Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5336 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. I, 05/03/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 05/03/2010), n.5336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29685-2008 proposto da:

D.G.M.L. (C.F. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANDREA

DORIA 48, presso l’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che li

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

16/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato RODA RANIERI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 16.10.2007 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 proposta dagli. intestati ricorrenti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio dai medesimi promosso con ricorso depositato nel mese di Aprile 1993 avanti al TAR del Lazio al fine di ottenere l’adeguamento triennale ex lege n. 27 del 1981 dell’indennità giudiziaria percepita ai sensi della L. n. 221 del 1988 e deciso con sentenza depositata in data 14.7.2004 – riteneva Lo che, dovendosi considerare ragionevole la durata di armi tre, non fosse ragionevole nella misura di anni otto, e liquidava a favore di ciascuno la somma di Euro 8.000,00 a titolo di danno non patrimoniale.

Avverso detto decreto propongono ricorso per cassazione gli originari ricorrenti che deducono tre motivi di censura illustrati anche con memoria. La Presidenza del Consiglio non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 nonchè difetto di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello, dopo aver determinato in anni tre la durata ragionevole del procedimento presupposto, abbia ritenuto irragionevoli anni sette nonostante il procedimento si fosse protratto per anni undici e mesi tre (Aprile 1993-Luglio 2004).

La censura è fondata anche se in relazione ad una differenza piuttosto modesta.

Determinata da parte del giudice di merito la durata ragionevole del procedimento, tutto il restante periodo, ivi compresa anche la porzione dell’anno, va considerato non ragionevole e valutato ai fini del computo della relativa indennità prevista dalla L. n. 89 del 2001. Erroneamente pertanto la Corte d’Appello, pur in presenza di un periodo di anni otto e mesi tre successivo a quello considerato ragionevole (anni tre), ha riconosciuto ai fini della determinazione dell’indennizzo solo anni otto, tralasciando di considerare la porzione di mesi tre di cui va invece tenuto conto.

Sul punto il decreto va pertanto cassato.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ancora violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 nonchè dell’art. 1173 c.c.. Lamentano che la Corte d’Appello abbia liquidato gli interessi con decorrenza dalla data del decreto anzichè, come avrebbe dovuto, dalla domanda.

Anche tale censura è fondata.

Gli interessi sulla somma riconosciuta all’esito del giudizio non possono che decorrere dalla domanda la quale costituisce anche un atto di messa in mora ai sensi dell’art. 1295 c.c.. Conseguentemente anche sotto tale profilo il decreto deve essere cassato.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., nonchè del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5.

Sostengono che la Corte d’Appello, nel liquidare le spese, si sia tenuta al di sotto dei minimi tariffari.

La censura deve ritenersi assorbita in quanto, a seguito della disposta cassazione del decreto impugnato, questa Corte deve provvedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di merito, spese che si distraggono a favore del difensore e che si liquidano come in dispositivo unitamente a quelle relative al presente giudizio di legittimità. Va solo evidenziato, relativamente ai diritti di procuratore della fase di merito, che in base al valore della causa deve essere riconosciuto per tale “voce” l’importo di Euro 600,00 oltre ad Euro 97,00 per ciascuna delle successive 26 parti.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e ricorrendo quindi le condizioni per una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’indennizzo va determinato, tenuto conto dell’ulteriore durata di mesi tre non considerata dalla Corte d’Appello, in complessivi Euro 8.250,00, con gli interessi dalla domanda.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 8.250,00 con gli interessi dalla domanda. Condanna inoltre la stessa Amministrazione al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida, quanto al giudizio di merito, in Euro 3.122,00 per diritti, in Euro 700,00 per onorario ed in Euro 100,00 per esborsi e, quanto al giudizio di legittimità, in complessivi Euro 1.200,00 di cui Euro 100,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

 

 

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