Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5359 del 18/02/2022

Cassazione civile sez. II, 18/02/2022, (ud. 16/11/2021, dep. 18/02/2022), n.5359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 92009-2017 proposto da:

B.A., Avv., in proprio, ed elettivamente domiciliato

presso lo studio dell’Avv. Valeria Amatiello, in ROMA, Via CLAUDIO

MONTEVERDI 20;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del MINISTRO protempore,

rappresentato e difeso dalla AVVOCATURA GENERALE dello STATO, presso

i cui uffici siti in ROMA Via dei PORTOGHESI 12 è domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1301/2016 del TRIBUNALE di MILANO pubblicata

il 28.11.2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/11/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 7116/2014, depositata in data 23.4.2014, il Giudice di Pace di Milano (a conclusione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dall’avv. B.A. per il pagamento di n. 4 decreti di pagamento emessi dal Giudice a conclusione di altrettanti giudizi civili per compensi professionali e spese richiesti quale difensore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato), dichiarata la cessazione della materia del contendere per l’avvenuto pagamento da parte del MINISTERO della GIUSTIZIA degli importi capitali e delle somme dovute per IVA e CPA di tutti i 4 decreti di pagamento azionati (1 pagato prima della notifica del decreto e 3 nel corso del giudizio di opposizione), aveva condannato il Ministero, valutata la soccombenza virtuale, al pagamento degli interessi legali dal deposito del ricorso al saldo effettivo e delle spese dell’intero procedimento.

Avverso detta sentenza proponeva appello il Ministero della Giustizia in quanto il Giudice di Pace aveva erroneamente ritenuto virtualmente soccombente il Ministero quando, viceversa, il mancato pagamento dei tre decreti (pagamento poi avvenuto nel corso del giudizio) era stato determinato dall’erroneo comportamento dell’avv. B., che non aveva depositato presso l’ufficio competente, unitamente alla richiesta di pagamento dei decreti liquidativi, le corrispondenti fatture, come previsto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 177.

Si costituiva l’avv. B. chiedendo che venisse pronunciata l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 e 348 bis c.p.c. atteso che l’atto di appello non era comprensibile non essendo individuabile la causa petendi e il petitum della pretesa; nel merito chiedeva il rigetto del gravame evidenziando che la c.d. “fattura proforma” non differiva in alcun elemento dalla fattura vera e propria e che la ritenuta d’acconto era esposta nella fattura proforma negli stessi termini in cui viene esposta nella fattura. Concludeva per il rigetto del gravame.

Con sentenza n. 13101/2016, depositata in data 28.11.2016, il Tribunale di Milano dichiarava che nulla fosse dovuto all’avv. B. per interessi condannandolo al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’avv. B.A. sulla scorta di sei motivi, illustrati da memoria. Resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Per priorità logica vanno innanzitutto congiuntamente esaminati il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

1.1. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta ex “Art. 360 c.p.c., n. 4. Omessa pronuncia su eccezione di inammissibilità dell’appello del Ministero della Giustizia – Violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 348-bis c.p.c.”. Secondo il ricorrente il Tribunale ometteva del tutto di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità dell’appello in riferimento alla violazione degli artt. 342 e 348-bis c.p.c. Dall’atto di appello non si individuano le ragioni in punto di fatto e di diritto, quale sia la critica formulata alla sentenza di primo grado.

1.2. – Con il quarto motivo, il ricorrente deduce ex “Art. 360 c.p.c., n. 4 – Omessa pronuncia su eccezione di inammissibilità dell’appello del Ministero della Giustizia Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.”. Secondo il ricorrente non emerge alcun interesse serio e concreto del Ministero al conseguimento di una diversa pronuncia rispetto a quella emessa dal Giudice di Pace. Il Tribunale di Milano ometteva di pronunciarsi sulla questione.

1.3. – I due motivi sono inammissibili.

Per giurisprudenza costante di questa Corte, infatti, il vizio di omessa pronuncia è escluso quando la sentenza abbia assunto (come nella specie) una decisione che comporti l’implicito rigetto della domanda od eccezione formulata dalla parte (cfr., Cass. n. 20718 del 2018, conf., tra le molte, Cass. n. 17956 del 2015; anche Cass. sez. un. 27199 del 2017).

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, infatti, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 20311 del 2011; Cass. n. 24155 del 2017).

2. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta ex “Art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4; Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3; Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 5”.

2.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce ex “Art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 4”. Osserva il ricorrente che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3 le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo. Sicché solo da quel momento sorge obbligo di emettere fattura; e ciò non può essere pregiudicato per il solo fatto che debitore sia lo Stato. Il ricorrente evidenzia altresì che la parcella c.d. “pro forma” e la fattura presentano identico contenuto. L’eventuale anticipata emissione della fattura la cui imposta (IVA) ivi esposta possa ritenersi a esigibilità differita (ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 5 norma sulla quale il Tribunale di Milano ha fondato la motivazione della sentenza impugnata), non solo non esime dall’osservanza di tutti gli adempimenti formali connessi all’emissione stessa, ma non sottrae il compenso ivi indicato dall’assoggettamento alla tassazione ai fini delle imposte sul reddito e quanto altro.

2.2. – I due motivi sono infondati.

2.3. – Del tutto correttamente il Tribunale premetteva che la questione sottoposta alla propria attenzione fosse relativa al fatto che il difensore del cliente ammesso al patrocinio dello Stato, concluso il giudizio ed ottenuto il decreto di liquidazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 83 potesse chiederne all’ufficio competente il pagamento presentando solo una nota “pro forma” ovvero, viceversa fosse necessario il deposito della fattura.

Chiarito il thema decidendum, il giudice dell’appello osservava come fosse “pacifico che la nota pro forma sia un documento senza valore fiscale ed a contenuto libero”, che “viene emessa dal professionista per consentire allo stesso di quantificare e richiedere al cliente le proprie spettanze – spese, onorari IVA e oneri previdenziali – pur senza emettere fattura così posticipando il pagamento dell’IVA, in coerenza con quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, commi 3 e 5”.

2.4. – Il Tribunale di Milano sottolineava come il meccanismo del “pro forma” non fosse previsto dal sistema, e che quindi, nella specie, dovesse essere emessa la fattura nel doppio esemplare come per legge per ogni compravendita (Cass. n. 17335 del 2020). Laddove l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata risedeva nella ritenuta operatività della previsione di cui all’art. 178 t.u. spese di giustizia che imponeva all’ufficio di acquisire la fattura da parte del professionista. Il giudice di merito evocava, a fondamento della propria decisione, il precedente di Cass., n. 12913 del 2008, secondo cui “In tema di IVA, la mera emissione di un documento non avente le caratteristiche formali della fattura, ancorché denominato in modo simile (nella specie, appunto, “fattura proforma”), non è sufficiente a far sorgere l’obbligazione tributaria, se non si dimostra (da parte dell’obbligato) che sussistevano i presupposti per l’emissione della fattura: i presupposti temporali per l’emissione della fattura sono infatti indicati espressamente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6 e sono collegati al momento in cui l’operazione assoggettabile ad imposta si considera effettuata” (conf. Cass. n. 5616 del 2021).

3. – Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta ex “Art. 360 c.p.c., comma 3 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, Tabelle 1 e 2 D.M. Giustizia 10 marzo 2014, n. 55 Incongruità delle somme liquidate”. A fronte del valore effettivo della controversia azionata dall’Avvocatura dello Stato, desumibile dalle conclusioni rassegnate in atto di citazione, ove ci si duole della condanna subita in primo grado dal Ministero della Giustizia al pagamento di interessi e spese di lite, si deduce che il valore economico della controversia non fosse superiore a Euro 85,00, per cui il Tribunale avrebbe potuto liquidare al massimo Euro 630,00 per compenso professionale, anziché Euro 1.215,00.

3.1. – Con il sesto motivo, il ricorrente deduce ex “Art. 360 c.p.c., n. 5 – Omessa motivazione in ordine alla liquidazione delle spese processuali. Incongruità delle somme liquidate”.

3.2. – I motivi quinto e sesto sono fondati.

3.3. – A fronte del valore effettivo della controversia azionata dall’Avvocatura dello Stato, desumibile dalle conclusioni rassegnate in atto di citazione, ove ci si duole della condanna subita in primo grado dal Ministero della Giustizia al pagamento di interessi e spese di lite, si deduce che il valore economico della controversia non fosse superiore a Euro 85,00, per cui il Tribunale avrebbe potuto liquidare al massimo Euro 630,00 per compenso professionale, anziché Euro 1.215,00.

Inoltre, il medesimo giudice aveva omesso di motivare circa le ragioni che lo avevano indotto a liquidare Euro 1.215,00 a titolo di compenso professionale, a fronte sia del valore estremamente esiguo della controversia (Euro 85,00), sia del palese superamento del parametro di riferimento di cui al primo scaglione di valore della Tabella di cui al D.M. n. 55 del 2014. Il valore della lite rientrava nel 1^ scaglione.

4. – I motivi, dal primo al quarto, vanno rigettati. Vanno invece accolti il quinto e sesto motivo; la sentenza impugnata, va cassata e la causa rinviata al Tribunale di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo, secondo, terzo e quarto motivo. Accoglie il quinto e il sesto motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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