Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5352 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. I, 05/03/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 05/03/2010), n.5352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6668-2008 proposto da:

V.L. (C.F. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso LA CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il

21/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2009 dal UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 21.5.2007 la Corte d’Appello di Napoli – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 proposta da V.L. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione al giudizio dalla medesimo promosso con ricorso depositato nel mese di Giugno del 1998 avanti al TAR della Campania al fine di ottenere il diritto a percepire l’intero TFR e definito in primo grado con sentenza del 30.8.2005 – riteneva non ragionevole il periodo di anni quattro e liquidava a titolo di danno non patrimoniale la somma complessiva di Euro 4.000,00, pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di eccedenza, oltre agli interessi dalla notifica del ricorso.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione V.L. che deduce dodici motivi di censura.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso V.L. denuncia violazione dell’art. 6, par. 1 della C.E.D.U. e della L. n. 89 del 2001. Lamenta che la Corte d’Appello non abbia tenuto conto dei parametri Europei sia per quanto riguarda la determinazione dell’indennizzo fissata in una somma oscillante fra Euro 1000,00 ed Euro 1.500,00 per ogni anno di ritardo che per quanto concerne la liquidazione delle spese.

Deduce inoltre che erroneamente non ha riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 pur in presenza di una causa di lavoro.

Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della C.E.D.U. nonchè difetto di motivazione, ribadendo che la Corte d’Appello non si è attenuta alla giurisprudenza della Corte Europea per quanto riguarda i parametri minimi fissati nella misura di Euro 1.500,00 per ogni anno di durata del procedimento.

Con il quinto, il sesto ed il settimo motivo la ricorrente, denunciando violazione della C.E.D.U., lamenta che la Corte d’Appello, senza alcuna motivazione, non abbia riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 nonostante il giudizio presupposto avesse riguardato materia di lavoro.

Con l’ottavo, il nono, il decimo, l’undicesimo ed il dodicesimo motivo la ricorrente deduce che la Corte d’Appello non si è adeguata alla giurisprudenza Europea per quanto riguarda la liquidazione delle spese in violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dell’art. 1 del Protocollo Addizionale.

Il ricorso è fondato nei limiti che saranno qui di seguito precisati.

Quanto alla censura con cui si contesta l’entità dell’indennizzo riguardante il danno non patrimoniale, si rileva che la Corte d’Appello, liquidando la somma complessiva di Euro 4.000,00 pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di durata non ragionevole complessivamente determinata in anni quattro a fronte del protrarsi in anni sette dell’intero procedimento, si è adeguata ai parametri fissati dalla Corte Europea nella misura di 1.000,00-1.500,00 per ogni anno di ritardo e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito come una tale valutazione non possa prescindere, in considerazione del rinvio operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 dall’interpretazione della Corte di Strasburgo e debba pertanto uniformarsi, per quanto possibile, alla liquidazione effettuata in casi simili dal giudice Europeo, sia pure con possibilità di apportare, purchè in misura ragionevole, le deroghe suggerite dalla singola vicenda. Dalle decisioni adottate a carico dell’Italia (vedi in particolare la pronuncia sul ricorso n. 62361/01 proposto da R.P. e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Z.) risulta infatti che la Corte Europea ha individuato nell’importo sopra indicato, vale a dire compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00, il parametro medio annuo per la quantificazione dell’indennizzo.

Nè può condividersi l’assunto secondo cui, una volta accertata una durata non ragionevole, (dovrebbe tenersi conto dell’intero periodo di durata del procedimento, prevedendo espressamente la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3 che, ai fini in esame, rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo.

Al riguardo questa Corte ha già sottolineato che, anche se per la Corte Europea l’indennizzo debba essere moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3 secondo cui è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Si è sostenuto infatti che detta diversità di calcolo non tocca la complessa attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e pertanto non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione Europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2 nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; vedi Cass. 8714/06). Del pari non può trovare accoglimento la richiesta di riconoscimento di un “bonus” di Euro 2.000,00 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non essendo previsto dalla legislazione nazionale e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarità della fattispecie sulla quale nulla è stato però detto al di là di un generico richiamo al carattere assistenziale della controversia.

Vanno invece accolte le censure riguardanti la liquidazione delle spese del giudizio di merito riconosciute in misura inferiore al dovuto, spese che si distraggono a favore del difensore antistatario e che si liquidano per intero quanto al giudizio di merito e nella misura di un terzo quelle del giudizio di legittimità, calcolate queste ultime in relazione alla differenza fra le spese liquidate in sede di merito e le stesse riconosciute in questa sede.

L’impugnato decreto deve essere pertanto cassato in relazione alle censure accolte.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte. Conferma la condanna della Presidenza del Consiglio al pagamento della somma di Euro 4.000,00 con gli interessi dalla domanda. Condanna la Presidenza del Consiglio al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida per l’intero, quanto al giudizio di merito, in Euro 378,00 per diritti, in Euro 445,00 per onorario ed in Euro 50,00 per spese oltre accessori di legge e nella misura di un terzo quanto al giudizio di legittimità, che liquida in Euro 80,00 per onorario ed in Euro 30,00 per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

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