Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5341 del 18/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 18/02/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 18/02/2022), n.5341
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15406-2021 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FOSSO DI
SANTA MAURA, 136, presso lo studio dell’avvocato DONATELLO SCIARRA,
che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MO.AL., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VAL DI FASSA
54, presso lo studio dell’avvocato MARIA RITA FELLI, che lo
rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6143/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 04/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 14/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
GRASSO.
Fatto
RITENUTO
che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:
– la Corte d’appello di Roma, accolta l’impugnazione di Mo.Al., rigettò la domanda con la quale M.A. aveva chiesto che ella fosse dichiarata comproprietaria per usucapione d’una area cortilizia;
– appare utile riprendere, in sintesi, le argomentazioni della decisione d’appello: i due germani litiganti avevano provveduto, anni prima, a dividere il compendio immobiliare, loro pervenuto per donazione paterna e per successione “mortis causa” materna, con atto pubblico e l’attrice aveva affermato che per mero errore materiale, riconosciuto anche dal fratello, il cortile in contestazione era stato attribuito per intero al fratello, ulteriormente precisando che la medesima si era sempre comportata come comproprietaria dello stesso, provvedendo ad opere manutentive e innovative; la sentenza di secondo grado, per contro, aveva reputato che i predetti interventi fossero stati dall’appellata messi in atto nella qualità di titolare del diritto di servitù di passaggio sull’area in discorso, nel mentre la stessa non aveva fornito l’inequivoca prova d’un possesso (rectius: compossesso) “uti dominus”;
– avverso la statuizione d’appello ricorre la soccombente appellata sulla base di due motivi, l’intimato resiste con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.
Diritto
CONSIDERATO
che il Collegio condivide i rilievi enunciati dal Relatore in seno alla formulata proposta nei termini seguenti:
“1. Con i due motivi, fra loro correlati, la ricorrente denuncia violazione e/ o falsa degli artt. 1140,1141,1142,1144,1164,1165,1027,1065 e 1063 c.c., dell’art. 1064c.c., comma 1, dell’art. 1065c.c., dell’art. 1067c.c., comma 1, degli art. 1069 e 2697 c.c.; nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Assume la ricorrente che la sentenza impugnata non aveva fatto corretta applicazione delle norme regolanti la materia. In particolare, non si verteva in una situazione di detenzione, che la parte avrebbe avuto l’onere di tramutare in possesso, stante che la ricorrente aveva goduto dell’area come vera e propria comproprietaria, siccome avrebbe dovuto trarsi dall’istruttoria (evoca le assunzioni testimoniali e l’interrogatorio formale, ma della stessa attrice, tuttavia). Le opere effettuate erano del tutto incompatibili con la titolarità della sola servitù di passaggio, a mente delle norme richiamate, e si giustificavano solo con l’esercizio del pino possesso “uti dominus”.
Sotto altro profilo, la Corte di Roma aveva erroneamente apprezzato le risultanze probatorie (la ricorrente ne riporta in sintesi), che militavano, a suo dire, nel senso auspicato.
2. L’insieme censuratorio non supera il vaglio d’ammissibilità.
Anche ad ammettere che le opere di cui si discute (pavimentazione, recupero muri ed altro) fossero esuberanti rispetto alla finalità di assicurare l’esercizio e la conservazione della servitù, ciò non implica che debba, per automatismo improprio, reputarsi che si tratti d’inequivoca prova di signoria “uti dominus”. Le migliorie e le opere ben possono essere state autorizzate, se non anche sollecitate dal proprietario o, comunque, da costui tollerate; di talché, la valutazione di tali interventi non può che essere e ettuato alla luce delle complessive emergenze probatorie di causa.
Come noto una tale valutazione è insindacabilmente rimessa al giudice del merito.
Nella sostanza, peraltro neppure e efficacemente dissimulata, il complesso censuratorio investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero di foste d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Seti 6-1, n. 27000, 27 /12/ 2016, Ril. 642299).
Attraverso la denunzia di violazione di legge la ricorrente sollecita – non determinando essa, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S. U. n. 25573, 1211112020, Rv. 659459). Nella sostanza il ricorrente, sotto l’usbergo dell’asserita violazione di legge la M. insta per un inammissibile riesame di merito, peraltro al di là delle ipotesi contemplate dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5.
L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “datò, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultante probatorie (S. U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831). Per contro la ricorrente qui invoca, come si è anticipato, un complessivo riesame del vaglio istruttorio.
Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti””.
Le valutazioni sopra riportate debbono riconfermarsi nonostante gli ulteriori sforzi argomentativi di cui alla memoria della ricorrente; in particolare, la pretesa di veder scrutinate le asserite violazioni di legge, siccome precisato nella proposta, presuppone un’alternativa ricostruzione del fatto, in questa sede non operabile.
Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore del controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022