Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5339 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5339 Anno 2018
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GHINOY PAOLA

ORDINANZA
sul ricorso 3778-2017 proposto da:
PELLACCI PUGLIELLI WALTER, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA A. DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato
FABRIZIO SPAGNOLO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro
LORO PIANA SPA, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27,
presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TRIFIR0′, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANNA MARIA
CORNA, PAOLO ZUCCHINALI;
– controricorrente e ricorrente incidentalecontro

C U

Data pubblicazione: 06/03/2018

PELLACCI PUGLIELLI WALTER, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA A. DE PRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato
FABRIZIO SPAGNOLO, che lo rappresenta e difende;
rs.
– controéorrente al ricorso incidentale –

ROMA, depositata il 28/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 11/01/2018 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;
rilevato che:
1. Walter Pellacci Puglielli veniva licenziato da Loro Piana S.p.A. a
seguito di contestazione disciplinare con la quale gli si addebitava di
essere incorso, nella qualità di store manager del negozio di Roma, in
numerose irregolarità, praticando sconti non autorizzati, registrando
resi effettuati da un cliente per articoli che questi non aveva mai
acquistato al fine di far ottenere sconti ad altra cliente, operando uno
sconto di fine stagione per un capo di vendita di produzione
continuativa;
2. il Tribunale di Roma, adito dal lavoratore, previa riqualificazione
del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato
motivo soggettivo, dichiarava risolto il rapporto di lavoro e
condannava Loro Piana s.p.a. al pagamento di un’indennità pari a
diciotto mensilità di retribuzione, in applicazione dell’ art. 18 V comma
della legge n. 300 del 1970;
3. la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del
Tribunale laddove questa aveva ritenuto che i fatti addebitati, valutati
concretamente in relazione alla complessiva portata oggettiva e
soggettiva, non fossero idonei a legittimare un licenziamento in tronco
per giusta causa; condivideva quindi la riqualificazione operata dal
Ric. 2017 n. 03778 sez. ML – ud. 11-01-2018
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avverso la sentenza n. 5720/2016 della CORTE D’APPELLO di

primo giudice in licenziamento per giustificato motivo soggettivo,
atteso che l’inadempimento degli obblighi del dipendente era stato di
apprezzabile portata ma non talmente grave da giustificare l’immediata
risoluzione del rapporto. Riteneva tuttavia che alla corretta
riqualificazione del licenziamento non potesse fare seguito

liquidazione in favore del dipendente della relativa indennità, essendo
comunque il licenziamento legittimo, sicché condannava il lavoratore
alla restituzione della somma corrispostagli dalla società in
adempimento dell’ordine giudiziale, oltre interessi dalla sentenza fino al
soddisfo. Inoltre, condannava il reclamato al pagamento alla società a
titolo di risarcimento danni della somma pari al danno da questa subito
per la differenza tra il prezzo dei capi venduti e quello risultante dagli
sconti illegittimamente concessi.
4. Per la cassazione della sentenza Walter Pellacci Puglielli ha
proposto ricorso, a fondamento del quale formula quattro motivi.
5. Loro piana S.p.A. ha resistito con controricorso ed ha proposto
altresì ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
6. I due ricorsi sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c.; le parti hanno
depositato anche memorie ex art. 380 bis comma 2 c.p.c.
Considerato che:
1. il ricorrente principale deduce:
1.1. come primo motivo, la violazione e falsa applicazione
dell’articolo 18 comma quinto della legge n. 300 del 1970 e dell’articolo
12 delle disposizioni preliminari del codice civile. Il motivo attinge la
sentenza della Corte territoriale laddove questa ha affermato che alla
corretta riqualificazione del licenziamento non potesse far seguito la
condanna della società al pagamento dell’indennità di cui all’ art. 18
comma V della legge n. 300 del 1970. Sostiene che la condanna al
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l’applicazione dell’articolo 18 V comma della legge n. 300 del 1970 e la

pagamento dell’indennità risarcitoria debba essere inflitta ogniqualvolta
il giudice accerti la non ricorrenza della giusta causa o il giustificato
motivo soggettivo così come addotti dal datore di lavoro, a prescindere
dalla possibile successiva riqualificazione che ne faccia l’autorità
giudiziaria;

rilevanti ex articolo 360 comma 1 n. 5 cinque c.p.c. e lamenta che la
sentenza, pur avendo ribadito l’assenza dell’elemento intenzionale nelle
condotte del lavoratore, abbia accolto la domanda di risarcimento del
danno formulata dalla società;
1.3. come terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione
dell’articolo 2104 del codice civile. Sostiene che l’accertamento della
giusta causa di recesso non possa determinare automaticamente la
responsabilità colposa per danni del dipendente, il cui onere probatorio
incombe sul datore di lavoro;
1.4. in via subordinata, come quarto motivo, deduce la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2118 c.c. e dell’articolo 228 del C.C.N.L. e
sostiene che la Corte di merito, ritenendo il licenziamento intimato per
giustificato motivo soggettivo, avrebbe dovuto dichiarare il diritto del
lavoratore a ricevere l’indennità sostitutiva del preavviso, e quindi
condannarlo alla restituzione della sola maggiore somma percepita.
2. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.
La giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento,
richiamati entrambi dall’art. 1 della 1. n. 604 del 1966, costituiscono
mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a
legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, nell’un caso con
effetto immediato e nell’altro con preavviso (così Cass. n. 12884 del
09/06/2014, Cass. n. 837 del 17/01/2008, Cass. n. 27104 del
19/12/2006).
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1.2. come secondo motivo, deduce l’ omesso esame di fatti

Con riferimento all’ambito di applicazione delle tutele predisposte
dall’ art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1,
comma 42 della legge 28 giugno 2012, n. 92, questa Corte ha chiarito
(v. Cass. n. 13178 del 25/05/2017) che il giudice deve oggi procedere
ad un giudizio più completo ed articolato rispetto al passato, dovendo

che consentono la risoluzione del rapporto di lavoro, ovvero della
giusta causa e del giustificato motivo, e, nel caso in cui la escluda,
anche il grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale
e contrattuale legittimante, onde individuarne le conseguenze
(reintegratorie o risarcitorie) applicabili. Il giudizio bifasico così
delineato prescinde dalla qualificazione del recesso che il datore di
lavoro abbia in concreto adottato come giusta causa o giustificato
motivo soggettivo, e prescinde altresì dall’eventuale riqualificazione
che il giudice ritenga di operare dell’una ipotesi nell’altra, considerato
che quando la condotta contestata risulta idonea a legittimare la
risoluzione del rapporto, il licenziamento è comunque legittimo.
3. Il secondo e terzo motivo sono parimenti infondati.
La Corte d’appello ha ritenuto che la condotta posta in essere dal
dipendente, con coscienza e volontà ed in spregio delle direttive
aziendali, non fosse caratterizzata da un’intensità dell’elemento
soggettivo tale da determinare giusta causa di recesso, ma non che essa
fosse legittima ed esente da colpa, sicché sussistevano i presupposti per
il risarcimento.
Nel far ciò, ha correttamente applicato il principio, ribadito da
Cass. n. 18375 del 23/08/2006, secondo il quale “ai fini
dell’affeimazione della responsabilità del lavoratore verso il datore di
lavoro per un evento dannoso verificatosi nel corso dell’espletamento
delle mansioni affidategli, è, anzitutto, onere del datore di lavoro
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accertare in primo luogo la sussistenza o meno di una delle fattispecie

fornire la prova che l’evento dannoso è da riconnettere ad una
condotta colposa del lavoratore per violazione degli obblighi di
diligenza, e cioè in rapporto di derivazione causale da tale condotta.
Una volta che risulti assolto tale onere, il lavoratore è tenuto a provare
la non imputabilità a sé dell’inadempimento (conf. Cass. n. 13530 del

sussistenza di una condotta di colposa violazione delle direttive
aziendali, causa di danno, in assenza di deduzione e prova della non
imputabilità dell’inadempimento.
4. Il quarto motivo è invece fondato.
Nell’arresto n. 27104 del 19/12/2006, già sopra citato, questa
Corte ha chiarito che nelle più ampie pretese economiche, collegate dal
lavoratore all’annullamento del licenziamento, asserito come
ingiustificato, ben può ritenersi compresa quella, di minore entità,
derivante da un licenziamento che, pur qualificandosi come
giustificato, preveda il diritto del lavoratore al preavviso. Alla ritenuta
risoluzione del rapporto con preavviso doveva fare quindi seguito il
riconoscimento della relativa indennità, allo scopo non essendo
necessaria una specifica domanda, già ricompresa in quella più ampia
che il Tribunale aveva accolto e la Corte ha disatteso, indennità che
doveva quindi essere detratta nella determinazione dell’obbligazione
restitutoria del lavoratore.
5. Nel proposto ricorso incidentale, Loro Piana s.p.a. deduce:
5.1. come primo motivo, la violazione dell’articolo 2119 c.c.:
lamenta che la Corte territoriale si sia discostata dagli

standards

conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale che
consentono la configurazione della giusta causa di recesso,
palesemente violando molteplici procedure e disposizioni aziendali, più
volte ed anche da ultimo ribadite, gestendo il negozio di Roma contro
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26/05/2008). Nel caso, ha ritenuto quindi sufficiente la prova della

ogni regola di prudenza e diligenza anche per ciò che attiene alla
disciplina contabile e fiscale. In particolare, la sentenza non avrebbe
considerato: che il comportamento posto in essere in relazione ai resi
costituiva una vera e propria truffa; l’ elevato inquadramento del signor
Pellacci; il suo specifico ruolo di responsabile di negozio ed il

della consapevolezza e volontarietà nel violare le direttive e procedure
aziendali; il disvalore di siffatta condotta sul posto di lavoro;
l’impossibilità di fare affidamento su un comportamento improntato a
correttezza e buona fede. Aggiunge che la società non aveva contestato
al dipendente di avere tratto vantaggi dai comportamenti addebitati e
che la mancanza di un diretto vantaggio per il lavoratore non rileva ai
fini della lesione del vincolo fiduciario;
5.2. come secondo motivo, deduce la violazione degli articoli 100,
115, 116 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c. e lamenta che la sentenza
gravata abbia errato nel valutare le risultanze istruttorie, in quanto,
avendo concesso incontestabili vantaggi a favore di clienti storici del
negozio, era ipotizzabile che il dipendente ne avesse tratto anche
vantaggi personali; inoltre, l’ammontare delle vendite concorreva al
raggiungimento del budget previsto per il riconoscimento del bonus
aziendale:
5.3. come terzo motivo, deduce la violazione dell’articolo 2119 c.c.,
dell’articolo 18 della legge n. 300 del 1970, dell’articolo 30 della legge n.
183 del 2010 e del C.C.N.L. del terziario. Riferisce che il
comportamento contestato rientra nelle condotte che il C.C.N.L.
sanziona con il licenziamento disciplinare senza preavviso,
considerato che l’articolo 225 indica tra le ipotesi che lo legittimano la
grave violazione degli obblighi di cui all’articolo 220 primo e secondo

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conseguente elevato grado di fiducia richiesta; l’elemento soggettivo

comma, tra i quali vi è il conservare diligentemente le merci e i
materiali e cooperare alla prosperità dell’ impresa.
6. Il ricorso incidentale è infondato.
Quanto ai primi due motivi, la Corte territoriale si è attenuta al
principio secondo il quale per giustificare un licenziamento

violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne
irrimediabilmente l’elemento fiduciario; la relativa valutazione deve
essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura
e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di
affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al
nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti
stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità
dell’elemento intenzionale o di quello colposo (cfr., per tutte, Cass. n.
13149 del 24/06/2016, Cass. n. 25608 del 03/12/2014). Nel valutare
l’incidenza della condotta contestata sul vincolo fiduciario, ha così
tenuto conto di tutti gli elementi del caso concreto, ed ha valorizzato
in particolare l’assenza di prova dell’intensità dell’elemento
intenzionale, della volontà di conseguire un vantaggio personale, del
fatto che egli avesse goduto di favori personali da parte dei clienti
avvantaggiati dagli sconti, per concluderne che la lesione del vincolo
fiduciario vi fosse, ma non precludesse la continuazione del rapporto
per il tempo del preavviso. Le circostanze valorizzate dalla ricorrente
indentale non sono state quindi obliterate, ma sono state inserite
nell’ambito della valutazione complessiva della condotta, in ordine alla
quale la ricorrente incidentale chiede ora in sostanza, ed
inammissibilmente, un nuovo e più severo giudizio.
7. In merito all’ultimo motivo, occorre ribadire che la valutazione
sulla legittimità del licenziamento disciplinare di un lavoratore per una
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disciplinare, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave

condotta contemplata, a titolo esemplificativo, da una norma del
contratto collettivo fra le ipotesi di licenziamento per giusta causa dev’
essere, in ogni caso, effettuata attraverso un accertamento in concreto,
da parte del giudice di merito, della reale entità e gravità del
comportamento addebitato al dipendente, nonché del rapporto di

l’astratta corrispondenza di quel comportamento alla fattispecie
tipizzata contrattualmente, occorrendo sempre che la condotta
sanzionata sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo
conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore,
anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo, con valutazione
in senso accentuativo rispetto alla regola della “non scarsa importanza”
dettata dall’art. 1455 (v. da ultimo Cass. 05/4/2017 n. 8826 ed i
precedenti conformi ivi richiamati). Nel caso, in applicazione di tale
principio, la valutazione in concreto della condotta ha portato la Corte
a formulare (seppur implicitamente) un giudizio di non coerenza con la
richiamata previsione del contratto) collettivo.

7. Segue a tali considerazioni la cassazione della sentenza
impugnata in relazione al quarto motivo del ricorso principale, con
rigetto degli altri motivi e del ricorso incidentale, e con rinvio alla
Corte territoriale che dovrà rideterminare l’importo oggetto
dell’obbligazione restitutoria del Pellacci Puglielli tenendo conto
dell’indennità di mancato preavviso a lui dovuta
8. Al giudice del rinvio spetta anche la liquidazione delle spese del
giudizio.
9. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del
ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale previsto
dall’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002.
Ric. 2017 n. 03778 sez. ML – ud. 11-01-2018
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proporzionalità tra sanzione ed infrazione, anche quando si riscontri

P.Q.M.
accoglie il quarto motivo del ricorso principale; rigetta gli altri
motivi ed il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte
d’appello di Roma in diversa composizione.

della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 11.1.2018.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto

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