Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5337 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/02/2020, (ud. 19/09/2019, dep. 27/02/2020), n.5337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17260-2013 proposto da:

SYNDIAL SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. AVEZZANA 8, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO GRASSI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MASSIMILIANO NICODEMO giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) DI ROMA UFFICIO

CONTROLLI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 109/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 20/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2019 dal Consigliere Dott. RENATO PERINU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato NICODEMO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato PISANA che si riporta agli

atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Syndial S.p.a., quale società incorporante la Singea S.p.a., presentò in data 8/3/2005 l’istanza di rimborso a fronte di un credito IRPEG pari ad Euro 1.944.074,43, per l’anno d’imposta 1994; detto credito si articolava in riferimento ai dividendi percepiti nell’esercizio, per Euro 1.554.764,57, ed in relazione alle ritenute bancarie subite nello stesso periodo d’imposta.

2. A seguito di ciò, la società, non ricevendo riscontro, provvedeva ad impugnare il silenzio-rifiuto serbato dall’amministrazione finanziaria.

3. Il giudice di prime cure rigettava il gravame, sul presupposto della mancata allegazione e produzione, da parte della contribuente, della documentazione comprovante il diritto al rimborso sul predetto credito d’imposta.

4. Il giudice di secondo grado, adito dalla contribuente, con la sentenza n. 109/28/12, depositata il 20 giugno 2012, confermava tale pronuncia di rigetto, assumendo che, solamente in sede di appello la società avrebbe presentato copiosa documentazione a supporto della propria istanza, e che agli atti non sarebbero state, comunque, rinvenute le certificazioni relative alle ritenute bancarie.

5. Avverso la sentenza d’appello ricorre la Syndial S.p.a., affidandosi a due motivi, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso viene denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, per avere la CTR omesso di considerare che per verificare l’effettività del credito d’imposta l’Ufficio avrebbe dovuto asseverare e, se del caso, rettificare il credito d’imposta entro il relativo termine di legge, posto che all’esito del mancato esperimento dell’attività di accertamento e controllo il credito vantato dal contribuente era divenuto definitivo, senza onere per quest’ultimo di allegazione documentale a supporto del credito.

2. Con il secondo motivo viene denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti (e documenti) decisivi per il giudizio, ed oggetto di discussione tra le parti, rappresentati dalla documentazione inerente le certificazioni delle ritenute sui dividendi.

3. Va, preliminarmente, divisata l’eccezione sollevata dalla parte resistente in merito alla sussistenza della “legittimatio ad processum” in capo alla società ricorrente; in particolare sull’idoneità del contenuto della procura speciale in base alla quale la stessa società ha individuato il soggetto titolare del mandato “ad litem”.

4. Le doglianze avanzate dall’Ufficio non sono condivisibili, in quanto del tutto generiche, poichè l’Ufficio, si limita a segnalare che “non si evince dagli atti quale qualifica” rivestisse il mandatario processuale all’epoca del conferimento del mandato, in luogo di muovere, invece, specifiche censure sulla ritualità ed il contenuto del conferimento della procura speciale; atteso che il potere di rappresentanza processuale, con la relativa nomina di difensore, può essere conferito soltanto a colui che sia investito anche del potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, ed avuto conto, inoltre, che in via generale nessun onere di provare i propri poteri rappresentativi grava sulla persona fisica che agisca, come nel caso che occupa, in giudizio per una persona giuridica (ex plurimis Cass. n. 12547/2003), e che, comunque, dall’intestazione del ricorso si evince che il mandato “ad litem” risulta in linea con il principio di strumentalità delle forme di cui all’art. 156 c.p.c., comma 3, in quanto contiene gli estremi della procura speciale in base alla quale risulta conferita la rappresentanza processuale e l’indicazione del soggetto destinatario del mandato; a ciò aggiungasi, e ciò appare di fondamentale rilievo sul punto, che dal contenuto della memoria depositata dalla società ricorrente (vedi visura camerale), risulta, inequivocabilmente che, C.A.M. (all’epoca di introduzione del giudizio che occupa) fosse amministratore delegato della società, in quanto investito di tale carica sin dall’11/4/2013, con potere tra gli altri, di rappresentare la società dinanzi all’autorità giudiziaria (estratto camerale pagg. 293 e 294).

5. Nel merito, il primo motivo s’appalesa infondato.

6. La questione prospettata con tale mezzo di gravame consiste nello stabilire quale sia la natura del termine previsto nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis (nel testo ratione temporis vigente), e se il credito d’imposta vantato dal contribuente si consolidi con lo spirare di detto termine, perchè l’Amministrazione abbia nelle more omesso di procedere ad accertamento e rettifica di quanto dichiarato dal contribuente.

7. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte a partire dalle sentenze n. 9524/09n. 11444/11- n. 7899/12, poi confermate dalle Sez.U. n. 5069/16 e dalla successiva ord. n. 14044719 si è consolidata nel ritenere che “il termine stabilito nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis (nel testo, applicabile “ratione temporis”, introdotto dal D.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 1), entro il quale l’Amministrazione Finanziaria deve provvedere alla liquidazione dell’imposta, ha natura ordinatoria secondo l’interpretazione, avente efficacia retroattiva, che ne ha dato la L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 28, comma 1″.

8. Ne consegue che il credito d’imposta fatto valere dal contribuente nella relativa dichiarazione non si consolida con lo spirare del suddetto termine o perchè l’Amministrazione abbia omesso di procedere ad accertamento e rettifica nel termine stabilito nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, così come il diritto al rimborso del contribuente non è sottoposto al termine di decadenza, contenuto nel D.P.R. 27 settembre n. 602 del 1973, art. 38, ma esclusivamente all’ordinario termine di prescrizione decennale, ferma restando la facoltà dell’Ufficio di opporre eccezioni alla domanda di rimborso.

9. La tesi del contribuente, secondo la quale l’Amministrazione finanziaria sarebbe incorsa in decadenza, risulta, quindi, alla luce dei principi sopra indicati, palesemente, infondata.

10. E’, invece, meritevole di accoglimento il secondo motivo di gravame.

11. Premesso, infatti, che l’istanza di rimborso riguardava sia i dividendi percepiti dalla società, che le ritenute bancarie afferenti il periodo d’imposta in contestazione, va rilevato che il giudice d’appello si è pronunciato ed ha preso in considerazione esclusivamente la mancata allegazione, da parte della società, delle certificazioni relative alle ritenute bancarie, senza vagliare la documentazione prodotta, ritualmente, nel giudizio di secondo grado, dalla contribuente in riferimento alle ritenute sui dividendi; e tale circostanza appare decisiva al fine di stabilire se, in relazione alle ritenute sui dividendi competesse il rimborso del credito d’imposta.

12. Ciò stante, il ricorso, entro i limiti di quanto precede, è meritevole di accoglimento, e la sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla CTR del Lazio che, in diversa composizione provvederà, anche, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla CTR del Lazio che, in diversa composizione, provvederà, anche, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020

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