Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5346 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 5346 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: DI IASI CAMILLA

SENTENZA

sul ricorso 23658-2009 proposto da:
COOPERATIVA S. ALFONSO DI PAGANI in persona del
Presidente,

elettivamente

domiciliato

in

ROMA

LUNGOTEVERE DEI MELLINI 17, presso lo studio
dell’avvocato CANTILLO ORESTE, rappresentato e difeso
dall’avvocato CAMAGGIO RENATO giusta delega a
2013

margine;
– ricorrente –

3332

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

\\\\\

Data pubblicazione: 07/03/2014

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controrícorrente

avverso la sentenza n. 128/2009 della
COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SALERNO, depositata il
06/04/2009;

udienza del 27/11/2013 dal Consigliere Dott. CAMILLA
DI IASI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SENTENZA
Ragioni della decisione

1. La società cooperativa S. Alfonso di Pagani ricorre per cassazione -nei confronti dell’Agenzia
delle Entrate che resiste con controricorso- avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la

introduttivo proposto dalla suddetta società avverso avvisi di recupero di credito di imposta per gli
anni 2001/2003.
In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che dal p.v.c. posto a base dei recuperi risultava
con chiarezza la ricostruzione dei dipendenti in forza, mentre la società non aveva né documentato
né provato l’erroneità del calcolo effettuato dall’Ufficio, solo genericamente affermata, non potendo
assumere rilievo ai fini che in questa sede rilevano né la natura cooperativa della società né la
situazione di crisi evidenziata per giustificare le dimissioni di alcuni soci lavoratori intervenute nel
corso degli anni.
2. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 7 1. n. 388 del 2000, la
ricorrente, premesso che all’epoca dei fatti era una società cooperativa di produzione e lavoro -poi
divenuta a mutualità prevalente- e che pertanto i soci, essendo anche lavoratori, erano iscritti nei
libri paga e matricola, sostiene che l’Ufficio avrebbe erroneamente considerato, ai fini del calcolo
per verificare la spettanza del credito di imposta, le dimissioni dei soci lavoratori risultanti dai
suddetti libri, laddove, trattandosi di lavoratori caratterizzati da uno status peculiare (in quanto
nello stesso tempo datori di lavoro e dipendenti) le loro dimissioni non avrebbero dovuto essere
considerate nella base di calcolo ai fini che in questa sede rilevano.
La censura è infondata.
Nella società cooperativa il socio lavoratore è (anche) un lavoratore a tutti gli effetti (ad esempio
anche ai fini della disciplina lavoristica, infortunistica e previdenziale) e come tale deve essere
considerato dalla normativa che per qualsiasi motivo contempli o consideri lo status di lavoratore,

C.T.R. Campania ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso

salvo che la stessa legge non preveda eccezioni espresse, ovvero disposizioni logicamente
incompatibili col doppio status di socio e lavoratore (circostanze entrambe da escludere nella
specie). Il fatto che nella società cooperativa i lavoratori siano anche soci non può dunque di per sé
(e salvo quanto sopra specificato) incidere sul fatto che essi sono comunque lavoratori a tutti gli
effetti e sulle conseguenze che da tale status debbono trarsi per l’ordinamento.
La normativa tributaria prevede ed ha previsto una serie di agevolazioni (e comunque specifiche

medesime, tuttavia quando una tale società intende fruire di un beneficio rivolto alla generalità dagli
imprenditori aventi determinate caratteristiche (diverse dalla natura cooperativa) non può far valere
le specificità che la caratterizzano (salvo che, ripetesi, la disciplina relativa non le abbia prese
espressamente in considerazione), con la conseguenza che deve ritenersi corretto l’operato
dell’Ufficio che, ai fini della valutazione dell’incremento del numero dei lavoratori ai sensi dell’art.
7 1.n. 388 del 2000, ha considerato anche i soci lavoratori (e le relative dimissioni ove intervenute
nel lasso di tempo preso in considerazione ai fini che qui rilevano).
Il secondo motivo, col quale si deduce vizio di motivazione, è inammissibile perchè carente in
relazione alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., richiedente una illustrazione che, pur libera da
rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume viziata, posto che nella specie il motivo si conclude
impropriamente con un quesito denominato “di diritto” e che né in tale “quesito” né in altro punto
del motivo è dato ravvisare una sintetica e chiara illustrazione del vizio denunciato, e neppure
l’indicazione adeguatamente circostanziata di “fatti” (da intendersi in senso storico e normativo, e
non più come “punto” o questione, v. tra le altre cass. n. 16655 del 2011) controversi e decisivi in
ordine ai quali la motivazione dovrebbe in ipotesi ritenersi insufficiente e contraddittoria.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la soccombente alle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in € 8.000,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.

disposizioni) per le società cooperative in ragione della peculiari caratteristiche e finalità delle

Roma 27.11.2013

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