Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5336 del 02/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 02/03/2017,  n. 5336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11047/2013 proposto da:

B.P., (OMISSIS), PE.MA. (OMISSIS),

PE.CI. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 36 presso lo studio dall’avvocato CARLO MARTUCCELLI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE LEUZZI;

– ricorrenti –

contro

D.R.R., P.M.M., P.B., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 262, presso lo studio

dell’avvocato STEFANO OLIVA, rappresentati e difesi dall’avvocato

SERSE FEDERICO ZUNINO;

– controricorrenti –

e contro

D.C.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1039/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. B.P. (erede di R.D. e di P.A.), PE.MA. e PE.CI. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 1039/2012 del 07/06/2012. La Corte d’Appello di Torino aveva rigettato l’impugnazione spiegata dagli attuali ricorrenti, come anche l’appello incidentale, nei confronti della sentenza resa dal Tribunale di Asti in data 31/07/2007 che, respingendo ogni altra domanda contenuta nella citazione notificata il 30/12/1998 da R.D., P.A., PE.MA. e PE.CI. a D.R.R., P.M.M., P.B. e D.C.N., aveva assegnato alle parti termine di sei mesi per la redazione di regolamento di condominio. Gli attori avevano acquistato per atto del 21 giugno 1989 da P.M.M. e P.B. due immobili siti nel condominio di (OMISSIS), nonchè “quota proporzionale di comproprietà nelle parti comuni del fabbricato ai sensi di legge e dell’art. 1117 e seguenti del c.c., nonchè del futuro regolamento condominiale”. P.M.M. e P.B. alienarono poi in data 30 dicembre 1991 a D.R.R. e D.C.N. le restanti quote del fabbricato.

R.D., P.A., PE.MA. e PE.CI. avevano perciò domandato di accertare l’inadempimento dei convenuti, che non avevano individuato e trasmesso le quote proporzionali di proprietà sulle parti comuni, nonchè di rimuovere le opere poste in essere dai medesimi convenuti sulle parti comuni.

P.M.M., P.B. e D.R.R. si difendono con controricorso, mentre D.C.N., del pari intimata, non ha svolto difese nel giudizio di cassazione.

B.P. ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., in data 4 gennaio 2017.

Sono infondate le eccezioni pregiudiziali dei controricorrenti: 1) il ricorso osserva il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, perchè, dove le sue censure concernono la valutazione da parte del giudice di merito di atti processuali o di documenti, viene trascritto il contenuto essenziale degli stessi o comunque specificata la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte essi siano rinvenibili; 2) l’art. 366 bis c.p.c., contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, norma che i controricorrenti invocano, venne introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, ma è stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, e perciò si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati dal 2 marzo 2006 al 4 luglio 2009, mentre l’impugnata sentenza è del 7 giugno 2012.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, quanto all’inammissibilità per novità, ritenuta dalla Corte di Torino, della domanda, proposta in sede di gravame, volta ad accertare l’inadempimento di P.M.M. e P.B. per non aver redatto il regolamento di condominio, rispetto alla domanda proposta in primo grado, consistente nell’accertamento dell’inadempimento dei convenuti per non aver individuato, chiarito e concesso agli attori di utilizzare le parti comuni in quota proporzionale, come stabilito nei rogiti.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e art. 1138 c.c., con riferimento alla parte della sentenza impugnata che, pronunciando sull’appello incidentale, pur avendo ravvisato la sussistenza di un obbligo contrattuale di P.M.M. e P.B. a formare un regolamento contrattuale che gli acquirenti si impegnavano ad accettare, ha negato che sì potesse domandare al giudice di condannare gli appellanti principali ad accettare, appunto, il regolamento. A dire della Corte d’Appello, se gli acquirenti avessero voluto opporre alcunchè al regolamento formato dalle venditrici in adempimento dell’obbligo assunto per contratto, avrebbero dovuto adire la via della revisione assembleare di esso ex art. 1138 c.c.. I ricorrenti B.P., PE.MA. e PE.CI. insistono per l’affermazione dell’inadempimento delle controparti per non aver correttamente redatto il regolamento di condominio.

2.1. I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono del tutto infondati.

E’ assorbente la ragione di carattere processuale, legata all’inammissibilità per novità della domanda di risoluzione proposta in appello e fondata sull’inadempimento di P.M.M. e P.B. rispetto all’obbligo di redigere il regolamento di condominio. Questa domanda è nuova, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 1, come correttamente deciso dalla Corte di Torino, se confrontata alla domanda avanzata in primo grado, relativa all’accertamento dell’inadempimento dei convenuti per non aver individuato, chiarito e concesso agli attori di utilizzare le parti comuni dell’edificio, diversa essendo la “causa petendi”, in quanto si verte in tema di diritti eterodeterminati, per l’individuazione dei quali è, cioè, necessario fare riferimento ai fatti costitutivi della pretesa che identificano diverse “ragioni della decisione”.

L’obbligo del venditore di un’unità immobiliare, compresa in un condominio edilizio, di individuare e concedere al compratore l’utilizzazione delle parti comuni dell’edificio (come dedotta dagli attori in primo grado) non discende affatto dall’assunzione di un apposito ed autonomo vincolo negoziale, avendo piuttosto i singoli condomini di un edificio il diritto di utilizzare direttamente, per il miglior godimento della porzione di loro proprietà esclusiva, tutte quelle parti del fabbricato che, per la loro destinazione ad un uso comune, si presumono di proprietà condominiale a norma dell’art. 1117 c.c., salvo che non disponga diversamente il titolo originario, ed essendo poi limitata dall’art. 1118 c.c., la cessione della proprietà esclusiva separata dal diritto sui beni comuni.

Viceversa, come da questa Corte già chiarito, l’art. 1138 c.c., il quale stabilisce che, quando il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento per disciplinare l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, pone tale obbligo a carico dei singoli condomini e non già a carico del venditore delle singole unità abitative (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2742 del 23/02/2012). Può, al più, desumersi un obbligo secondo buona fede per il venditore di consegnare ai compratori gli elaborati tecnici necessari alla futura approvazione assembleare del regolamento e delle annesse tabelle millesimali (così Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15392 del 04/07/2014).

Un obbligo di redigere il regolamento di condominio può, tuttavia, essere assunto dal venditore in forza di apposito mandato conferitogli dal compratore, che si impegni a rispettare lo stesso.

Questa diversità delle fonti dei distinti obblighi azionati rende evidente la simmetrica diversità delle azioni di inadempimento riscontrata dalla Corte d’Appello tra il primo ed il secondo grado. E’ perciò privo di fondatezza il primo motivo di ricorso, mentre il secondo motivo è conseguentemente privo di interesse, in quanto si duole degli argomenti che la Corte di Torino ha speso per disattendere l’appello incidentale spiegato dalle controparti degli attuali ricorrenti al fine di sancire l’obbligo degli acquirenti di rispettare il regolamento. Peraltro, si consideri come, ove, come nella specie accertato dai giudici del merito, sia stato conferito alla parte venditrice un mandato a redigere il regolamento di condominio (salva la distinta questione della validità dell’impegno preso dagli acquirenti ad approvare o rispettare un regolamento ancora inesistente: da ultimo, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5657 del 20/03/2015), grava sul venditore mandatario l’obbligo di compiere tale atto giuridico con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 c.c.). Se il venditore non provveda a formare il regolamento che si era obbligato a redigere, resta ammissibile una pronuncia di condanna all’inadempiuto “facere”, irrilevante essendone il suo carattere infungibile; se, invece, il venditore abbia redatto il regolamento condominiale (come nella specie avvenuto), potrà allegarsi l’inesattezza dell’adempimento del mandatario a ragione di una domanda di risarcimento dei danni, e poi comunque revisionarsi il regolamento a norma dell’art. 1138 c.c., commi 2 e 3.

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, con riferimento alla parte della sentenza impugnata che ha ritenuto nuova la domanda degli appellanti volta ad accertare l’illegittimità delle opere realizzate sulle parti comuni da D.R.R. e D.C.N., perchè prive del necessario consenso dei comproprietari e lesivi dei diritti di questi ultimi. La novità della domanda di appello sta, per la Corte di Torino, nel fatto che in primo grado non erano stati individuati tra i convenuti gli effettivi autori delle opere abusive, e che soltanto in secondo grado si fosse ulteriormente precisata la condotta denunciata, facendo riferimento a “opere e modifiche illegittime sulle parti comuni”.

Il quarto motivo del ricorso deduce invece la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, con riguardo alla parte della sentenza d’appello che, dopo aver ritenuto nuova la domanda di riduzione in pristino delle opere realizzate sulle parti comuni, ne ha comunque preso in esame il merito. Al riguardo, la Corte di Torino ha evidenziato come le venditrici P.M.M. e P.B., sia nell’atto del 21 giugno 1989 sia in quello del 30 dicembre 1991 (rispettivamente stipulati il primo con R.D., P.A., PE.MA. e PE.CI. ed il secondo con D.R.R. e D.C.N.), si erano riservate la facoltà di trasformare, modificare o destinare le parti comuni, facoltà poi trasferita ai compratori con la seconda alienazione. La Corte di Appello ha altresì ritenuto inammissibile, perchè formulata ex novo in sede di gravame, la domanda degli appellanti di inadempimento dei convenuti D.R.R. e D.C.N., per aver realizzato le modifiche alle parti comuni senza aver prima individuato e riservato ai medesimi appellanti mq. 35 di cortile; la stessa domanda veniva altresì ritenuta infondata, non risultando che le opere realizzate dal D.R. e dalla D.C. avessero alterato la dimensione del cortile. Al riguardo, il quarto motivo di ricorso critica la valutazione delle prove, ed in particolare della CTU, operata dalla Corte di Torino e contesta che il titolo del 30 dicembre 1991 contenesse un trasferimento della facoltà di modifica delle parti comuni riservatasi dalle venditrici P.M.M. e P.B..

3.1. Il terzo e quarto motivo vanno esaminati congiuntamente, perchè connessi, e si rivelano fondati nei termini di seguito indicati.

Va premesso, quanto alle censure relative alla violazione dell’art. 112 c.p.c., che la Corte d’Appello, con improprio procedere (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007), dopo aver premesso che fossero nuove le domande degli appellanti di riduzione in pristino e di inadempimento correlate alle modifiche delle parti comuni eseguite dal D.R. e dalla D.C., ha poi esaminato le stesse nel merito, argomentando circa il contenuto dei titoli contrattuali e il pregiudizio in concreto arrecato dalle denunciate innovazioni. Tali ragioni comunque affrontate dalla Corte di Torino consentono, pertanto, di verificare qui altresì il merito delle censure.

Quanto alla novità della domanda di rimozione delle opere, se è vero che l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato ai giudice di merito, allorchè si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) od a quello del “tantum devolutum quantum appellatum” (art. 345 c.p.c.), la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere direttamente all’esame degli atti processuali. Deve allora (al contrario di quanto affermato dalla Corte di Torino) ritenersi che, avendo gli attori R.D., P.A., PE.MA. e PE.CI. espressamente dedotto in primo grado che “i convenuti” avessero costruito opere sulle parti comuni e richiesto la condanna degli “autori delle opere” alla rimozione delle stesse, non può stimarsi come nuova, agli effetti dell’art. 345 c.p.c., comma 1, la domanda in appello specificata nel senso di accertare “le opere e le modifiche realizzate sulle parti comuni” in particolare da due dei medesimi convenuti già destinatari della originaria pretesa. La domanda espressa in appello, infatti, era da intendersi contenuta in modo implicito nella iniziale domanda di riduzione in pristino, trovandosi con essa in rapporto di necessaria connessione.

La Corte di Torino ha poi considerato dirimente che le venditrici P.M.M. e P.B., nell’atto del 21 giugno 1989, si erano riservate la facoltà di trasformazione, modifica e destinazione delle parti comuni, facoltà trasferibile a terzi.

La rilevanza che però i giudici del merito hanno accordato a siffatta pattuizione contrasta con l’orientamento di questa Corte, che si esprime nel seguente principio di diritto:

“le pattuizioni, contenute nell’atto di acquisto di un’unità immobiliare compresa in un edificio condominiale, che comportino restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva dei singoli condomini ovvero di quelle relative alle parti condominiali dell’edificio, devono essere espressamente e chiaramente enunziate, atteso che il diritto del condomino di usare, di godere e di disporre di tali beni può essere convenzionalmente limitato soltanto in virtù di negozi che pongano in essere servitù reciproche, oneri reali o, quanto meno, obbligazioni propter rem. Ne consegue che devono ritenersi invalide quelle clausole che, con formulazione del tutto generica, limitino il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali ed attribuiscano all’originario proprietario il diritto non sindacabile di apportare modifiche alle parti comuni, peraltro, come nella specie, ritenuto pure trasmissibile agli acquirenti dei singoli appartamenti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4905 del 26/05/1990; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2330 del 16/07/1971)”.

Nè, del resto, la generica riserva dell’originario proprietario di apportare al fabbricato le modifiche alle parti comuni che ritenesse necessarie può valere come titolo contrario alla presunzione ex art. 1117 c.c., (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3486 del 04/08/1977).

4. Vengono quindi rigettati i primi due motivi, accolti invece, per quanto indicato in motivazione, il terzo ed il quarto motivo di ricorso. La sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino, che deciderà la stessa tenendo conto dell’enunciato principio, e provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2017

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