Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5342 del 22/02/2019

Cassazione civile sez. I, 22/02/2019, (ud. 09/11/2018, dep. 22/02/2019), n.5342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20371/2016 proposto da:

Credito Emiliano S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Dardanelli n. 46,

presso lo studio dell’avvocato Venuti Giuseppina, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Reggiani Roberto, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Società (OMISSIS) S.a.s., in persona dei legali rappresentanti pro

tempore, nonchè R.G. e R.M. in proprio quali

soci accomandatari, elettivamente domiciliati in Roma, Viale delle

Medaglie d’Oro n. 157, presso lo studio dell’avvocato Saulle

Francesco, rappresentati e difesi dall’avvocato Benussi Alessandro,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

Fallimento della Società (OMISSIS) S.a.s. e dei soci illimitatamente

responsabili R.G. e R.M., in persona del

curatore Fallimentare rag. L.B., domiciliato in Roma,

Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Barbieri Carlo,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 769/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

pubblicata il 12/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2018 dal Cons. Dott. Paola VELLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento;

udito, per il controricorrente Fallimento, l’Avvocato Carlo Barbieri

che ha chiesto l’accoglimento dei propri scritti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Brescia ha revocato il fallimento della Società (OMISSIS) s.a.s., nonchè dei soci illimitatamente responsabili R.G. e R.M., dichiarato dal Tribunale di Mantova su ricorso del Credito Emiliano S.p.a., ritenendola impresa agricola non fallibile ai sensi della L. Fall., art. 1, comma 1.

2. Il giudice d’appello ha accertato, anche sulla base della c.t.u. espletata in primo grado: 1) che la Società (OMISSIS) s.s., trasformatasi nel 2013 in s.a.s., avente come oggetto sociale “l’esercizio esclusivo delle attività agricole previste dall’art. 2135 c.c.”, nel 1997 affittò alla neocostituita Azienda Agricola Vitivinicola Ridello S.r.l. un ramo di azienda per lo svolgimento delle attività di lavorazione e commercio di vini; 2) che, risolto tale contratto in data 21/05/2013, il ramo di azienda venne affittato in data 01/06/2013 alla neo costituta “Tenuta Corte Ridello S.r.l.”; 3) che “nel periodo dal 2011 al 2015, preso in esame, la società aveva svolto sui terreni di proprietà attività di natura agricola con la coltivazione dell’uva e poi del kiwi e la cessione di tutta la produzione di uva alle cessionarie dei rami di azienda, ma che dall’ultimo trimestre 2012 la società debitrice aveva intrapreso anche l’attività di lavorazione e commercio di vini oltre che, in via residuale, la commercializzazione di olio extra vergine di oliva ed aceto balsamico, attraverso l’utilizzo del ramo di azienda oggetto di affitto senza ulteriori investimenti”; 4) che “tale attività di commercializzazione era cessata completamente a fine luglio 2013 ed era caratterizzata da un volume di affari superiore a quello della attività agricola (nel 2012 il 56,95% contro il 43,07%; nel 2013 il 79,22% contro il 20,78%)”.

3. Alla luce di quanto accertato, la Corte territoriale ha ritenuto quindi “corretta la qualificazione come commerciale delle attività svolte dal 2013 (recte 2012) sino a luglio 2013” – e perciò “provato che la società debitrice ha svolto dal 2012 al 2013 attività commerciale non compatibile con la qualifica di imprenditore agricolo” – in quanto: a) non risultava comprovata la tesi che si trattasse di prodotti originariamente acquistati in toto dalla Azienda (OMISSIS) S.a.s., essendo anzi pacifico che “per la lavorazione erano stati usati per il taglio prodotti di terzi” e che comunque erano di provenienza di altri produttori sia l’olio sia l’aceto balsamico”; b) “nel periodo dal 2012 al 2013 la debitrice aveva acquistato a sua volta vino da soggetti diversi dalla Azienda Vitivinicola Ridello s.r.l.” e la dedotta inerenza di tali acquisti alle necessità della produzione era stata “meramente prospettata e non approfondita”; c) le censure ai criteri di valutazione adottati dal c.t.u. per calcolare il volume di affari erano “generiche, e quindi non valorizzabili”. Tuttavia, ha escluso che la società potesse essere assoggettata a fallimento, in quanto all’epoca della domanda di fallimento (18/06/2015) essa non svolgeva più attività commerciale, avendola cessata nel luglio 2013, senza che la concessione in affitto del ramo d’azienda potesse essere equiparata all’esercizio dell’attività stessa.

4. Riteneva infine che il prospettato “abuso del diritto (…) nell’ambito sinergico del gruppo” mancasse di indicazioni precise, non avendo il creditore istante “fornito indizi circostanziati atti ad avvalorare la tesi di una intermediazione fittizia della Tenuta Corte Ridello S.r.l. nello svolgimento di attività commerciale”.

5. Avverso detta sentenza Credito Emiliano S.p.a. ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui la Società (OMISSIS) S.a.s. e i soci accomandatari hanno resistito con controricorso. La curatela fallimentare ha proposto “controricorso adesivo”, corredato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della procura speciale, in quanto rilasciata in calce ad esso, con data anteriore e senza specifico riferimento al giudizio di legittimità.

1.1. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione, è, per sua natura, speciale e non richiede alcuno specifico riferimento al processo in corso, sicchè è irrilevante la mancanza di un espresso richiamo al giudizio di legittimità ovvero che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al procedimento di merito” (Sez. 6-2, 01/09/2014 n. 18468; conf. Sez. 6-3, 22/01/2015 n. 1205).

1.2. E’ stato altresì chiarito che, “ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, sotto il profilo della sussistenza della procura speciale in capo al difensore iscritto nell’apposito albo, è essenziale che la procura sia conferita in epoca anteriore alla notificazione del ricorso, che investa il difensore espressamente del potere di proporre quest’ultimo e che sia rilasciata in epoca successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione; ove sia apposta a margine del ricorso, tali requisiti possono desumersi, rispettivamente, quanto al primo, dall’essere stata la procura trascritta nella copia notificata del ricorso, e, quanto agli altri due, dalla menzione della sentenza gravata risultante dall’atto a margine del quale essa è apposta, restando, invece, irrilevante che la procura sia stata conferita in data anteriore a quella della redazione del ricorso e che non sia stata indicata la data del suo rilascio, non essendo tale requisito previsto a pena di nullità” (Sez. 2, 17/03/2017 n. 7014).

1.3. Nel caso di specie, la procura speciale risulta conforme ai requisiti suddetti, in quanto rilasciata in calce al ricorso, in epoca anteriore alla sua notificazione e posteriore alla pubblicazione della sentenza impugnata, con mandato difensivo a difensore iscritto nell’apposito albo e con elezione di domicilio in Roma.

2. Il primo motivo di ricorso è rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 2135,2195 c.c. e L. Fall., art. 1. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

2.1. Secondo il ricorrente, il giudice d’appello avrebbe erroneamente affermato che “non sarebbe sufficiente il compimento di attività commerciale… se la stessa attività non risultasse presente al momento determinante della presentazione della domanda di fallimento”, dovendosi al contrario ritenere che, “nel caso in cui venga verificato, in concreto, la sussistenza dell’esercizio di attività commerciale… il relativo accertamento appare irreversibile e definitivo ai fini dell’assoggettamento alle norme fallimentari”. Così opinando, peraltro, la Corte territoriale avrebbe affermato un “principio privo di qualsivoglia riscontro normativo negli artt. 2135 e 2195 c.c. e quindi di pura creazione e viziato da una illogica disparità di trattamento in forza della quale l’imprenditore commerciale sarebbe soggetto al fallimento a causa della semplice iscrizione nel registro delle imprese, al contrario dell’imprenditore agricolo il quale sarebbe per ciò solo, con l’iscrizione nella sezione speciale delle imprese agricole, escluso dal fallimento fatta salva la prova contraria spettante all’istante il fallimento e con la possibilità di salvarsi comunque “in limine” attraverso la “cessione repentina del ramo d’azienda commerciale”.

3. Il motivo è fondato, nei termini che si vanno ad illustrare, limitatamente al profilo della violazione di legge, mentre la contestuale censura motivazionale è inammissibile poichè, per le sentenze pubblicate – come quella in esame – dopo l’11 settembre 2012, non è più denunziabile il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, avendo la nuova disposizione attribuito rilievo solo all’omesso esame di un determinato e ben individuato fatto storico decisivo, che sia stato oggetto di discussione tra le parti (Sez. U, 23/01/2015 n. 1241; conf. ex plurimis, Cass. n. 7472 del 2017, n. 19761 del 2016 e n. 13928 del 2015).

3.1. In fatto, dagli atti di causa si evince sommariamente che la vicenda riguarda un’impresa agricola operante dal 1957 come società semplice (Società (OMISSIS) s.s.) che nel 1997 affittò un ramo di azienda per lo svolgimento di attività di lavorazione e commercio di vini – continuando a svolgere esclusivamente attività agricola (coltivazione di uva e kiwi) – ad una società costituita dai soci R.G. e M. (la Azienda Agricola Vitivinicola Ridello S.r.l.), la quale nell’ottobre 2012 entrò in crisi e venne messa in liquidazione; a quel punto la società semplice riacquisì detto ramo d’azienda e lo esercitò fino ad agosto 2013; frattanto, dopo essersi iscritta a gennaio 2013 nel registro delle imprese come società in accomandita semplice (Società (OMISSIS) S.a.s.), in data 21/05/2013 risolse il vecchio contratto di affitto di ramo d’azienda commerciale, per affittarlo nuovamente, in data 01/06/2013, ad altra s.r.l., ad essa sempre collegata (Tenuta Corte Ridello S.r.l.). Ad ottobre 2012 l’esposizione debitoria maturata nei confronti del Credito Emiliano S.p.a. ammontava a circa un milione e mezzo di Euro, per mancato pagamento delle rate previste dal contratto di mutuo, che nell’agosto del 2013 venne risolto, con revoca delle linee di credito; seguì in data 18/06/2015 la richiesta di fallimento da parte dell’odierno ricorrente.

3.2. Come sopra anticipato, sulla base dell’espletata c.t.u. la Corte d’appello, pur rilevando che l’oggetto sociale della debitrice consisteva nell'”esercizio esclusivo delle attività agricole previste dall’art. 2135 c.c.” (come da art. 3 dell’atto di trasformazione in s.a.s. del 23/01/2013 riportato in sentenza), ha accertato in fatto con statuizioni non specificamente impugnate in questa sede – che da ottobre 2012 a luglio 2013 la Società (OMISSIS) S.a.s. ha svolto attività commerciale, per giunta in via prevalente su quella agricola (v. pag. 8 e s. della sentenza impugnata).

3.3. Ebbene, in un simile quadro fattuale, non è condivisibile l’affermazione del giudice a quo per cui la cessazione dello svolgimento di detta attività commerciale al momento del deposito del ricorso per dichiarazione di fallimento escluderebbe ex sè la fallibilità della società tornata a svolgere attività agricola.

3.4. In primo luogo, questa Corte ha da tempo chiarito che il principio “secondo il quale l’attività agricola svolta dall’impresa sottrarrebbe questa al fallimento anche laddove l’attività commerciale fosse svolta in misura prevalente rispetto alle attività agricole tipizzate dall’art. 2135 c.c., comma 1, si pone in manifesto contrasto con il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, che vuole soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale. La sottrazione dell’impresa agricola, nella definizione che ne da l’art. 2135 c.c., al fallimento, dunque, non può essere intesa nel senso che lo svolgimento di un’attività agricola porrebbe al riparo dal fallimento l’impresa che svolgesse, parallelamente, un’attività di carattere commerciale” (Sez. 1, 17/07/2012 n. 12215).

3.5. In secondo luogo, lo stesso Giudice delle Leggi ha affermato che “l’iscrizione di un’azienda nel registro delle imprese con la qualifica di impresa agricola non impedisce di accertare lo svolgimento effettivo e concreto di un’attività commerciale rientrante nei parametri di cui all’art. 1 della legge fallimentare” (Corte cost. n. 104 del 2012; conf. Cass. Sez. 1, 10/12/2005 n. 24995).

3.6. Di recente è stato poi ricordato che “con orientamento assolutamente costante questa Corte da anni va ripetendo che le società costituite nelle forme previste dal codice civile e aventi a oggetto un’attività commerciale sono assoggettabili a fallimento, indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività, “in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attività d’impresa, al contrario di quanto avviene per l’imprenditore commerciale individuale”; sicchè “mentre quest’ultimo è identificato dall’esercizio effettivo dell’attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l’assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile, per l’impresa non collettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale” (v. ex aliis Cass. n. 28015-13, Cass. n. 21991-12)” (Sez. 1, 26/09/2018 n. 23157).

3.7. E’ stato altresì chiarito “che l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento viene meno ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attività con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all’art. 2135 c.c., comma 3, assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, gravando su chi invochi l’esenzione, sotto il profilo della connessione tra la svolta attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli e quella tipica di coltivazione ex art. 2135, comma 1, il corrispondente onere probatorio (Cass. n. 16614-16); in sostanza, l’esonero dall’assoggettamento alla procedura fallimentare dell’imprenditore agricolo non può ritenersi incondizionato, venendo meno quando sia insussistente, di fatto, il collegamento funzionale con la terra intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all’art. 2135, assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura”; con la precisazione che “l’apprezzamento concreto della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività commerciali e agricole e della prevalenza di queste ultime, da condurre alla luce dell’art. 2135 c.c., comma 3, è rimesso al giudice di merito, restando insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata, immune da vizi logici; e va negata la qualità di impresa agricola quando non risulti la diretta cura di alcun ciclo biologico, vegetale o animale, pur se debba ritenersi superata una nozione meramente “fondiaria” dell’agricoltura, basata unicamente sulla centralità dell’elemento terriero (cfr. Cass. n. 24995-10)” (Sez. 1, 26/09/2018n. 23158).

3.8. Alla luce dei richiamati insegnamenti di questa Corte, e tenuto conto del chiaro disposto della L. Fall, ‘art. 1, comma 1 – per cui “sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici” – deve dunque affermarsi che, una volta accertato in sede di merito l’esercizio in concreto di attività commerciale, in misura prevalente sull’attività agricola contemplata in via esclusiva dall’oggetto sociale di un’impresa agricola costituita in forma societaria, questa resta assoggettabile a fallimento nonostante la sopravvenuta cessazione dell’esercizio di detta attività commerciale prevalente al momento del deposito di una domanda di fallimento a suo carico.

4. Con il secondo mezzo – rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 2135, 2195 2697 e art. 115 c.p.c. e L. Fall., art. 1. Abuso del diritto” – si contesta l’affermazione del giudice d’appello per cui la prospettazione dell’abuso del diritto mancherebbe di indicazioni precise e “indizi circostanziati atti ad avvalorare la tesi di una intermediazione fittizia della società Tenuta Corte Ridello srl nello svolgimento di attività commerciale che sarebbe invece riferibile direttamente alla reclamante”; si deduce inoltre che, a fronte dell’accertamento dell’esercizio di attività commerciale, la Società Agricola e Vitivinicola Ridello “avrebbe dovuto provare ugualmente (come gli altri) e senza inversione alcuna dell’onere della prova, il mancato raggiungimento delle soglie di cui alla L. Fall., art. 1”.

4.1. Il motivo è assorbito dall’accoglimento del motivo precedente.

5. La sentenza va quindi cassata con rinvio, in accoglimento del primo motivo, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2019

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