Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5340 del 05/03/2010
Cassazione civile sez. I, 05/03/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 05/03/2010), n.5340
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –
Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 6628-2008 proposto da:
G.D. (C.F. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;
– intimata –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il
26/04/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/11/2009 dal Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto depositato in data 26.4.2007 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 proposta da G.D. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio dal medesimo promosso con ricorso depositato il 10.12.1997 avanti al TAR della Campania per ottenere il riconoscimento di pretesi diritti maturati nell’ambito del rapporto di lavoro intrattenuto con il Comune di Portici e definito con sentenza in data 1.3.2005 – riteneva non ragionevole il periodo eccedente gli anni tre, vale a dire anni quattro e mesi tre, e liquidava a titolo di danno non patrimoniale la somma di Euro 800, 00 per ogni anno di durata del procedimento e così complessivamente Euro 3.400,00 oltre agli interessi dalla domanda.
Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione G. D. che deduce dodici motivi di censura.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto alcuna attività difensiva
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso G.D. denuncia violazione dell’art. 6, par. 1 della C.E.D.U. e della Legge 89/01.
Lamenta che la Corte d’Appello non abbia tenuto conto dei parametri Europei sia per quanto riguarda la determinazione dell’indennizzo fissata in una somma oscillante fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per ogni anno di ritardo che per quanto concerne la liquidazione delle spese. Deduce inoltre che erroneamente non ha riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 pur in presenza di una causa di lavoro.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della C.E.D.U., ribadendo che la Corte d’Appello non si è attenuta alla giurisprudenza della Corte Europea per quanto riguarda i parametri minimi fissati nella misura di Euro 1.500,00 per ogni anno di ritardo.
Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione della C.E.D.U., lamenta che la Corte d’Appello, senza alcuna motivazione, non abbia riconosciuto un “bonus” di Euro 2.000,00 nonostante il giudizio presupposto avesse riguardato la materia di lavoro.
Con il sesto motivo il ricorrente deduce che la Corte d’Appello non si è adeguata alla giurisprudenza Europea per quanto riguarda la liquidazione delle spese.
Con il settimo motivo il “ricorrente avvocato” deduce che la Corte d’Appello ha liquidato le spese in misura insufficiente in violazione dell’art. 6 della C.E.D.U e dell’art. 1 del Protocollo Addizionale.
Con l’ottavo, il nono, il decimo e l’undicesimo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello senza alcuna motivazione non abbia applicato, nella liquidazione delle spese, nè gli “standard” Europei nè le tariffe forensi.
Il ricorso è fondato nei limiti che qui di seguito saranno precisati.
Quanto alla censura con cui si contesta l’entità dell’indennizzo riguardante il danno non patrimoniale, si rileva che la Corte d’Appello, liquidando una somma complessiva di Euro 3.400,00 pari ad Euro 800,00 per ogni anno di durata non ragionevole complessivamente determinata in anni quattro e mesi tre a fronte del protrarsi in anni sette e mesi tre dell’intero procedimento, si è sostanzialmente adeguata ai parametri fissati dalla Corte Europea e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito come una tale valutazione non possa prescindere, in considerazione del rinvio operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 dall’interpretazione della Corte di Strasburgo e debba pertanto uniformarsi, per quanto possibile, alla liquidazione effettuata in casi simili dal giudice Europeo, sia pure con possibilità di apportare, purchè in misura ragionevole, le deroghe suggerite dalla singola vicenda. Dalle decisioni adottate a carico dell’Italia (vedi in particolare la pronuncia sul ricorso n. 62361/01 proposto da R.P. e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Z.) risulta infatti che la Corte Europea ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 il parametro medio annuo per la quantificazione dell’indennizzo.
Orbene, nel caso in esame, l’importo di Euro 800,00 riconosciuto dalla Corte d’Appello per ogni anno di ritardo può considerarsi congruo anche in considerazione del riferimento alla partecipazione meno intensa da parte del ricorrente al giudizio presupposto operato dal decreto impugnato con una valutazione di merito basata sul comportamento processuale della parte che si sottrae al sindacato di questa Corte. Manca del resto una specifica censura volta ad evidenziare nel caso concreto gli elementi che escluderebbero la riduzione operata dalla Corte d’Appello rispetto ai parametri fissati in linea di massima in sede Europea.
Non può condividersi inoltre l’assunto secondo cui, una volta accertata una durata non ragionevole, dovrebbe tenersi conto dell’intero periodo di durata del procedimento, prevedendo espressamente la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, che, ai fini in esame, rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo.
Al riguardo questa Corte ha già sottolineato che, anche se per la Corte Europea l’indennizzo debba essere moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3 secondo cui è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Si è sostenuto infatti che detta diversità di calcolo non tocca la complessa attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e pertanto non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione Europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2 nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; vedi Cass. 8714/06). Del pari non può trovare accoglimento la richiesta di riconoscimento di un “bonus” di Euro 2.000,00 in relazione alla natura della controversia vertente in materia di lavoro, non essendo previsto dalla legislazione nazionale e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarità della fattispecie sulla quale nulla è stato però detto al di là di un generico richiamo al carattere assistenziale della controversia.
Vanno invece accolte le censure riguardanti la liquidazione delle spese del giudizio di merito riconosciute in misura inferiore al dovuto, spese che si distraggono a favore del difensore antistatario e che si liquidano per intero quanto al giudizio di merito e nella misura di un terzo quelle del giudizio di legittimità, da calcolarsi in relazione alla differenza fra le spese liquidate in sede di merito e le stesse riconosciute in questa sede.
L’impugnato decreto deve essere pertanto cassato in relazione alle censure accolte.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte. Conferma la condanna della Presidenza del Consiglio al pagamento della somma di Euro 3.400,00 oltre agli interessi dalla domanda. Condanna la Presidenza del Consiglio al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida per l’intero, quanto al giudizio di merito, in Euro 378,00 per diritti, in Euro 445,00 per onorario ed in Euro 50,00 per spese oltre accessori di legge e nella misura di un terzo quanto al giudizio di legittimità, che liquida in Euro 80,00 per onorario ed in Euro 30,00 per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010