Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 535 del 15/01/2010

Cassazione civile sez. II, 15/01/2010, (ud. 30/09/2009, dep. 15/01/2010), n.535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M. e D.C.F., elettivamente domiciliate in

Roma, via L. Rizzo n. 36, presso lo studio dell’Avv. Iannacci

Antonio, rappresentate e difese dagli Avvocati Cianci Franco e

Benedetto Cianci per procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in Roma, via A.

Catalani n. 39, presso lo studio dell’Avv. Adotti Alessandro,

rappresentato e difeso dall’Avv. De Michele Antonio per procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 283/06

depositata il 12 ottobre 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30 settembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. PETITTI Stefano;

sentito il, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che L.M. e D.C.F. chiedono la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Campobasso, depositata il 12 ottobre 2006, che ha rigettato l’appello da esse ricorrenti proposto avverso la sentenza del Tribunale di Larino del 4 febbraio 2003, che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la condanna di C. G. a: arretrare il cancello di ingresso fino a porlo alla distanza di m. 1,50 dal fabbricato, con ordine di demolizione della pavimentazione della porzione di terreno dell’attrice L. M.; rimuovere e distaccare la fogna del suo fabbricato da quella di proprieta’ dell’attrice D.C.F. e al risarcimento dei relativi danni; rimborsare, in favore della D.C., la somma di L. 4.000.000 oltre rivalutazione e interessi, pari al valore del nuovo muro di cinta; rimuovere tutte le finestre prospicienti il fondo della D.C. aperte in violazione delle distanze legali;

rimuovere la canna fumaria prospiciente le finestre della D. C., ovvero elevare la stessa canna fumaria onde consentire la dispersione dei fumi nell’aria;

che C.G. ha resistito con controricorso;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., e’ stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che e’ stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il precedente relatore designato, nella relazione depositata il 4 maggio 2009, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) ritenuto che il ricorso contiene una esposizione dei fatti del tutto lacunosa e frammentaria, limitandosi a riprodurre le conclusioni dell’atto di citazione, l’atto di appello ed a riassumere le statuizioni sulle singole domande del giudice di secondo grado, senza illustrare quali siano stati l’origine ed i contorni esatti dell’oggetto della controversia, quali, in relazione alle specifiche domande avanzate nell’atto di citazione, le eccezioni e le difese articolate dalle parti e come si siano svolti, infine, gli stessi fatti di causa, con particolare riguardo al contenuto e consistenza delle questioni controverse ed alle ragioni in forza delle quali esse sono state decise;

che gli stessi motivi di ricorso difettano della esposizione di specifiche censure della sentenza impugnata, nonche’ della indicazione delle norme ovvero dei principi di legge che si assumono violati, risolvendosi in meri quesiti di fatto su circostanze che, deve ritenersi, siano state oggetto della controversia;

che la mancanza di tali dati del ricorso impedisce di vedere soddisfatta, nella fattispecie concreta, quella esigenza minima che la legge processuale (art. 366 c.p.c., n. 3) ha voluto garantire richiedendo che nel ricorso per Cassazione vengano esposti, anche sommariamente, i fatti della causa ed i motivi specifici di censura, adempimenti che non si risolvono in requisiti di ordine formale, ma che sono funzionalmente preordinati a fornire al giudice di legittimita’ la conoscenza necessaria dei termini in cui la causa e’ nata e si e’ sviluppata, al fine di meglio valutare ed apprezzare, senza dovere ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, il quadro degli elementi fondamentali in cui si collocano sia la decisione contestata che i motivi di censura sollevati (Cass. n. 4403 del 2006; Casa. n. 2432 del 2003;

Cass. n. 4937 del 2000)”;

che il Consigliere delegato, alla luce di tali considerazioni, ha ritenuto che il ricorso sia inammissibile;

che la riportata relazione e’ stata notificata alle parti e comunicata al Procuratore Generale;

che, mentre il Procuratore Generale nulla ha avuto da osservare, le ricorrenti hanno depositato memoria;

che il Collegio condivide le ragioni e le conclusioni della relazione, rilevando che le osservazioni contenute nella memoria delle ricorrenti non sono idonee a scalfire le argomentazioni e le conclusioni svolte nella relazione stessa;

che, infatti, nel ricorso vengono inizialmente riportate le conclusioni contenute nell’atto di citazione di primo grado; si da poi conto della decisione del Tribunale di Larino, di reiezione delle domande; vengono quindi riportati i motivi di appello; si da infine atto che il gravame e’ stato respinto e vengono riportati i motivi della decisione impugnata;

che le ricorrenti svolgono quindi i motivi di censura, denominati “quesiti”: il primo quesito e’ rubricato “sul problema delle distanze del cancello dal confine del fabbricato delle ricorrenti” ed e’ a sua volta articolato in cinque punti, in relazione ai quali le ricorrenti enunciano le proprie risposte;

che il secondo quesito e’ rubricato “problema delle distanze delle finestre dal fabbricato delle ricorrenti”, e in esso si rileva che l’assunto della Corte d’appello, secondo cui, non avendone le parti parlato nella scrittura privata, doveva ritenersi che le finestre gia’ esistessero a quell’epoca e che le parti ebbero a consentirle, sarebbe smentita da alcune risultanze;

che, peraltro, le ricorrenti omettono completamente di riportare in ricorso il contenuto della scrittura privata, piu’ volte menzionata nella sentenza impugnata, il che rende il motivo inammissibile anche per questa ulteriore ragione;

che il terzo quesito e’ rubricato “sul problema del riparto delle spese della recinzione”, ed e’ articolato in due profili: se le spese di ricostruzione di un muro di cinta con sovrapposta recinzione metallica debbano essere ripartite tra i confinanti e se gli argomenti usati dalla Corte siano violatori dell’art. 360 c.p.c., n. 5; se l’opera stessa – essendo vantaggiosa per entrambi, ed avendo il C. utilizzato, goduto e fruito della recinzione medesima, sia o non tenuto a pagare la realizzazione dell’opera;

che il quarto quesito concerne la “canna fumaria” e muove dalla premessa che il fabbricato del resistente sia posto ad una distanza inferiore dal confine e dal fabbricato delle ricorrenti;

che in sostanza le ricorrenti, in un malinteso adeguamento alla disciplina introdotta dall’art. 366 bis c.p.c., hanno formulato le proprie doglianze dimenticando che comunque il quesito di diritto o la chiara esposizione dei fatti controversi devono concludere l’esposizione del motivo, che deve comunque consentire di individuare le ragioni poste a fondamento delle censure rivolte alla sentenza impugnata: il che deve eludersi sia avvento nel caso di specie;

che, in conclusione, le frammentarie indicazioni contenute nella prima parte del ricorso e nello svolgimento dei motivi, che si risolvono nella prospettazione di questioni di fatto, non consentono una cognizione chiara e completa, non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato e dei motivi di censura proposti avverso la sentenza impugnata;

che il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile;

che, in applicazione del principio della soccombenza, le ricorrenti in solido tra loro devono essere condannate al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso; condanna le ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali e accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2010

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