Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5348 del 26/02/2021

Cassazione civile sez. I, 26/02/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 26/02/2021), n.5348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16270/2015 proposto da:

Deltacos S.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

degli Scipioni n. 288, presso lo studio dell’avvocato Carbone

Benedetto Giovanni, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Iacono Quarantino Maurizio, Wongher Marina, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Montalto di Castro, in persona del sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Monserrato n. 25, presso lo

studio dell’avvocato Degli Santi Riccardo, che lo rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7787/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/02/2021 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 7787/2014 depositata il 22/12/2014, ha, in accoglimento dell’impugnazione incidentale del Comune di Montalto di Castro, avverso il lodo arbitrale dell’8/2/2008 – pronunciato su domanda della Ingg. P. e C. spa, ex art. 31 della Concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche, stipulata tra le parti il 21/2/1992 (relativa all’affidamento della progettazione esecutiva, direzione lavori, costruzione finanziamento e gestione del porto interno polifunzionale turistico e peschereccio di (OMISSIS)), con il quale l’amministrazione comunale era stata condannata, a titolo di risarcimento danni da inadempimento, al pagamento alla società dell’importo di Euro 1.415.632,12, oltre IVA ed interessi legali – dichiarato la nullità del lodo arbitrale per nullità della clausola compromissoria, essendo la materia non compromettibile in arbitrato. In particolare, i giudici di merito, ritenuta applicabile la nuova normativa processuale in materia di arbitrato, avuto riguardo alla data della domanda arbitrale (30/3/2007), hanno sostenuto che la lite rientrava nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, considerato che doveva darsi continuità a quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte Suprema di cassazione, nella sentenza n. 21585/2013, trattandosi oltretutto di Convenzione di concessione di costruzione e gestione risalente al 1992, anteriore alla 1.109/1994, di attuazione della Direttiva 04/18/CE, non self-executing, nelle cui normative si è utilizzata una nozione unitaria di contratto di appalto pubblico e si è affermata la giurisdizione del giudice ordinario.

Avverso la suddetta pronuncia, non notificata, la Deltacos srl in liquidazione, già Ingg. P. e C. spa, propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti del Comune di Montalto di Castro (che resiste con controricorso, notificato il 31/8/2015). Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 1, della Direttiva n. 89/440/Ce (art. 1, lett. d) e della Legge di recepimento n. 406 del 1991 (art. 4), della L. n. 1034 del 1971, art. 5, art. 5 c.p.c. e D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 143, in punto di affermata giurisdizione del giudice amministrativo nella materia. La ricorrente evidenzia l’erroneità della decisione impugnata sotto plurimi profili, in quanto: già la Direttiva n. 89/440/CE, recepita nel nostro ordinamento dalla L. n. 406 del 1991, prevedevano una nozione unitaria di concessione di lavori pubblici e la ricomprensione nel contratto di appalto, rilevate ai fini del riparto di giurisdizione, ma, in ogni caso, doveva essere applicata, nella specie, la disciplina vigente non alla data della stipula della convenzione ma a quella della domanda di arbitrato, momento in cui il giudizio è stato avviato, ex art. 5 c.p.c..

2. Preliminarmente, questa Sezione semplice può esaminare e risolvere la presente controversia, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 1, atteso che la questione di giurisdizione, sollevata con l’unico motivo di ricorso, risulta essere stata ormai univocamente decisa dalle Sezioni Unite, con orientamento consolidato.

3. Tanto premesso, la censura è fondata.

3.1. Il rapporto controverso risulta rispondente alle caratteristiche proprie della nozione di “concessione di costruzione e gestione di opera pubblica” ed in tali termini, mai contrastati dalle parti, esso è stato espressamente qualificato dalla Corte d’appello. Il contratto è stato stipulato nel febbraio 1992 e la domanda di arbitrato (il cui lodo arbitrale è stato poi impugnato dinanzi alla Corte d’appello, nel 2008) è stata introdotta il 30/3/2007.

La Corte d’appello, nel declinare la giurisdizione del giudice ordinario in favore di quella del giudice amministrativo e nell’affermare la nullità della clausola compromissoria che deferiva agli arbitri le controversie insorte tra le parti nella fase di esecuzione del contratto agli arbitri, ha dato rilievo al fatto che il contratto, del 1992, fosse antecedente all’entrata in vigore della L. n. 109 del 1994 e che le direttive comunitarie pregresse, con le quali si era introdotta una nozione unitaria dell’appalto pubblico, non fossero self-executing.

3.2.Orbene, secondo un criterio di riparto della giurisdizione espresso in Cass. SU 3518/2008, occorreva, in effetti, distinguere, nell’ambito delle opere pubbliche compiute a mezzo concessione, le “concessioni di sola costruzione” (di soli lavori) dalle “concessioni di gestione dell’opera” o “di costruzione e gestione congiunte”: le prime equiparate agli appalti di opera pubblica quanto a tutela giurisdizionale, in forza della L. n. 109 del 1994, art. 31 bis, comma 4 – implicano la giurisdizione del giudice ordinario per tutte le controversie incidenti sulle fasi successive all’aggiudicazione ed alla stipula delle convenzioni; mentre le seconde – in considerazione della preminenza del profilo autoritativo immanente alla traslazione delle pubbliche funzioni concernenti l’organizzazione e la direzione dell’opera – vanno riferite, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, art. 5 alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (salvo i limiti sanciti da Corte Cost. n. 204/04, in merito alle questioni attinenti ad indennità, canoni ed altri corrispettivi).

Questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 11022/2014, superando un proprio precedente (Cass. SU 21585/2013, ma confermando l’indirizzo già espresso in Cass. SU 28804/2011 ed in Cass. 19392/2012) ha, invece, affermato che “la nozione normativa di “concessione di lavori pubblici”, che impone il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie relative alla fase successiva all’aggiudicazione anche per le concessioni “di gestione” o “di costruzione e di gestione”, si rinviene – prima ancora che nella direttiva comunitaria di codificazione del 31 marzo 2004, n. 2004/18/CE (poi recepita dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 3, comma 11) e nella direttiva 14 giugno 1993, n. 93/37/CEE – nell’art. 1, lett. d), della direttiva 18 luglio 1989,n. 89/440/CEE, sicchè non può invocarsi la violazione del principio della “perpetuatio iurisdictionis” per affermare la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione a controversie di tale natura che risultino instaurate anteriormente alla citata direttiva di codificazione e al suddetto D.Lgs. n. 163 del 2006″ (nella fattispecie il rapporto contrattuale era sorto nel 1997 e la domanda giudiziale era stata proposta nel 2002).

Le Sezioni Unite hanno chiarito, in motivazione, che tale nozione unitaria (per cui, ai fini della tutela giurisdizionale, sono equiparate agli appalti le concessioni in materia di lavori pubblici, senza alcuna distinzione tra tipologia di concessioni) non è stata innovativamente introdotta, ma solo “ripresa e confermata dalla Direttiva comunitaria di codificazione n. 2004/18/Ce, poi recepita dal Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, trovando essa, in realtà, precedente, nella Direttiva comunitaria 93/37/Cee e, la sua fonte originaria, nella Direttiva comunitaria 89/440/Cee”; l’art. 1, lett. d, di tale ultima Direttiva, già recitava, infatti: “la concessione di lavori pubblici è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di quelle contemplate alla lettera a (appalti di lavori pubblici: n.d.c.), ad eccezione del fatto che la controprestazione di lavori consiste

unicamente nel diritto di gestire l’opera oppure in questo diritto accompagnato da un prezzo”, e che, in sede di recepimento, trova rispondenza nella L. n. 109 del 1994, art. 19, comma 2, che alla nozione di “contratto di appalto di lavori pubblici”, contrappone quella di “concessione di lavori pubblici”, concepita quale categoria unitaria comprendente tutti i “contratti conclusi in forma scritta fra un imprenditore e una amministrazione aggiudicatrice, aventi a oggetto la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori pubblici, o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonchè la loro gestione funzionale ed economica”.

Il principio ha trovato conferma in Cass. SU 21200/2017, ove si è chiarito che “le controversie relative a concessione di costruzione e gestione di opera pubblica, in quanto riconducibili alla nozione normativa di “concessione di lavori” di cui alla direttiva 14 giugno 1993, n. 93/37/CEE ed alla direttiva 18 luglio 1989, n. 89/440/CEE,

competono alla giurisdizione ordinaria, ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 31 bis, e art. 133 c.p.a., comma 1, lett. e), n. 1, se relative alla fase successiva all’aggiudicazione, anche qualora la domanda sia stata proposta anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 163 del 2006 e si riferisca a lavori concessi anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 109 del 1994″ (nella specie, la domanda giudiziale era stata proposta nel 1999, in relazione a contratto stipulato nel 1989; la Corte ha precisato infatti che l’art. 5 c.p.c., sancisce la rilevanza, ai fini della giurisdizione, della legge vigente e dello stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e che della L. n. 109 del 1994, citato art. 31 bis, comma 5, estendeva la disciplina ivi prevista ai lavori appaltati o concessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge). Anche nella pronuncia n. 18627/2019, sempre delle Sezioni Unite, si è ribadito che “in tema di concessione di costruzione e gestione di opera pubblica e di concessione di servizi pubblici, la giurisdizione del giudice ordinario, riguardante le indennità, i canoni e altri corrispettivi, nella fase esecutiva del contratto di concessione, si estende alle questioni inerenti l’adempimento e l’inadempimento della concessione, nonchè le conseguenze risarcitorie, vertendosi nell’ambito di un rapporto paritetico tra le parti, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nei casi in cui la P.A. eserciti poteri autoritativi tipizzati dalla legge”.

Da ultimo le Sezioni Unite (Cass. n. 5594/2020) hanno affermato che “la controversia relativa alla fase di esecuzione di una convenzione avente ad oggetto la costruzione e la gestione di un’opera pubblica appartiene alla giurisdizione ordinaria, per essere sussumibile nella unitaria categoria, regolata dal D.Lgs. n. 163 del 2006, della “concessione di lavori pubblici”, nella quale la gestione funzionale ed economica dell’opera non costituisce un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario” (in motivazione, si è precisato che, avuto riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, ex art. 5 c.p.c., nella fattispecie nel 2011, a fronte di un contratto stipulato nel 2004, nel quadro normativo derivante dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, sussiste ormai solo l’unica categoria della “concessione di lavori pubblici”, onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell’opera o di costruzione e gestione congiunte, in quanto la gestione funzionale ed economica dell’opera non costituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario, come risulta dall’art. 143 del “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”).

3.3. Va, in effetti, ribadito che l’art. 5 c.p.c., secondo il quale la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, non avendo rilevanza i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo, stante l’insensibilità del processo alle modificazioni di fatto e di diritto intervenute successivamente alla proposizione della domanda, deve essere inteso in un’ottica di economia processuale, cosicchè le vicende sopravvenute hanno invece rilievo quando attribuiscono ex post al giudice adito la giurisdizione o la competenza, di cui egli era privo al momento dell’introduzione della lite.

Si ritiene, in sostanza, che il giudice privo di competenza o di giurisdizione, al tempo dell’instaurazione del giudizio, non può dichiarare il proprio difetto di competenza (o giurisdizione), ove sopravvenga nel corso del giudizio un criterio di collegamento tra la controversia e l’ufficio giudiziario adito e deve quindi pronunciare nel merito, per ovvie ragioni di economia processuale, atteso che la funzione dell’art. 5 c.p.c., è quella di favorire e non di impedire la perpetuatio jurisdictionis, sempre salvo che sul punto non sia intervenuto giudicato (Cass. 19833/2014; Cass. S.U. 20775/2010; Cass. 25031/2005; Cass. SU. 22903/2005; Cass. 6393/2003; Cass. S.U. 2415/2002; Cass. 6473/2000; Cass. 8983/1991; Cass. 6826/1994; Cass. 7358/1997; Cass. 1292/1990; Cass. Cass. 964/1980). Questa Corte (Cass. S.U. 8999/2009) ha, al riguardo, chiarito che “il principio sancito dall’art. 5 c.p.c., alla stregua del quale la giurisdizione si determina “con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda”, trova la sua ragion d’essere in esigenze di economia processuale e riceve applicazione solo nel caso di sopravvenuta carenza della giurisdizione del giudice adito e non anche quando il mutamento dello stato di fatto e di diritto comporti l’attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era privo, dovendosi in questo caso confermare la giurisdizione di esso” (conf. Cass. 21221/2014; Cass. 19833/2014; Cass. 4059/2016).

3.3. In conclusione, nella fattispecie, deve quindi affermarsi che: a) la presente controversia, relativa a concessione di costruzione e gestione di opera pubblica, in quanto riconducibile alla nozione normativa di “concessione di lavori” di cui alla direttiva 14 giugno 1993, n. 93/37/CEE ed alla direttiva 18 luglio 1989, n. 89/440/CEE, successivamente ripresa e confermata dalla Direttiva comunitaria di codificazione n. 2004/18/Ce e poi recepita dal Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, compete alla giurisdizione ordinaria, ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 31 bis e art. 133 c.p.a., comma 1, lett. e), n. 1, relativamente alla fase successiva all’aggiudicazione, anche qualora la domanda si riferisca a lavori concessi anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 109 del 1994; b) avuto riguardo, poi, al momento della domanda di arbitrato, nel 2007, operava, inoltre, la nuova disciplina dettata dalla 1.163/2006 (codice degli appalti), nel testo vigente ratione temporis (anteriore alla Novella 2016), contenente una nozione unitaria delle concessioni di lavori pubblici, cosicchè non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell’opera (o di costruzione e gestione congiunte) – ove prevale il profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l’attività organizzativa e direttiva dell’opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione – in quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica dell’opera non costituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario, come risulta dall’art. 143 del codice, con la conseguenza che le controversie relative alla fase di esecuzione appartengono alla giurisdizione ordinaria, e dall’art. 244, che demanda alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le sole controversie in materia di affidamento degli appalti pubblici, con esclusione di ogni domanda riguardante la fase di esecuzione dei relativi contratti.

3.4. Con riguardo, inoltre, alla questione della validità della clausola compromissoria contenuta nella Convenzione inter partes del 1992, il Comune controricorrente invoca la sua nullità, per essere stata sottoscritta nella vigenza della L. n. 1034 del 1971, vecchio art. 5, comma 1, successivamente sostituito dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. b) e c) c.p.a., attributivo delle controversie in materia di concessioni di beni e servizi pubblici alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, atteso che la piena equiparazione tra concessione di lavori pubblici e concessione di costruzione/gestione sarebbe stata operata non dalla Direttiva 89/440/CEE e dalla legge nazionale di recepimento n. 406/1991, ma dal codice dei contratti pubblici, D.Lgs. n. 163 del 2006, operante dal 1/7/2006, in recepimento delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, e dalla L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, che ha consentito la risoluzione delle controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo mediante arbitrato rituale di diritto.

Ora, richiamato quanto già in precedenza esposto, va comunque rilevato che questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 1556/2002, ha già affermato che “la L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 31 bis (introdotto dal D.L. 3 aprile 1995, n. 101, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 giugno 1995, n. 216), prevedente, ai fini della tutela giurisdizionale, l’equiparazione delle concessioni in materia di lavori pubblici agli appalti, è applicabile – in virtù del comma 5, norma transitoria avente efficacia derogatoria rispetto alla “lex generalis” costituita dall’art. 5 c.p.c. – anche alle controversie relative ai lavori concessi anteriormente alla data della sua entrata in vigore e, stante la sua portata retroattiva, rende valida ed efficace la clausola compromissoria, anteriormente stipulata, di deferimento ad arbitri delle controversie in materia di concessioni di lavori pubblici ora rientranti, ove investano posizioni di diritto soggettivo, nella giurisdizione del giudice ordinario”.

Si rammenta che della L. n. 109 del 1994, commi 4 e 5 (abrogata dal D.Lgs. n. 163 del 2006), nel testo in vigore dal 1995, così recitavano: “4. Ai fini della tutela giurisdizionale le concessioni in materia di lavori pubblici sono equiparate agli appalti. 5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle controversie relative ai lavori appaltati o concessi anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge”. La doglianza della ricorrente risulta quindi fondata anche sotto tale profilo.

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

 

 

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