Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5343 del 26/02/2021

Cassazione civile sez. I, 26/02/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 26/02/2021), n.5343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21379/2015 proposto da:

R.M., e Ri.Ma., rappresentati e difesi

dall’Avv. Eduardo Giuliani, elettivamente domiciliati in Roma, via

Otranto, n. 18, presso lo studio dell’Avv. Rossella Rago, giusta

procura speciale a margine del ricorso per cassazione.

– ricorrenti –

contro

Comune di Potenza, nella persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Brigida Pignatari D’Errico,

dell’Ufficio Legale dell’Ente, giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale.

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di POTENZA n. 79/2015,

pubblicata in data 20 febbraio 2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. R.M., Ri.Ma. e L.A. (deceduta nel corso del giudizio) agivano in giudizio chiedendo la condanna del Comune di Potenza al pagamento della somma dovuta in forza di procedimenti di occupazione per la realizzazione di opere di interesse pubblico, che avevano interessato varie entità di suoli edificatori siti nell’abitato di (OMISSIS), anche avuto riguardo alle zone non interessate dai provvedimenti resi, che erano state di fatto occupate dal Comune che le aveva destinate a verde pubblico o ad un uso comunque pubblico.

2. Il Tribunale di Potenza quantificava la somma dovuta in Euro 1.123.507,18, pari al valore di mercato dei suoli, per l’apprensione e irreversibile trasformazione dei relitti di terreni per mq 7.625.

3. Il Comune di Potenza proponeva appello e la Corte di appello di Potenza, con la sentenza in questa sede impugnata, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno con riferimento alle particelle nn. (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) e ha accolto la domanda con riguardo alla occupazione illegittima della particella n. (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) e ha condannato il Comune al pagamento della somma di Euro 11.490,06, già comprensiva di rivalutazione ed interessi, oltre interessi al tasso legale dalla pronuncia al soddisfo.

4. A sostegno della decisione impugnata, la Corte territoriale ha affermato che:

– la domanda proposta dagli attori doveva qualificarsi come domanda relativa ad una fattispecie di occupazione usurpativa, per non essere stata disposta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere da realizzare sui fondi illegittimamente appresi, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario;

– il consulente d’ufficio nominato aveva accertato che le particelle (OMISSIS) erano residuate dall’espropriazione effettuata dal Comune di Potenza per la costruzione della via (OMISSIS) e della sistemazione dello svincolo sulla via (OMISSIS), con Decreto Esproprio 12 maggio 1979, n. 4034;

– le prime due particelle erano state destinate a verde pubblico; sulla prima era stata riscontrata la presenza di un percorso pedonale, mentre le altre sue erano state manutenute ed attrezzate a verde mediante idoneo arredo urbano e sulle stesse era stato realizzato il cosiddetto “(OMISSIS)”, consistente in un camminamento centrale pedonale e un sentiero in ghiaietto, corredata da panchine per la sosta e di pali per l’illuminazione;

– nell’ipotesi di occupazione usurpativa il risarcimento del danno era dovuto solo se l’illecito della PA avesse radicalmente ed irreversibilmente trasformato il bene, ovvero lo avesse inserito in un nuovo ed inscindibile contesto;

– nel caso in esame non si era verificata una trasformazione irreversibile del bene e specificamente, nel caso delle particelle nn. (OMISSIS), l’unico intervento consisteva nella realizzazione di un percorso pedonale e così nell’ipotesi delle particelle nn. (OMISSIS) i luoghi, occupati da una fitta vegetazione, non erano stati modificati ed era stato realizzato un piccolo sentiero che occupava una superficie assolutamente modesta, oltre che l’installazione di panchine e di alcuni pali per l’illuminazione;

– gli interventi descritti, tutti marginali, non configuravano alcuna trasformazione del fondo, men che meno irreversibile e la mancanza di qualsiasi dichiarazione di pubblica utilità impediva di considerare realizzata la diversa collocazione nella realtà giuridica del bene, ovvero la sua destinazione ad opera pubblica o ad uso pubblico;

– le particelle (OMISSIS) erano residuate a seguito della costruzione da parte dell’ex Genio Civile di n. 56 alloggi in dipendenza dei lavori di risanamento della Città di Potenza, giusta Decreto di esproprio definitivo del Prefetto di Potenza del 10 aprile 1972 e la particella n. (OMISSIS) era stata occupata e irreversibilmente trasformata con l’inizio della costruzione, da parte dell’ex Genio Civile di Potenza, della Scuola Media (OMISSIS), giusta decreto di occupazione del prefetto di Potenza del 13 luglio 1972;

– la particella n. (OMISSIS) aveva subito una trasformazione irreversibile perchè destinata alla realizzazione di una strada e di un parcheggio; la detta particella ricadeva in parte in zona “B” sottoposta a vincolo di conservazione dei volumi attuali e in parte su sede stradale di P.R.G.; la stessa doveva essere valutata quale fondo agricolo, perchè l’art. 14 nelle NN.TT.A, allegate al P.R.G. della Città di Potenza del 1971, ammetteva la demolizione e la ricostruzione dei singoli edifici (la cui presenza non era stata allegata dai proprietari) a condizione che non venisse superata la cubatura originaria e fossero rispettate le distanze regolamentari e gli eventuali nuovi allineamenti prescritti;

– il valore dei fondi in questione doveva essere determinato in vecchie Lire 4.000/mq (pari ad Euro 2,07), così stabilito nella CTU di altro giudizio, per fondi diversi, ma omogenei per la collocazione e per la destinazione, e che il valore venale fissato in un terzo del valore di terreni edificatori, benchè non corrispondente al valore agricolo, intercettava da un lato il consenso dell’Ente appellato e dall’altro la collocazione dei fondi all’interno del perimetro urbano;

– il risarcimento dovuto, in ragione dell’estensione della particella (OMISSIS), pari a mq 440, ammontava ad Euro 910,80 (alla data del 1979) e, calcolata la rivalutazione e gli interessi legali, a Euro 11.490,06, oltre interessi legali dalla data della sentenza al soddisfo.

5. R.M. e Ri.Ma. ricorrono per la cassazione della sentenza con atto affidato a tre motivi.

6. Il Comune di Potenza ha depositato controricorso e ricorso incidentale.

7. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 834,934,2033,2038,2043,2934 e 2935 c.c. e dei principi in materia di occupazione illegittima da parte della p.a.; dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, recepito con L. 4 agosto 1955, n. 848 e dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo n. 1. Violazione di legge. Contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, travisamento.

Ad avviso dei ricorrenti la Corte di appello aveva errato nell’affermare che il risarcimento del danno potesse conseguire soltanto laddove l’illecito della p.a. avesse radicalmente ed irreversibilmente trasformato il bene, operando un dualismo tra occupazione appropriativa ed occupazione usurpativa non più attuale alla luce delle modifiche introdotte dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, e della giurisprudenza della Suprema Corte, oltre che della CEDU, applicandosi in entrambi i casi il criterio della liquidazione del danno fondato sul valore venale del fondo occupato.

1.1 Il motivo è fondato.

1.2 L’istituto dell’occupazione appropriativa è stato, come affermato anche dai ricorrenti, considerato dalle Sezioni Unite di questa Corte non conforme con il principio enunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui l’espropriazione deve sempre avvenire in “buona e debita forma”, e, pertanto, superando il pregresso indirizzo conservativo dell’istituto, lo hanno esattamente equiparato a quello della c.d. occupazione usurpativa, caratterizzata dalla mancanza di dichiarazione di pubblica utilità e costituente un illecito a carattere permanente (Cass., Sez. U., 19 gennaio 2015, n. 735).

In entrambi i casi, resta, dunque, esclusa l’acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, e va riconosciuto al proprietario, rimasto tale nonostante la manipolazione, illecita, del bene da parte dell’amministrazione, la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento (a titolo di esempio, restituzione, riduzione in pristino stato dell’immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione), oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell’art. 2043 c.c.. Si tratta, dunque, sempre, di un’ipotesi d’illecito permanente, che viene a cessare, solo, per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente (Cass., 29 settembre 2017, n. 22929).

1.3 Più specificamente, questa Corte ha affermato che l’occupazione appropriativa e l’occupazione usurpativa sono caratterizzate l’una dall’irreversibile trasformazione del fondo in assenza del decreto di esproprio, e l’altra dalla trasformazione in mancanza, originaria o sopravvenuta, della dichiarazione di pubblica utilità e che la riduzione dell’occupazione appropriativa al rango di illecito aquiliano di diritto comune rende superata la distinzione di essa dall’occupazione usurpativa, giacchè in entrambi i casi ci si trova in presenza di una condotta illecita della P.A. che spoglia il privato della proprietà di un bene in esecuzione di una condotta materiale che, indipendentemente dall’esistenza o meno di una pregressa dichiarazione di pubblica utilità, non determina alcun trasferimento della proprietà in capo all’Amministrazione, ma genera solo una responsabilità risarcitoria di questa per i danni procurati e con l’ulteriore corollario che è stata eliminata ogni differenza pratica tra le due forme di illecito, considerate entrambe a carattere permanente ed improduttive, anche nel caso della presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, dell’acquisizione del bene occupato alla mano pubblica ed è venuta meno la rilevanza del connotato distintivo tra le due azioni, come in passato configurate dalla giurisprudenza, con la conseguenza che la causa petendi giuridicamente significativa è rappresentata in entrambi i casi dalla occupazione illegittima, mentre l’abbandono della proprietà è obiettivamente implicito nella richiesta di risarcimento dei danno per equivalente (Cass., 9 aprile 2015, n. 7137).

Inoltre, nel giudizio di risarcimento del danno derivante dalla occupazione e trasformazione irreversibile di un fondo senza titolo, la qualificazione in primo grado della domanda risarcitoria come di accessione invertita (o occupazione cd. acquisitiva) non esclude l’ammissibilità di una riqualificazione della stessa in occupazione usurpativa da parte dell’attore in sede di appello, atteso che la presenza o meno della dichiarazione di pubblica utilità non è in grado di differenziare le due forme di illecito, entrambe a carattere permanente ed improduttive di effetti giuridici, poichè non comporta l’acquisizione del bene occupato alla mano pubblica, nè incide sulla “causa petendi” giuridicamente significativa, rappresentata in entrambi i casi dalla occupazione illegittima (Cass., 9 aprile 2015, n. 7137, citata).

Con la conseguenza, pure affermata da questa Corte, dell’ammissibilità della riqualificazione della domanda da parte del giudice, nel caso di proposizione dell’azione di risarcimento del danno in conseguenza di occupazione usurpativa, anche da parte del giudice, come relativa ad una occupazione appropriativa, in quanto entrambe fonte di responsabilità risarcitoria della P.A. secondo i principi di cui all’art. 2043 c.c., e che, in ogni caso, il rilievo di una errata qualificazione della domanda non ha oramai più ragion d’essere, di modo che nessun addebito, quando mai si fosse ritenuto ravvisabile alla stregua di una diversa qualificazione giuridica dei fatti e dei rapporti dedotti in lite che la norma testè citata rende sempre possibile, può perciò muoversi alla sentenza impugnata in relazione alla norme rubricate (Cass., 23 maggio 2018, n. 12846; Cass., 24 luglio 2012, n. 12943).

1.4 Anche nell’ipotesi di occupazione usurpativa caratterizzata dalla mancanza di dichiarazione di pubblica utilità e costituente un illecito a carattere permanente resta, dunque, esclusa l’acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, e va riconosciuto al proprietario – rimasto tale nonostante la manipolazione, illecita, del bene da parte dell’amministrazione – la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell’immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione ecc.), oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell’art. 2043 c.c.; trattandosi, dunque, sempre, di un’ipotesi d’illecito permanente, lo stesso viene a cessare, solo, per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente (Cass., 2018, n. 12961, citata).

1.5 Tanto premesso, i ricorrenti, nello specifico, lamentano che la Corte abbia errato nel rigettare la domanda di risarcimento danni sul presupposto che la p.a. avesse agito senza la previa dichiarazione di pubblica utilità; che si era, quindi, in presenza di un mero comportamento a cui non poteva essere ricollegata alcuna utilità pubblica formalmente dichiarata e che non vi era stata alcuna trasformazione irreversibile del bene, unico presupposto che avrebbe legittimato il risarcimento del danno.

1.6 La Corte territoriale ha, quindi, errato nel dare rilevo ad un comportamento a cui non poteva essere ricollegata alcuna utilità pubblica formalmente dichiarata, dovendosi ribadire che la presenza della dichiarazione di pubblica utilità non è in grado di differenziare tale forma di illecito da quella in cui la dichiarazione anzidetta è assente, e ancor più ha errato laddove ha affermato, che non vi era stata alcuna trasformazione irreversibile del bene, unico presupposto che avrebbe legittimato il risarcimento del danno.

1.7 Ed infatti, si legge nella stessa sentenza che le particelle (OMISSIS) erano state destinate, come emergeva anche da riscontri fotografici, a verde pubblico e in particolare sulla particella (OMISSIS) era stato realizzato dall’Amministrazione comunale un percorso pedonale; mentre le particelle (OMISSIS) erano sempre state manutenute ed attrezzate a verde mediante un idoneo arredo urbano e sulle stesse era stato progettato il cosiddetto “(OMISSIS)” consistente in un camminamento centrale pedonale e un sentiero in ghiaietto, che si distendeva sinuosamente lambendo gli alberi esistenti e i suddetti percorsi erano corredati di panchine per la sosta e di pali per l’illuminazione (pagine 7 e 8 del provvedimento impugnato).

La Corte territoriale, inoltre, per le quattro particelle, ha dato atto che il consulente tecnico aveva ritenuto essersi verificato una occupazione e un uso dei suoli da parte dell’Amministrazione comunale, salvo poi precisare (errando) che detta occupazione non configurava alcuna irreversibile trasformazione dei suoli.

Ne deriva che le particelle in esame, come messo in evidenza dai ricorrenti, sono state effettivamente occupate dal Comune di Potenza che ha realizzato su di esse un percorso pedonale; mentre le particelle (OMISSIS) sono state utilizzate come aree a verde pubblico e sempre manutenute e attrezzate a verde da parte del Comune mediante specifico arredo urbano, oltre che destinatarie di un progetto esecutivo approvato con determina dirigenziale che aveva previsto la realizzazione dell'(OMISSIS), con camminamenti pedonali, sentieri, panchine per la sosta e pali per l’illuminazione.

La Corte, quindi, deve tenere conto, ai fini della determinazione del risarcimento dei danni, anche di dette particelle.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 834,934,2033,2038,2043,2055 c.c. e dei principi in materia di occupazione illegittima da parte della p.a.; dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, recepito con L. 4 agosto 1955, n. 848 e dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo n. 1. Violazione di legge.

I ricorrenti affermano che la sentenza impugnata è errata nella parte in cui ha ritenuto che sarebbe emersa l’estraneità del Comune di Potenza alla vicenda occupativa di fatto riguardante le particelle (OMISSIS), così violando i principi in materia di collaborazione di più enti alla occupazione illegittima e che l’attività illegittima da chiunque svolta era fonte di responsabilità per gli autori tenuti al relativo risarcimento.

2.1 Il secondo motivo è fondato nei limiti qui di seguito precisati.

2.2 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, resa anche a sezioni Unite, il fatto generatore del danno è costituito dalla condotta illecita del soggetto che ha appreso gli immobili senza alcun titolo e/o che senza il necessario titolo li ha irreversibilmente trasformati mantenendone la detenzione abusiva ed irreversibile senza più rimettere i beni nella disponibilità dei proprietari ed il nesso di causalità con l’evento dannoso è ravvisato, alla stregua dell’art. 2043 c.c., esclusivamente in relazione al contenuto dell’attività lesiva suddetta nonchè all’attitudine di questa a produrre danno, che perdura nel tempo, sino a quando permanga la situazione illegittima posta in essere e nella quale si concreta un’ininterrotta violazione dell’interesse dei proprietari a goderne e disporne entro i limiti riconosciuti dall’art. 832 c.c. (Cass., Sez. U., 23 novembre 2017, n. 24397/2007; Cass., 6 aprile 2012, n. 5630).

Questa Corte ha, dunque, ribadito ancora una volta il principio che “colui che ha proceduto alla materiale apprensione del bene, al compimento delle attività anche giuridiche necessarie a tal fine, nonchè all’esecuzione dell’opera pubblica, sia delegato ovvero concessionario o semplice appaltatore, riveste la titolarità passiva del rapporto obbligatorio collegato all’illecito dalla stessa provocato, dato il carattere personale delle relativa responsabilità che riverbera i suoi effetti anzitutto su chi agisce per realizzare tale risultato, con la conseguenza che a tale soggetto, non è dunque consentito invocare la non imputabilità in ordine alle cause d’illegittimità della procedura espropriativa, così come alla mancata o ritardata pronuncia del decreto ablativo, anche quando sia dipesa da omissione o inerzia di altro ente, in quanto nel comportamento di chi conserva l’occupazione dell’immobile senza titolo e persevera nell’esecuzione dell’opera, pur essendo, come nella specie è rimasto accertato, a conoscenza della prospettata illegittimità dell’occupazione, possono individuarsi tutti gli elementi della responsabilità aquiliana: la condotta attiva od omissiva, l’elemento psicologico della colpa, il danno, il nesso di causalità tra condotta e pregiudizio; e non è possibile per le medesime ragioni neppure trasferire la responsabilità dell’illegittima vicenda ablatoria in capo all’ente beneficiario o destinatario dell’opera pubblica inglobante quel fondo, ovvero a quello che per legge o per atto amministrativo ne diviene proprietario” (Cass., 29 settembre 2017, n. 22929; Cass., 10 aprile 2013, n. 8692).

2.3 Ciò posto, la Corte territoriale, in relazione alle particelle (OMISSIS), richiamando le risultanze peritali, ha evidenziato che le particelle (OMISSIS) erano residuate a seguito della costruzione da parte dell’ex Genio Civile di n. 56 alloggi in dipendenza dei lavori di risanamento della Città di Potenza, giusta Decreto di esproprio definitivo del Prefetto di Potenza del 10 aprile 1970 e che anche la particella (OMISSIS) era stata occupata e irreversibilmente trasformata con l’inizio della costruzione, da parte dell’ex Genio Civile di Potenza, della Scuola Media (OMISSIS), giusta Decreto di occupazione del Prefetto di Potenza del 13 luglio 1972.

E, tuttavia, mentre la particella (OMISSIS), dalla sentenza impugnata (pag. 3) risulta essere stata condotta e coltivata da tale sig. Lu.Vi.; diversamente deve argomentarsi con riferimento alle altre due particelle, la (OMISSIS).

Difatti, la particella (OMISSIS), come afferma la stessa Corte (pag. 7) ed anche la CTU (pag. 6 della CTU Sabia, richiamata a pag. 12 del controricorso) risulta occupata dalla Scuola Media (OMISSIS), mentre la particella n. (OMISSIS) risulta essere area destinata a verde che, data la sua prospicienza a valle su un marciapiede pubblico, è periodicamente oggetto di interventi di manutenzione (sfalcio di erba, potatura di rami, ecc.) da parte dell’Amministrazione comunale (pag. 8, punto E della CTU S., richiamata a pag. 11 del controricorso). Ha, quindi, errato la Corte territoriale nel ritenere l’estraneità dell’Ente territoriale alla vicenda occupativa in esame e che non fosse stato provata l’occupazione delle stesse da parte del Comune di Potenza, ciò emergendo dalle risultanze della CTU espletata nel giudizio.

Ne consegue che la Corte deve tenere conto, ai fini della determinazione del risarcimento dei danni, anche delle particelle (OMISSIS).

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 359 del 1992; l’erronea valutazione, l’illogicità della motivazione; la violazione dell’art. 2697 c.c.; la violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, recepito con L. 4 agosto 1955, n. 848 e dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo n. 1. Violazione di legge.

Assumono i ricorrenti che la Corte di appello aveva errato nel ritenere la particella (OMISSIS) fondo agricolo, nonchè a ritenere che non sarebbe stata fornita la prova di preesistenti manufatti edificati, con ciò non considerando la vicinanza al centro abitato e ai servizi pubblici essenziali.

3.1 Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

3.2 La Corte di appello, infatti, con un apprezzamento di fatto, incensurabile in questa sede, ha affermato che la particella n. (OMISSIS) ricadeva in parte in zona “B” sottoposta a vincolo di conservazione dei volumi attuali e in parte su sede stradale di P.R.G. e che la stessa doveva essere valutata quale fondo agricolo, perchè l’art. 14 nelle NN.TT.A, allegate al P.R.G. della Città di Potenza del 1971, ammetteva la demolizione e la ricostruzione dei singoli edifici a condizione che non venisse superata la cubatura originaria e fossero rispettate le distanze regolamentari e gli eventuali nuovi allineamenti prescritti.

3.3 Inoltre, con una ragione del decidere che non è stata nemmeno questa volta specificamente censurata dai ricorrenti, la Corte territoriale ha precisato che i proprietari (ricorrenti) non avevano allegato la presenza di singoli edifici che potevano essere oggetto di demolizione e ricostruzione, circostanza che da sola, proprio in ragione della disciplina urbanistica, legittimava la qualificazione del suolo come edificatorio.

In ogni caso, i giudici di secondo grado, hanno determinato il valore dei fondi in questione, richiamando la valutazione operata nella CTU di altro giudizio (in vecchie Lire 4.000/mq, pari ad Euro 2,07), stabilito per fondi omogenei per la collocazione e per la destinazione, fissando il valore venale in un terzo del valore di terreni edificatori, quindi applicando un valore non corrispondente al valore agricolo.

Così facendo, peraltro, come si legge nella sentenza impugnata, era stato stabilito “un valore che intercettava da un lato il consenso dell’Ente appellato e dall’altro la collocazione dei fondi all’interno del perimetro urbano” (pag. 16 del provvedimento impugnato).

4. In ragione dell’accoglimento del primo motivo e del secondo motivo, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso incidentale proposto dal Comune di Potenza, affidato ad un unico motivo, con il quale l’Ente territoriale lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e art. 92 c.p.c. e dei principi della soccombenza e del giusto processo, deve ritenersi assorbito.

5. In conclusione, vanno accolti il primo motivo e il secondo motivo, nei limiti di cui in motivazione, del ricorso principale e rigettato il terzo; il ricorso incidentale va ritenuto assorbito; la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il terzo; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e nei limiti di cui in motivazione, e rinvia alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

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