Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5357 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. I, 05/03/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 05/03/2010), n.5357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.G. (C.F. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il

21/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

10/11/2009 dal Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 21.4.2007 la Corte d’Appello di Napoli – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 proposta da A.G. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio dal medesimo promosso con ricorso depositato in data 29.4.1992 avanti al TAR della Campania al fine di ottenere la corresponsione degli interessi e della rivalutazione sulle somme spettanti ai sensi del D.P.R. n. 347 del 1983 ed ancora pendente avanti al Consiglio di Stato – riteneva non ragionevole, nell’ambito di una durata complessiva di anni quattordici e mesi nove (dal 29.4.1992 al 26.1.2007), il periodo di anni otto e mesi nove, considerando i due gradi e detraendo il periodo di un anno intercorso fra la pubblicazione della sentenza di primo grado e la notifica dell’appello, e liquidava a titolo di danno non patrimoniale la somma complessiva di Euro 6.562,50 pari ad Euro 750,00 per ogni anno di eccedenza, oltre agli interessi dal 3.1.2007.

Avverso detto decreto propone ricorso per Cassazione A.G. che deduce tredici motivi di censura.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso A.G. denuncia violazione dell’art. 6, par. 1 della C.E.D.U. e della L. n. 89 del 2001. Lamenta che la Corte d’Appello non abbia tenuto conto dei parametri Europei sia per quanto riguarda la determinazione dell’indennizzo fissata in una somma oscillante fra Euro 1000,00 ed Euro 1.500,00 per ogni anno di ritardo che per quanto concerne la liquidazione delle spese.

Deduce inoltre che erroneamente non ha riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 pur in presenza di una causa di lavoro.

Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della C.E.D.U. nonche’ difetto di motivazione, ribadendo che la Corte d’Appello non si e’ attenuta alla giurisprudenza della Corte Europea per quanto riguarda i parametri minimi fissati nella misura di Euro 1.500,00 per ogni anno di durata del procedimento.

Con il quarto, il quinto ed il sesto motivo il ricorrente, denunciando violazione della C.E.D.U., lamenta che la Corte d’Appello, senza alcuna motivazione, non abbia riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 nonostante il giudizio presupposto avesse riguardato materia di lavoro.

Con il settimo ed i successivi fino al tredicesimo motivo il ricorrente deduce che la Corte d’Appello non si e’ adeguata alla giurisprudenza Europea per quanto riguarda la liquidazione delle spese in violazione dell’art. 6 della C.E.D.U e dell’art. 1 del Protocollo Addizionale.

Il ricorso e’ fondato nei limiti che qui di seguito saranno precisati.

Quanto alla censura con cui si contesta l’entita’ dell’indennizzo riguardante il danno non patrimoniale, si rileva che la Corte d’Appello, liquidando una somma complessiva di Euro 6.562,50 pari ad Euro 750,00 per ogni anno di durata non ragionevole complessivamente determinata in anni otto e mesi nove, si e’ adeguata solo in parte ai parametri fissati dalla Corte Europea e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito come una tale valutazione non possa prescindere, in considerazione del rinvio operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, dall’interpretazione della Certe di Strasburgo e debba pertanto uniformarsi, per quanto possibile, alla liquidazione effettuata in casi simili dal giudice Europeo, sia pure con possibilita’ di apportare, purche’ in misura ragionevole, le deroghe suggerite dalla singola vicenda. Dalle decisioni adottate a carico dell’Italia (vedi in particolare la pronuncia sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Zullo) risulta infatti che la Corte Europea ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 il parametro medio annuo per la quantificazione dell’indennizzo.

Orbene, nel caso in esame, l’importo di Euro 750,00 riconosciuto dalla Corte d’Appello per ogni anno di ritardo, se puo’ considerarsi congruo in relazione ai primi tre anni di durata non ragionevole, deve ritenersi invece insufficiente per il restante non breve periodo di anni cinque e mesi nove, non potendosi negare che lo stato d’ansia aumenti con l’ulteriore protrarsi del procedimento e che debba quindi riconoscersi al riguardo un importo maggiore.

Non puo’ condividersi invece l’assunto secondo cui, una volta accertata una durata non ragionevole, dovrebbe tenersi conto dell’intero periodo di durata del procedimento, prevedendo espressamente della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3 che, ai fini in esame, rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo.

Al riguardo questa Corte ha gia’ sottolineato che, anche se per la Corte Europea l’indennizzo debba essere moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale e’, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, secondo cui e’ influente solo il danno riferibile al | periodo eccedente il termine ragionevole. Si e’ sostenuto infatti che detta diversita’ di calcolo non tocca la complessa attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e pertanto non autorizza dubbi sulla compatibilita’ di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione Europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2 nel testo fissato dalla legge costituzionale 23.11.1999 n. 2 ; vedi Cass. 8714/06).

Del pari non puo’ trovare accoglimento la richiesta di riconoscimento di un “bonus” di Euro 2.000,00 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non essendo previsto dalla legislazione nazionale e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarita’ della fattispecie sulla quale nulla e’ stato pero’ detto al di la’ di un generico richiamo ai carattere assistenziale della controversia.

Vanno ritenute assorbite infine le successive censure riguardanti le spese del giudizio di merito in quanto il parziale accoglimento del presente ricorso comporta la necessita’ di una loro riliquidazione da parte di questa Corte.

L’impugnato decreto deve essere pertanto cassato in relazione alle censure accolte.

Ricorrendo le condizioni richieste dall’art. 384 c.p.c., comma 1, per una decisione nel merito, si determina l’indennizzo, in considerazione delle osservazioni sopra espresse, in Euro 8.000,00 pari ad Euro 750,00 per ognuno dei primi tre anni di durata non ragionevole e ad Euro 1.000,00 per ciascuno degli ulteriori anni o frazione con gli interessi dalla domanda.

Il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione per meta’ delle spese relative al giudizio di legittimita’ mentre si liquidano per intero quelle di merito, spese che si distraggono a favore del difensore dichiaratosi antistatario.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della somma di Euro 8.000,00 oltre agli interessi dalla domanda. Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida per l’intero, quanto al giudizio di merito, in Euro 600,00 per diritti, in Euro 500,00 per onorario ed in Euro 50,00 per spese oltre accessori di legge e nella misura del 50% quanto al giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 300,00 per onorario ed in Euro 50,00 per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

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