richiedente al rischio di subire persecuzioni o trattamenti inumani o degradanti in caso di rimpatrio.

Con il settimo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, nonchè omesso esame di fatto decisivo, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria in ordine alla situazione della Libia.

Il motivo è inammissibile perchè riferito ad una situazione irrilevante, quale il transito in un Paese diverso da quello di provenienza del ricorrente, avendo il ricorrente allegato la sola situazione della Libia, senza evidenziare alcun nesso con la domanda, per quanto già esposto in ordine al quinto motivo.

Inoltre, va osservato che il ricorrente formula censure di puro merito nel pretendere accertamenti sul trattamento da lui subito in Libia, peraltro solo genericamente evocato, e sulle conseguenze dello stesso sulla sua salute psichica, peraltro indicate come mera eventualità.

Con l’ottavo motivo è denunziata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 nonchè vizio di motivazione, non avendo il Tribunale espresso il giudizio sulla credibilità del ricorrente sulla base dei criteri di cui al citato art. 3, e non avendo esercitato i poteri istruttori d’ufficio in ordine alla veridicità della situazione di rischio oggetto della narrazione del ricorrente.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente contesta il criterio della “ripetitività”, sul quale il Tribunale si sarebbe basato per negare l’attendibilità del racconto del richiedente, criterio che non è previsto dalla legge. Sennonchè dal decreto impugnato non risulta che il Tribunale abbia fatto uso di un tale criterio, nè il ricorrente spiega perchè ciò sarebbe avvenuto.

Con il nono motivo, il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lamentando che il Tribunale abbia omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria solo perchè non aveva ravvisato la sussistenza dei presupposti per le due forme di protezione “maggiore”.

Il motivo è inammissibile perchè non attinente alla ratio decidendi della decisione del Tribunale, che non è quella indicata dal ricorrente, bensì l’esclusione della sussistenza di “una specifica, individuale ed attuale situazione di rischio per il ricorrente giustificante in astratto il riconoscimento di quella residuale forma di protezione consistente nel rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione del Ministero intimato. Non s’applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, considerata l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, come documentato in atti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020

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