Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5340 del 02/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 02/03/2017, (ud. 27/01/2017, dep.02/03/2017),  n. 5340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27975/2013 proposto da:

R.P., (OMISSIS), con l’amministratore di sostegno

V.G.S. elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 6,

presso lo studio dell’avvocato RENATO MACRO, rappresentato e difesa

dagli avvocati MASSIMO FORGIONE, MARIA CRISTINA FORGIONE;

– ricorrente –

contro

GRIFFINI TRISTANO S.r.l., c.f. (OMISSIS), in persona

dell’Amministratore Unico legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo

studio dell’avvocato CRISTINA DELLA VALLE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MARIO LAVATELLI;

P.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

DOMENICO PETRACCA, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ANTONIO LINGERI, LUCIA BISCATTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1905/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato RENATO MACRO, con delega dell’Avvocato MARIA

CRISTINA FORGIONE difensore della ricorrente, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CRISTINA DELLA VALLE, difensore della Società

controricorrente, che ha depositato nota spese ed ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA SOLFANELLI, con delega dell’Avvocato NICOLA

DOMENICO PETRACCA difensore del Sig. P., che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Con atto di citazione notificato il 28.1.2005, R.P. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Como, la Griffini Tristano s.r.l., impresa edile, ed il geom. P.R., direttore dei lavori, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito della rottura della pavimentazione posata sopra al massetto realizzato dalla società convenuta senza i dovuti irrigidimenti.

L’impresa edile Griffini s.r.l. si costituiva in giudizio, formulando una serie di eccezioni preliminari.

Si costituiva altresì il geom. P., domandando, in via principale, il rigetto delle domande formulate dall’attrice e, in via subordinata, per l’eventualità in cui il primo giudice avesse ritenuto la responsabilità dei convenuti, accertarsi, quanto alla propria, che la stessa aveva inciso in misura minima rispetto a quella della ditta appaltatrice.

Con sentenza n. 440/12 del 29.3.2012, il Tribunale di Como rigettava le domande di R.P. e compensava tra le parti le spese di lite, ponendo per intero le spese di CTU a carico all’attrice.

Con atto notificato il 24.10.2012 R.P. impugnava detta sentenza, chiedendone la riforma ed eccependo, in primo luogo, che la sentenza non aveva vagliato i risultati dell’istruttoria e, in secondo luogo, che la CTU non era stata esaustiva – a causa dei mancati chiarimenti, precisazioni e integrazioni pur sollecitati dalla parte, ma non disposti dal giudice, che avrebbero condotto ad escludere la responsabilità sia del direttore di lavori sia dell’impresa appaltatine.

La Griffini s.r.l., costituendosi, chiedeva, in via preliminare che fossero dichiarati inammissibili l’appello, ex art. 342 c.p.c. e la domanda di cui all’art. 1669 c.c., ex art. 345 c.p.c.; nel merito, chiedeva il rigetto dell’appello e la conferma dell’impugnata sentenza, ad esclusione della parte in cui aveva compensato le spese di lite, capo per il quale formulava apposito appello incidentale; in via subordinata, chiedeva la declaratoria di carenza di interesse ad agire dà parte dell’appellante, la propria carenza di legittimazione passiva, la decadenza e/o la prescrizione dell’azione principale intentata dall’appellante e la decadenza di quella proposta dal geom. P..

Si costituiva altresì il geom. P.R., chiedendo, in via preliminare, una pronuncia di inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. e, nel merito, il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 1905/2013 del 9.5.2013, ha, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannato la R. al pagamento, in favore della Griffini Tristano s.r.l. e di P.R., delle spese di primo grado, sulla base, per quanto nella presente sede ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

1) il ctu aveva accertato che la diffusa fessurazioni nel pavimento riscontrata in vari locali era imputabile al mancato irrigidimento della soletta senza installazione di alcuna rete o armatura idonea ad evitare la sua deformabilità, con inevitabili ricadute sulla stabilità del pavimento;

2) alla stregua della c.t.u., la rottura delle piastrelle era avvenuta non a causa della mancata posa in opera della rete elettrosaldata, come indicato dalla R., ma della mancata attesa, prima della posa della pavimentazione, dei tempi necessari per la maturazione del massetto, il quale, avendo uno spessore di cm. 9, sviluppava il 60% del suo ritiro in nove settimane, se eseguito in periodo estivo;

3) nei caso in esame la posa del massetto era avvenuta tra la fine di settembre ed il mese successivo, con la conseguenza che il pavimento avrebbe dovuto essere posato non prima dell’inizio di novembre, mentre il lavoro era stato eseguito a metà ottobre;

4) l’impresa edile aveva lasciato in cantiere una volta posato il massetto, ma ben prima che venisse posata la pavimentazione, non essendo questo un compito assegnatole nel contratto d’appalto;

5) il direttore lavori, geom. P., pur non avendo il compito di dirigere anche i lavori di pavimentazione, aveva invitato la R., come riferito dal teste arch. Pr.Wi., ad attendere almeno 15 giorni prima della posa del pavimento e, comunque, ad accertarsi che il massetto fosse asciutto;

6) la posa della piastrelle era avvenuta da parte di soggetto terzo, incaricato direttamente dalla R.;

7) pertanto, i soggetti citati a giudizio non apparivano responsabili dei fatti di cui la R. si era lamentata.

Per la cassazione della sentenza R.P. ha proposto ricorso fondato sulla base di tre ordini di motivi.

La Griffini Tristano s.r.l. e P.R. hanno resistito con controricorso.

Nell’approssimarsi dell’udienza ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la società copntroricorrente.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 347 c.p.c., comma 3 e l’omesso esame di punti decisivi (con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5), per non aver la corte d’appello esaminato la relazione tecnica d’ufficio ed i verbali delle prove testimoniali contenuti nel fascicolo d’ufficio di primo grado, non pervenuto nei termini di emissione. della sentenza, nè motivato sulla loro eventuale superfluità.

1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto, in violazione del principio di specificità, la ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei loro passaggi salienti, la relazione tecnica d’ufficio e le deposizioni testimoniali sulla base del cui completo esame la corte ambrosiana sarebbe, a suo dire, pervenuta a differenti conclusioni.

L’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado nel processo d’appello ha una funzione meramente sussidiaria, sicchè, in mancanza, il procedimento di secondo grado, e la relativa sentenza, non sono viziati, nè tale omissione può costituire motivo di ricorso per cassazione, salvo che il ricorrente deduca che da detto fascicolo il giudice avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili “aliunde”, che è suo onere indicare specificatamente (Sez. 3, Sentenza n. 1678 del 29/01/2016).

L’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 c.p.c., è affidata all’apprezzamento discrezionale del giudice dell’impugnazione, sicchè l’omessa acquisizione, cui non consegue un vizio del procedimento di secondo grado nè della relativa sentenza, può essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione solo ove si adduca che il giudice di appello avrebbe potuto o dovuto trarre dal fascicolo stesso elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili “aliunde” e specificamente indicati dalla parte interessata (Sez. 3, Sentenza n. 688 del 19/01/2010).

A norma dell’art. 123-bis disp. att. c.p.c., qualora oggetto di impugnazione sia una sentenza non definitiva, la valutazione della necessità di richiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza l’acquisizione del fascicolo d’ufficio è rimessa al giudice superiore; ne consegue che la parte che intenda censurare in cassazione il mancato esercizio del relativo potere di acquisizione deve indicare – oltre alla tempestività della formulazione della richiesta – anche gli elementi a sostegno e, in particolare, quelli attinenti alla rilevanza degli argomenti, non acquisibili “aliunde”, che il giudice avrebbe potuto trarre dal fascicolo (Sez. 2, Sentenza n. 17691 del 29/07/2009).

Del resto, va ricordato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il-“fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

In ogni – caso, la norma processuale che si assume violata (l’art. 347 c.p.c.) non è pertinente, in quanto la ricorrente non sostiene che il cancelliere presso la corte d’appello abbia omesso di richiedere la trasmissione del fascicolo d’ufficio al cancelliere del giudice di primo grado, ma che la corte di merito abbia deciso nonostante in quel momento il detto fascicolo, evidentemente formalmente richiesto, non fosse ancora pervenuto.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo e la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1667 c.c., per non aver la corte locale considerato alcuni elementi che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione, quali l’avvenuto abbandono dei lavori da parte dell’impresa successivamente alla posa del pavimento, la inadeguata tecnica di posa del massetto, la responsabilità del direttore lavori per quanto avviene nel cantiere (a prescindere dalle imprese intervenute), la mancata dimostrazione della condotta positiva delle controparti, la inesatta tecnica utilizzata dall’impresa e l’avvenuto rispetto dei giusti tempi di maturazione del massetto.

2.1. Il motivo è palesemente inammissibile.

Con lo stesso, costituente – in difetto di opportuna allegazione – questione nuova, la ricorrenti, in violazione del principio di specificità, si limita a censure apodittiche, senza trascrivere, almeno nel passaggio rilevante, la c.t.u. invocata a sostegno dell’asserita inadeguata tecnica di posa in opera del massetto che avrebbe utilizzato l’impresa edile. Inoltre, il richiamo operato all’art. 1667 c.c. è del tutto in conferente, se solo si considera che non è in discussione l’esistenza di vizi nè la tempestività con la quale gli stessi sono stati denunziati o con la quale l’azione risarcitoria stata esperita.

In ogni caso:

a) quanto alla responsabilità del diretto dei lavori, il motivo non attinge la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata, da identificarsi nella mancata assunzione, da parte del geom. P., del compito di dirigere anche i lavori di pavimentazione;

b) i rilievi concernenti la mancata “dimostrazione della condotta positiva affermata dalla Corte di Cassazione adottata dalle due controparti” e la non esatta “tecnica utilizzata dall’impresa” sono a tal punto generici da non consentire alcun vaglio sulla congruità logico-formale della motivazione resa dalla corte d’appello;

c) l’asserito rispetto dei necessari tempi di maturazione del massetto è apodittica, contrastando, senza alcuna argomentazione, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata (cfr. pag. 4, secondo inciso) secondo cui, essendo la posa del massetto avvenuta tra la fine di settembre ed il mese successivo, il pavimento avrebbe dovuto essere posato non prima dell’inizio di novembre, laddove il lavoro era stato eseguito a metà ottobre.

3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole del “vizio di motivazione” e della violazione degli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c., per non aver la corte di merito tenuto conto del fatto che, in ordine ai vizi della pavimentazione ed alle sue cause, il c.t.u. era pervenuto a “conclusioni diverse o ipotizzabili”, disattendendo tutte le censure mosse alla consulenza e senza esplicitare le ragioni per le quali aveva ritenuto attendibili “alcune testimonianze, tra l’altro contrarie alle risultanze documentali”.

3.1. Anche tale motivo è palesemente inammissibile per le stesse ragioni già indicate nel paragrafo 2.1.

In particolare, la ricorrente ha omesso di trascrivere -i verbali o gli atti quali con i quali avrebbe sollevato le censure alla perizia d’ufficio e di indicare le testimonianze che sarebbero, a suo dire, inattendibili e/o in contrasto con le risultanze documentali.

Inoltre, per le ragioni già esposte nel paragrafo 2.1., del tutto inconferente è il richiamo operato agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c..

Da ultimo, la motivazione resa sul punto sarebbe ratione temporis (essendo stata la decisione impugnata pubblicata in data 9.5.2013) scrutinabile solo sul piano dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

In ogni caso, la stessa risulta coerente dal punto di vista logico-formale, avendo, sulla base della c.t.u. espletata in primo grado, valorizzato le circostanze che la diffusa fessurazioni nel pavimento riscontrata in vari locali era imputabile al mancato irrigidimento della soletta senza installazione di alcuna rete o armatura idonea ad evitare la sua deformabilità (con inevitabili ricadute sulla stabilità del pavimento) e che la rottura delle piastrelle era avvenuta non a causa della mancata posa in opera della rete elettrosaldata (come indicato dalla R.), ma della mancata attesa, prima della posa della pavimentazione, dei tempi necessari per la maturazione del massetto (il quale, avendo uno spessore di cm. 9, sviluppava il 60% del suo ritiro in nove settimane, se eseguito in periodo estivo).

4. In definitiva, i motivi del ricorso non possonoi essere accolti ed il ricorso va rigettato.

5.- Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, applicabile ratione temporis poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei ciascuna delle parti contro ricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2017

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