Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5361 del 18/02/2022
Cassazione civile sez. II, 18/02/2022, (ud. 25/11/2021, dep. 18/02/2022), n.5361
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi G. – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 19054 – 2017 R.G. proposto da:
TENUTA AGRICOLA dei MARCHESI F. s.r.l. – c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) –
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in Roma, alla via G. Baracco, n. 2, presso lo studio
dell’avvocato Angela Soccio, che la rappresenta e difende in virtù
di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
SVM COSTRUZIONI s.r.l., – c.f. (OMISSIS) – (già “Costruzioni”
s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, alla via S. Pellico, n. 24,
presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Valvo, che disgiuntamente e
congiuntamente all’avvocato Folco Trabalza, la rappresenta e difende
in virtù di procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3613 – 10.4/30.5.2017 della Corte d’Appello di
Roma;
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 25
novembre 2021 dal consigliere Dott. Luigi Abete;
lette conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del
sostituto procuratore generale Dott. Ceroni Francesca, che ha
chiesto dichiararsi l’inammissibilità ovvero rigettarsi il ricorso,
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex art. 633 c.p.c. la “SVM Costruzioni” s.r.l. adiva il Tribunale di Roma.
Esponeva che con contratto del 30.11.2001 la “Tenuta Agricola dei Marchesi F.” s.r.l. aveva affidato in appalto alla “PSC” s.r.l. l’esecuzione dei lavori di restauro e di risanamento conservativo, con cambio di destinazione d’uso in agriturismo, di un complesso di fabbricati in (OMISSIS), di proprietà della medesima committente; che il corrispettivo era stata pattuito in Lire 1.250.000.000.
Esponeva che aveva ricevuto in subappalto l’esecuzione dei lavori e che a causa dei contrasti insorti tra essa subappaltatrice e la subcommittente, con scrittura dell’11.6.2002, si era concordato il suo subingresso nell’appalto a fronte del recesso della “PSC”.
Esponeva che, di seguito, la “Tenuta Agricola dei Marchesi F.” aveva reiteratamente contestato gli stati di avanzamento ed in data 10.4.2003 aveva inteso recedere dal contratto ai sensi dell’art. 1671 c.c.
Esponeva quindi che, giusta fattura n. 4/2003, era creditrice dell’importo di Euro 154.855,52 (i.v.a. compresa).
Chiedeva ingiungersi alla “Tenuta Agricola dei Marchesi F.” il pagamento dell’importo anzidetto, oltre accessori.
2. Con decreto n. 10255/2003 il tribunale pronunciava l’ingiunzione.
3. La “Tenuta Agricola dei Marchesi F.” s.r.l. proponeva opposizione.
Deduceva, tra l’altro, che i lavori, affetti da vizi e difformità, così come acclarato dalla c.t.u. disposta nell’ambito dell’a.t.p., erano stati eseguiti in misura inferiore a quella indicata negli stati di avanzamento ed erano stati integralmente pagati.
Chiedeva revocarsi l’ingiunzione; in riconvenzionale, chiedeva condannarsi l’opposta al pagamento della penale per il ritardo nell’ultimazione dei lavori nonché al risarcimento dei danni per i vizi e i difetti inficianti le opere eseguite e per la ritardata consegna del cantiere, con compensazione con l’eventuale credito ex adverso preteso.
4. Si costituiva la “SVM Costruzioni” s.r.l.
Instava, tra l’altro, per il rigetto dell’opposizione.
5. Espletata ulteriore c.t.u., acquisito il supplemento alla relazione di consulenza, con sentenza n. 10255/2003 il Tribunale di Roma revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opponente a pagare all’opposta la minor somma di Euro 64.000,00, oltre interessi dall’11.4.2003 al saldo; compensava nella misura dei 2/3 le spese di lite e condannava l’opponente al residuo 1/3.
6. Proponeva appello la “Tenuta Agricola dei Marchesi F.” s.r.l. Resisteva la “SVM Costruzioni” s.r.l.; esperiva appello incidentale.
7. Con sentenza n. 3613/2017 la Corte d’Appello di Roma accoglieva per quanto di ragione sia il gravame principale sia il gravame incidentale e, per l’effetto, rigettava le domande riconvenzionali proposte, in prime cure, dalla principale appellante e la condannava a pagare la maggior somma di Euro 135.725,85, oltre interessi legali dal 2.5.2003 al saldo; compensava nella misura di 1/2 le spese del grado e condannava l’appellante principale al pagamento della residua metà.
Evidenziava la corte che la disamina del testo della scrittura in data 11.6.2002 induceva ad escludere che vi fosse stata cessione o subingresso, merce’ il meccanismo di cui all’art. 1406 c.c., della “SVM Costruzioni” nel contratto di appalto dapprima siglato dalla “Tenuta Agricola” con la “PSC”.
Evidenziava, su tale scorta e segnatamente, che gli stipulanti la scrittura in data 11.6.2002 avevano dato vita ad una nuova pattuizione con una diversa prefigurazione in tema di corrispettivo.
Evidenziava per altro verso – la corte – con riferimento al profilo concernente il valore delle opere eseguite, che i rilievi critici alla relazione di c.t.u., redatta dal tecnico nominato in sede di a.t.p., formulati dal consulente tecnico dell’appellata – che aveva quantificato in Lire 727.740.102, oltre i.v.a., il valore delle opere compiute alla data del recesso della committente al netto del valore delle cd. opere in economia – risultavano plausibili, atteso che il c.t.u. officiato in sede di a.t.p. – che aveva, a sua volta, quantificato nel minor importo di Lire 690.948.146, oltre i.v.a., il valore delle opere compiute al di là del recesso – non aveva specificato quali prezzi avesse applicato.
8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “Tenuta Agricola dei Marchesi F.” s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.
La “SVM Costruzioni” s.r.l. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso con il favore delle spese.
9. Il Pubblico Ministero ha formulato per iscritto le sue conclusioni.
La ricorrente ha depositato memoria.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
10. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1366 e 1369 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il travisamento delle prove.
Deduce che la corte d’appello ha erroneamente interpretato il contratto in data 11.6.2002.
Deduce che la corte di merito ha attribuito rilievo unicamente a parte della clausola contenuta al punto 4) della scrittura dell’11.6.2002 ed ha in pari tempo disatteso i canoni ermeneutici che ancorano la ricerca della comune intenzione dei contraenti innanzitutto al senso letterale delle parole e poi al comportamento complessivo, anche antecedente alla stipulazione, dei contraenti.
Deduce che, se la corte territoriale avesse rettamente interpretato la scrittura in data 11.6.2002, avrebbe, in dipendenza delle clausole prefigurate nel precedente contratto a garanzia del corretto adempimento, condannato la controparte al pagamento delle penali all’uopo previste.
11. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, il travisamento della prova ed il difetto di motivazione.
Premette che la corte distrettuale ha reputato dovuto il compenso per l’esecuzione dei lavori extracontratto, da essa committente mai autorizzati, in dipendenza degli ampi poteri che ha assunto riconosciuti al direttore dei lavori.
Indi deduce che la Corte di Roma ha interpretato la clausola n. 7, in tema di prerogative del direttore dei lavori, di cui al contratto in data 30.11.2001 in spregio al suo letterale tenore, letterale tenore alla cui stregua, viceversa, i poteri del direttore dei lavori erano circoscritti alli “oggetto dell’appalto”.
Deduce che l’interpretazione, in parte qua, della Corte romana è altresì priva di qualsivoglia supporto motivazionale.
12. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatto decisivo e controverso; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, il difetto di motivazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.
Deduce che la Corte capitolina, in punto di quantificazione del valore delle opere eseguite, ha senza alcuna motivazione disatteso le risultanze sia della c.t.u. disposta in sede di a.t.p. sia dell’ulteriore c.t.u. disposta nel corso del giudizio di primo grado.
Deduce che la corte di seconde cure ha travisato le risultanze della c.t.u. disposta in sede di a.t.p.
Deduce segnatamente che l’ausiliario nominato in sede di a.t.p. “aveva quantificato le opere eseguite sulla base dei prezzi che le parti avevano concordato e che risultavano dai due contratti d’appalto” (così ricorso, pag. 15).
Deduce segnatamente che l’ausiliario nominato nel corso del giudizio di primo grado “non solo aveva applicato i prezzi del contratto come l’a.t.p. ma aveva anche ricalcolato i prezzi modificando l’importo indicato nella prima perizia” (così ricorso, pag. 16).
13. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatto storico decisivo; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.
Premette che la corte d’appello, allorché ha respinto la domanda volta a conseguire il risarcimento del danno per vizi e difetti delle opere eseguite, ha erroneamente ed immotivatamente ritenuto che siffatti vizi fossero conseguenza non già della cattiva esecuzione dei lavori, ma fossero conseguenza dell’omessa custodia del cantiere in epoca successiva al recesso di essa committente dal contratto.
Indi deduce che le prove acquisite, in particolare gli esiti della c.t.u. disposta in sede di a.t.p., dimostrano che i vizi riscontrati derivano dalla cattiva esecuzione delle opere.
14. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 832,1226,2043 e 2056 c.c.
Deduce che ha errato la corte di merito, allorché ha respinto la domanda volta a conseguire il risarcimento del danno per l’illegittima detenzione del cantiere da parte dell’appaltatrice.
Deduce che la corte distrettuale non ha tenuto conto dell’illegittima compressione del suo diritto di proprietà e dunque della sussistenza in re ipsa del danno, danno che la corte ben avrebbe potuto e dovuto liquidare in via equitativa in considerazione dell’oggettiva difficoltà della sua quantificazione.
15. Il primo motivo ed il secondo motivo di ricorso sono senza dubbio correlati, siccome entrambi veicolano quaestiones ermeneutiche; ne è opportuna, pertanto, la disamina congiunta; entrambi i motivi comunque sono destituiti di fondamento e vanno respinti.
16. Evidentemente sovvengono gli insegnamenti di questa Corte.
Innanzitutto, l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine “di fatto” riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione per violazione delle regole ermeneutiche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inadeguatezza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.Lgs. n. 83 del 2012, per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi del novello art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 14.7.2016, n. 14355), novello articolo senz’altro applicabile nella fattispecie ratione temporis.
Altresì, l’insegnamento secondo cui né la censura art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 3 né la censura ex n. 5 possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).
17. Nel solco dell’enunciate indicazioni giurisprudenziali l’interpretazione che della scrittura in data 11.6.2002 la Corte d’Appello di Roma ha operato, è in primo luogo immune da qualsivoglia ipotesi di “anomalia motivazionale” – ipotesi tra le quali di certo non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione – suscettibile di assumer rilievo in relazione alla previsione del (novello) n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 ed alla luce della pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014.
Segnatamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico/giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672; Cass. 24.2.1995, n. 2114) – la corte territoriale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.
Più esattamente, a supporto dell’affermazione secondo cui la scrittura in data 11.6.2002 integrava una nuova pattuizione rispetto all’originario contratto d’appalto del 30.11.2001, la corte distrettuale ha puntualizzato (cfr. pag. 13) che il rinvio al precedente contratto riguardava unicamente le clausole esecutive ed amministrative nonché la clausola n. 7, con la quale erano state definite le prerogative del direttore dei lavori.
18. Nel solco delle indicazioni giurisprudenziali dapprima enunciate l’interpretazione patrocinata dalla Corte d’Appello di Roma è in secondo luogo assolutamente ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, ovvero non diverge da alcun criterio legale di ermeneutica contrattuale.
Ne discende che del tutto ingiustificata è la prospettata violazione del canone ermeneutico letterale e con riferimento alla clausola n. 4 della scrittura dell’11.6.2002 e con riferimento alla clausola n. 7 del contratto del 30.11.2001.
Ciò tanto più che questa Corte spiega che, nell’interpretazione del contratto, il criterio letterale e quello del comportamento delle parti, anche successivo al contratto medesimo ex art. 1362 c.c., concorrono, in via paritaria, a definire la comune volontà dei contraenti; e, di conseguenza, che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non e’, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione “prima facie” chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (cfr. Cass. sez. lav. 1.12.2016, n. 24560).
Ne discende inoltre che del tutto ingiustificata è la prospettata violazione dei criteri ermeneutici dell’interpretazione secondo buona fede e dell’interpretazione “funzionale”.
19. In ogni caso è innegabile che le censure dal ricorrente addotte si risolvono tout court nella prospettazione della (asserita) maggior plausibilità della patrocinata antitetica interpretazione.
Significativa in tal senso è la deduzione della “Tenuta Agricola” (cfr. ricorso, pagg. 8 – 9) secondo cui, alla luce dei disattesi criteri esegetici, si ha riscontro della volontà degli stipulanti la scrittura in data 11.6.2002 di regolare il loro rapporto secondo quanto prefigurato nel contratto d’appalto siglato in data 30.11.2001 da essa ricorrente con la “PSC” s.r.l., giacché la “SVM Costruzioni” aveva operato quale subappaltatrice, sicché era a conoscenza delle pattuizioni di cui al precedente contratto, delle opere da eseguire e delle opere eseguite.
20. Sotto altro profilo, a nulla vale che la ricorrente adduca – con i rilievi finali del primo mezzo – che la Corte di Roma ha travisato la prova documentale costituita dalla scrittura in data 11.6.2002 e dall’allegato cronoprogramma, che prefigurava, conformemente a quanto già previsto nel contratto d’appalto in data 30.11.2001, lo svolgimento dei lavori in un arco temporale di 150 giorni.
21. Si reputa previamente che il motivo, in parte qua, difetta di specificità e di “autosufficienza”, siccome non riproduce (neppure nelle note di cui alle pagg. 7, 8 e 9) il testo della scrittura in data 11.6.2002 ed il testo dell’allegato cronoprogramma, sì che possa valutarsi in maniera puntuale la correlazione tra l’uno e l’altro documento (cfr. Cass. (ord.) 28.9.2016, n. 19048, secondo cui il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti, indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi, e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso; la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile; Cass. 13.11.2018, n. 29093; Cass. 12.12.2014, n. 26174; Cass. 3.7.2009, n. 15628).
Ciò viepiù che la corte di seconde cure ha ulteriormente puntualizzato (cfr. pag. 13) che il rinvio alla pregressa pattuizione non riguardava né la clausola prefigurante il termine di ultimazione dei lavori, siccome tale termine era già decorso alla data di stipulazione della scrittura dell’11.6.2002, né la clausola penale, in mancanza di una chiara volontà delle parti in tal senso.
Del resto, la ricorrente riconosce che “ciò che può risultare casomai incompatibile è solo il termine di decorrenza” (così memoria, pag. 4).
22. In ogni caso la ricorrente censura l’erronea valutazione della prova documentale (“la sentenza confonde il termine di durata dei lavori (150 giorni) con il termine di decorrenza dei lavori stessi”: così memoria, pag. 4; cfr. ricorso, pag. 11), onde avvalorare il proprio assunto, ovvero che il dies a quo del termine di 150 giorni per l’ultimazione dei lavori dovesse identificarsi con l'”inizio del sesto mese successivo a quello della sottoscrizione del contratto dell’11.06.2002″ (così memoria, pag. 5).
E tuttavia ad una censura siffatta osta l’insegnamento di questa Corte secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).
23. Il terzo motivo di ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.
24. Va, ovviamente, ribadita la nozione di motivazione “apparente” in precedenza richiamata.
Su tale scorta l’anzidetta “anomalia motivazionale” è senz’altro riflessa dallo scarno ed apodittico riscontro di “plausibilità” dei rilievi del c.t.p. della “SVM Costruzioni”, riscontro alla cui stregua la corte di merito ha ritenuto di quantificare in lire 727.740.102, oltre i.v.a., “le opere realizzate dall’appaltatrice, alla data del recesso” (così sentenza d’appello, pag. 14) e di disattendere in pari tempo la minore quantificazione, in lire 690.948.146, oltre i.v.a., operata dal c.t.u. nominato in sede di a.t.p. (a.t.p. attivato su istanza della s.p.a. in questa sede controricorrente).
25. L'”apparenza”, in parte qua, della motivazione dell’impugnato dictum viepiù si prospetta, siccome la ricorrente ha addotto (cfr. ricorso, pag. 15) che, contrariamente all’affermazione della corte distrettuale, la relazione redatta dall’ausiliario d’ufficio nominato in sede di a.t.p. recava specificazione dei prezzi unitari applicati.
26. In ogni caso, è indubitabile che le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno alcuna efficacia vincolante per il giudice; e però l’organo giudicante può legittimamente disattenderle sulla scorta di una valutazione critica ancorata alle risultanze processuali, congruamente e logicamente motivata (cfr. Cass. 3.3.2011, n. 5148).
27. Il quarto motivo di ricorso è del pari fondato e meritevole di accoglimento.
28. L'”anomalia” della motivazione “apparente” si scorge pur con riferimento al profilo attinto dalle ragioni di censura veicolate dal quarto mezzo di impugnazione.
E’ da escludere, segnatamente, che la corte territoriale abbia atteso ad una approfondita disamina logico/giuridica, idonea a lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito, allorché ha assunto che i vizi e le difformità delle opere lamentati dalla “Tenuta Agricola” fossero da correlare eziologicamente non già alla cattiva esecuzione dei lavori bensì alla loro interruzione ed alla tardiva restituzione del cantiere (cfr. sentenza d’appello, pag. 17).
Invero, la “superficialità”, in parte qua, della motivazione è resa patente da una ben precisa incongruenza che univocamente emerge dall’impianto motivazionale dell’impugnato dictum.
Più esattamente, è difficile ammettere che il danno cagionato dall’umidità correlata alla mancata impermeabilizzazione e riscontrato dall’ausiliario d’ufficio possa essere correlato eziologicamente “all’incuria della Costruzioni s.p.a. nel periodo in cui ha continuato a detenere il cantiere senza eseguire alcuna lavorazione stante l’avvenuto recesso della committente” (così sentenza d’appello, pag. 17).
E tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo della ricorrente secondo cui il c.t.u. nominato nel corso dell’a.t.p. ha accertato i vizi delle opere, allorché la “SVM Costruzioni” non aveva ancora posto in essere l’illegittima detenzione del cantiere (cfr. ricorso, pag. 18).
29. Il quinto motivo di ricorso è privo di fondamento e va respinto.
30. Non si prospettano gli errores in iudicando denunciati con il quinto mezzo.
Con riferimento al profilo concernente il danno asseritamente sofferto dall’appellante principale in dipendenza della ritardata restituzione del cantiere, la Corte capitolina ha fatto luogo ad una duplice puntualizzazione.
Per un verso, la Corte romana ha precisato che il motivo di gravame al riguardo esperito era generico, siccome l’appellante si era limitata a censurare l’omessa motivazione inficiante in parte qua il primo dictum e non aveva indicato “la natura e consistenza del danno” (cfr. sentenza d’appello, pag. 16).
E, ben vero, siffatta affermazione non è stata oggetto di censura specifica ed “autosufficiente” da parte della ricorrente; cioè la “Tenuta Agricola” non ha in questa sede addotto – in termini, appunto “autosufficienti” – di aver, con il proprio appello, censurato il primo dictum dando conto in maniera puntuale della natura e della consistenza del pregiudizio.
Per altro verso, la Corte romana ha precisato che non si prospettava nella specie il pregiudizio specificamente lamentato dalla s.r.l. appellante – qui ricorrente – ossia il pregiudizio “derivante dal mancato guadagno per impossibilità di adibire l’immobile ad attività turistico – ricettiva (agriturismo)” (così ricorso, pag. 21).
Ed, invero, la corte territoriale ha puntualizzato che, con riferimento al lucro cessante, che non era stata fornita alcuna dimostrazione del nesso di causalità tra l’inadempimento ascritto a controparte e la perdita degli introiti asseritamente dovuta all’impossibilità di utilizzare la struttura agrituristica; che segnatamente la principale appellante non aveva dato prova dell’attivazione dell’iter amministrativo necessario per rilascio delle autorizzazioni funzionali all’esercizio dell’attività agrituristica; che conseguentemente doveva reputarsi irrilevante la prova per testimoni richiesta al riguardo.
31. Evidentemente, e’, quest’ultimo, un rilievo del tutto in linea con l’insegnamento di questa Corte.
Cioe’ con l’insegnamento secondo cui l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili (cfr. Cass. 8.1.2016, n. 127; Cass. 17.10.2016, n. 20889; Cass. 19.3.1980, n. 1837).
32. In dipendenza dell’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso la sentenza n. 3613/2017 della Corte d’Appello di Roma, nei limiti dell’accoglimento degli stessi motivi, va cassata con rinvio alla stessa corte d’appello in diversa composizione anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
33. In dipendenza del parziale buon esito del ricorso non sussistono i presupposti processuali perché, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..
PQM
La Corte accoglie il terzo motivo ed il quarto motivo di ricorso, cassa, in relazione e nei limiti dell’accoglimento dei medesimi motivi, la sentenza n. 3613 dei 10.4/30.5.2017 della Corte d’Appello di Roma e rinvia alla stessa corte d’appello in diversa composizione anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità; rigetta il primo motivo, il secondo motivo ed il quinto motivo di ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 25 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022