Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5370 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 05/03/2010), n.5370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI TERAMO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e

difeso, con procura in calce al ricorso, dall’avv. D’AMARIO

Ferdinando, domiciliatario nel proprio studio in Roma, alla via

Trionfale n. 5637;

– ricorrente –

contro

ADRIATICA PELTRO S.r.l., in persona del rappresentante legale pro

tempore, con sede in (OMISSIS), (OMISSIS), ed

elettivamente domiciliata ivi, alla via N. Palma Scalette, presso il

rag. De Remigis Camillo;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale dell’Abruzzo del 23 febbraio 2006, depositata col n.

14/03/2006 il 15 giugno 2006.

Udita la relazione della causa del Cons. Dr. Renato Polichetti;

sentito l’avv. Ferdinando D’Amario per il ricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nella vertenza tributaria tra il Comune di Teramo e la S.r.l.

Adriatica Peltro, avente ad oggetto gli avvisi di accertamento relativi alla ta.r.s.u. per gli anni 1997-2000, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo ha, con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarato inammissibile il gravame del Comune avverso la sentenza della Commissione provinciale n. 60/02/04. Ha rilevato, infatti, che “l’appello del Comune di Teramo è stato proposto per il tramite di difensore munito di procura e per mezzo del servizio postale.

La copia di tale atto, depositata nella segreteria della Commissione Regionale, tuttavia, è priva della sottoscrizione del difensore (anche nella parte relativa alla dichiarazione di conformità di essa all’originale)”; ed ha ritenuto – in applicazione del principio prima enunciato, secondo cui, “in ipotesi di notificazione diretta (…), solo la copia viene inserita nel fascicolo, e tale copia è pertanto l’unico documento sul quale il giudice può effettuare il doveroso controllo sull’esistenza e sulla validità dell’atto d’impulso processuale”, tanto più la quando come nel caso in esame l’appellato non si sia costituito – che “l’appello deve, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, essere dichiarato inammissibile”.

Per la cassazione ricorre il Comune di Teramo, con tre motivi, mentre l’intimata non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente formula, in ordine successivo, le censure che seguono.

1) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53; violazione dei principi interpretativi delle norme sulla costituzionalità delle norme processuali sulle cause di inammissibilità; insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5”: sotto tale profilo sostiene che la sottoscrizione del difensore è necessaria, oltre che nell’originale, nelle copie del ricorso destinate alle altre parti, mentre nessuna inammissibilità è prevista in ipotesi di copia destinata all'(unica) controparte; e formula, sul punto, il quesito di diritto sul “se sussiste violazione ed erronea applicazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per aver la C.T.R. ritenuto che la norma preveda la declaratoria di inammissibilità dell’appello per il caso di omessa sottoscrizione del difensore della copia da depositare in segreteria”.

2) “Violazione dei principi interpretativi delle norme processuali di comminatoria della inammissibilità; insufficiente e contraddittoria motivazione”: sotto tale subordinato profilo, si duole che il giudice a quo sia pervenuto alla declaratoria di inammissibilità, senza nemmeno approfondire – avuto riguardo alla declaratoria di conformità all’originale – se sull’atto notificato esistesse invece la sottoscrizione; conseguentemente formulando il seguente duplice quesito: “se la declaratoria di inammissibilità per difetto di sottoscrizione della copia depositata concretizza la violazione dei principi generali interpretativi sulle cause di inammissibilità, di impostazione sostanzialistica, affermati dalla Corte costituzionale, posto riferimento alla sussistenza agli atti del giudizio sia di elementi idonei ad evidenziare la chiara ed indiscutibile provenienza dell’atto di appello, sia della regolare sottoscrizione dell’originale da parte del difensore, sia infine della dichiarazione di conformità ex art. 22”; “se sussiste insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine, per un verso, alla rilevata necessità di doveroso controllò dell’esistenza e validità dell’atto di impulso processuale, e per altro verso all’omissione di tale controllo”.

3) “Violazione ed erronea (applicazione dell’)art. 112 c.p.c.”:

contesta, sotto tale ulteriore profilo, la legittimità del rilievo d’ufficio della inammissibilità, formulando il conclusivo quesito “se sussiste violazione del principio del contraddittorio e dell’obbligo di rispondenza tra chiesto e pronunciato per aver la CTR, in mancanza di sollevazione da parte della interessata della eccezione di inammissibilità, esercitato il potere di rilevazione di ufficio del difetto di sottoscrizione da parte del difensore della copia depositata in segreteria”.

Il ricorso non è fondato.

Procedendo all’esame congiunto dei tre motivi – che mostrano elementi di intima connessione – deve premettersi il principio giurisprudenziale univocamente affermato, in tema di interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 53, secondo cui “il ricorso introduttivo del giudizio (tanto di (primo grado quanto d’appello) dinanzi alle commissioni tributarie (…), ove direttamente proposto per mezzo del servizio postale o con consegna all’ufficio finanziario, è inammissibile tutte le volte in cui manchi, nella copia depositata con la costituzione in giudizio, la sottoscrizione dell’atto (e cioè della parte ovvero del suo difensore), indipendentemente dalla circostanza che la controparte non contesti la sottoscrizione dell’originale” (Cass., 5^, 4051/2001, ed, ancora di recente, Cass., 5^, 14117/2009).

Tale univoco insegnamento, imposto dal rispetto del principio del contraddittorio e dalla funzione infungibile della rituale costituzione in giudizio, impone il superamento del primo ed, in parte qua, del terzo motivo.

Ma la sentenza impugnata rileva una ulteriore causa di inammissibilità, pure censurata, connessa alla mancata sottoscrizione della dichiarazione di conformità – cui, pertanto, il ricorrente indebitamente si richiama, in quanto, la dichiarazione all’uopo predisposta ma non sottoscritta è tamquam non esset -. Sul punto, invero, altrettanto univoca è la giurisprudenza della sezione, secondo cui “in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3, – richiamato, per il giudizio di appello, dall’art. 53 -, che disciplina il deposito in segreteria della commissione tributaria adita della copia del ricorso notificato mediante consegna o spedizione a mezzo del servizio postale, va interpretato nel senso che costituisce causa di inammissibilità non la mancata attestazione, da parte del ricorrente, della conformità tra il documento depositato ed il documento notificato, ma solo la loro effettiva difformità, accertata d’ufficio dal giudice in caso di detta mancanza” (Cass., 5^, 17180/2004). “Qualora, però con espresso riguardo al giudizio di appello, l’appellato sia rimasto contumace, venendo a mancare in radice la possibilità di riscontrare e denunciare la difformità, si impone la declaratoria dell’inammissibilità dell’appello, in quanto, in caso contrario, nell’ipotesi de qua la prescritta formalità risulterebbe priva di qualsiasi reale funzione” (Cass., 5^, 4615/2008).

E tale ulteriore orientamento, cui deve aderirsi in assenza di argomenti di segno contrario, rivela l’infondatezza del secondo motivo – peraltro basato sulla presunta presenza d’una dichiarazione di conformità (non sottoscritta) – ed, in parte qua, del terzo.

Per ogni verso, dunque, il ricorso deve essere respinto.

Non conseguono statuizioni sulle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

 

 

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